Liberi Muratori
bresciani - A
ARNALDO da Brescia
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Antesignano del Libero Pensiero e “paladino” dei Massoni bresciani.
Nacque a Brescia alla fine del sec. XI o agli inizi del XII. Chierico lettore, fu discepolo di Abelardo. Tornato a Brescia fu canonico regolare e preposito, forse, in San Pietro a Ripa.
Predicatore di valore, lottò per la riforma del clero, indispettendo il vescovo Manfredo che tentò di tenerlo lontano da Brescia.
Accusato presso Innocenzo II, questi nel 1139 gli proibì di tornare a Brescia.
Rifugiatosi in Francia, fu al congresso di Sens (Borgogna, Francia, 1 giugno 1140) dove San Bernardo lo accomunò ad Abelardo, accusandolo di “pessimo del clero”.
Ma San Bernardo ottenne dal re Luigi VII che Arnaldo fosse espulso dalla Francia, e si irritò quando lo seppe presso il legato card. Guido. Invece Arnaldo, ottenuto il perdono da Eugenio III, si portò a Roma in pellegrinaggio penitenziale.
Qui si inserì nella lotta tra il papa e il Comune romano. Con suggestiva predicazione, Arnaldo sostenne l’autonomia del Comune al Papa e continuò ad insistere contro l’alto clero, guadagnandosi l’appoggio del basso clero.
Condannava la chiesa feudale e mondana, negando la chiesa della tradizione e della gerarchia.
L’elezione dell’imperatore Federico Barbarossa (9 marzo 1152) e di papa Adriano rinfocolò la lotta di Arnaldo.
In seguito ad un attentato contro il card. Guido, compiuto dai suoi seguaci, indusse il papa a colpirlo di interdetto, che gli fu tolto il 23 marzo 1155. Espulso da Roma, Arnaldo andò al Nord ma tu fatto arrestare dal card. Odone a Spedaletto.
A Odone lo tolsero i visconti di Compagnatico.
Fu poi rivendicato dai cardinali recatisi a San Quirico d’Orcia incontro al Barbarossa.
Secondo alcuni sarebbe poi stato impiccato per ordine del prefetto di Roma; secondo altri, soppresso dai servi del prefetto per vendetta, a causa di una grave carneficina avvenuta da parte del popolo nell’assalto alla città leonina.
Il corpo fu poi bruciato e le ceneri gettate nel Tevere per toglierlo alla venerazione del popolo furente.
Gli arnaldisti furono condannati a Verona il 4 dicembre 1184 e si dispersero.
Fu riscoperto dal giansenismo lombardo e specialmente da Giovanni Battista Guadagnini, e poi dall’anticlericalismo e dalla Massoneria che, come ad assertore di libertà e martire del libero pensiero, gli eressero a Brescia nel 1882 un monumento, opera pregevole di A. Tabacchi, inaugurato il 15 agosto dello stesso anno con solennissime feste.
ABBA Giuseppe Cesare
1838 - 1910
Affiliato alla Reale Loggia Amalia Augusta (1809).
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ‘21).
Nacque a Cairo Montenotte (Savona) 6 ottobre 1838. Scrittore intellettuale e patriota garibaldino. Uno dei “Mille”.
Fu al seguito di Garibaldi dal 1859 al 1866; si unì ai volontari del F.: Giuseppe Garibaldi per la spedizione nel Regno delle Due Sicilie.
Soldato semplice iscritto nella VI compagnia, poi furiere maggiore e infine sottotenente, il 5 maggio, dallo scoglio di Quarto si imbarcò con i Mille per la Sicilia, dove ebbe il battesimo del fuoco combattendo nella battaglia di Calatafimi, si meritò i gradi di ufficiale nella presa di Palermo e partecipò anche alla battaglia del Volturno, dove riportò una menzione onorevole.
Nell’aprile del 1861 ritornò a Cairo Montenotte dove, con altri uomini sensibili ai diritti sociali, fondò la Società Operaia di Mutuo Soccorso, una delle prime della Valle Bormida, che contribuì a emancipare socialmente il paese.
Terminata la guerra, nel 1867 si ritirò a Cairo Montenotte dove, eletto sindaco, promosse e realizzò numerose opere di interesse generale, affrontando i problemi più immediati nel campo dell’istruzione, dell’igiene e dell’urbanistica.
Sempre a Cairo, nel 1875 terminò di scrivere il romanzo storico Le rive della Bormida nel 1794 e nel 1880 pubblicò Noterelle d’uno dei Mille edite dopo vent’anni, poi rielaborate con il titolo Da Quarto al Volturno, forse il miglior libro dell’epoca sul Risorgimento italiano.
Fu in questo periodo che entrò in rapporto con il F.: Giosuè Carducci, che promosse i suoi scritti e lo spinse a pubblicare le Noterelle.
Passò poi all’insegnamento; nel 1884 vinse la cattedra di professore presso l’Istituto tecnico Nicolò Tartaglia di Brescia, dove insegnò per ben 26 anni diventando preside stimatissimo dell’istituto e consigliere comunale.
Nel 1889 fu eletto socio effettivo dell’Ateneo di Brescia.
Il 5 giugno 1910 fu nominato Senatore del Regno.
Fu autore della cronaca della spedizione dei Mille.
Fu uomo onesto, educatore irreprensibile e cittadino virtuoso.
I suoi funerali furono un’apoteosi per la cittadina lombarda e commovente fu il trasporto nel cimitero di famiglia a Cairo.
Sicuramente Massone già dai tempi della spedizione dei Mille, nel 1869 da Maestro fu tra i FFØž fondatori della Loggia Sabazia di Savona (n. 96 del GØžOØžIØž, fondata nel 1869), ancora esistente all’inizio del ventunesimo secolo.
Al FØž Abba è stato intitolato un quartiere di Brescia ad ovest della città e ormai fuso con Urago Mella: il Comune di Brescia, per promuovere la costruzione di alloggi, acquistò nel 1956 dalle sorelle Abba Legnazzi, eredi di Cesare Abba, una parte della loro proprietà di 100.000 metri quadri di terreno; nel contratto di acquisto le signore Legnazzi, che mantennero la bella casa in Urago, in via Piazza, vollero includere la clausola che il quartiere che si stava realizzando fosse intitolato all’illustre FrØž e protagonista risorgimentale.
Passò all’Or.: Eterno a Brescia il 6 novembre 1910 all’età di 72 anni.
ACCIARDI Adamo Libero
1929 – (?)
Affiliato alla Loggia (?)
Nato il 24/07/1929 a Breno e residente a Brescia di professione agente di Commercio.
Nulla sappiamo di questo Fr.:, mancando notizie certe su di lui, il nome dell’Acciardi non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.
Risulta essere nell’Elenco accorpato dei Massoni Italiani da:
http://www.sudpress.it/wp-content/uploads/2014/08/Elenco-Massoni-Italiani.pdf.
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AGOSTI Gianni
1932 – (?)
Affiliato alla Loggia (?)
Nato il 19 novembre 1932 a Brescia residente a Brescia di professione impiegato.
Nulla sappiamo di questo Fr.:, mancando notizie certe su di lui, il suo nome non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.
Risulta essere nell’Elenco accorpato dei Massoni Italiani del 2010 da:
http://www.sudpress.it/wp-content/uploads/2014/08/Elenco-Massoni-Italiani.pdf.
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ALBERTI Tommaso
1768 – 1838
Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta (1809).
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 53).
Nacque il 2 gennaio 1768 a Travagliato (Bs). Medico di chiara fama ed autore di diversi trattati di medicina, fu tra i fondatori dell’Ateneo di arti, scienze e lettere di Brescia.
Studiò a Rovato lettere e filosofia. Continuò gli studi nel ginnasio di Padova e, ottenuta la laurea dottorale in medicina, abitò a Brescia, iniziando a lavorare nel 1789 nel maggiore Spedale pubblico.
Pubblicò due saggi che diedero saggio della sua dottrina, l’uno, ancora giovanissimo, sulla fisica e l’educazione morale delle donne, l’altro sulla peripneumonia bovina, malattia contagiosa e spesso endemica, di cui egli fu primo nella nostra provincia a comprendere le ragioni, a descriverne la forma, a chiarirne la diagnosi, a stabilirne i principi teorici e a svelare l’impotenza dei rozzi metodi empirici popolarmente praticati. Cooperò altresì con passione alla propagazione dell’inserimento dell’allevamento vaccino nel nostro paese.
Fece parte della commissione eletta nel 1801 per la fondazione dell’Ateneo di Brescia, al cui incremento collaborò con qualificate memorie, quali furono un compendio dell’antica e moderna filosofia, un ragionamento sopra i casi di sesso dubbio nella specie umana, un altro intorno ad alcune sostanze autoctone, di virtù medicinale analoga a quella della china-china, e intorno all’uso della corteccia d’ippocastano contro le febbri intermittenti.
Ma più ancora che con i suoi studi di scienza giovò all’umanità, con la sua opera con cure private e incarichi pubblici, con singolare modestia, rara lealtà, specchiata rettitudine (vedi Nicolini Giuseppe, Tommaso Alberti. In: Accademici, defunti dall’anno 1837 a tutto 1844. Biografie. «Comm. Ateneo di Brescia» per l’anno 1844, pg.169 e A. Schivardi, Biografia dei Medici illustri bresciani, Brescia Venturini 1839, vol. 1 p.183).
Passò all’Or.: Eterno il 6 ottobre del 1838 a Brescia all’età di 70 anni, dopo avervi esercitato la medicina per anni cinquanta.
ALEMANNI Luigi
(?)
Fratello fondatore della Regia Loggia Arnaldo all’OrØž di Brescia di RSAA (1863).
(Silvano Danesi, o.c. Liberi Muratori in Lombardia, ecc, Edimai, 1995, p. 119).
Già tra il 1869 e il 1870 apparvero sul giornale «Vedetta di Novara» alcuni articoli dell’ex luogotenente Luigi Alemanni a favore della massoneria.
Nulla sappiamo di questo Fr., mancando notizie certe su di lui, il suo nome non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.
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ALESSANDRI Marco
1775 – 1830
Dignitario onorario della Reale Loggia Amalia Augustam(1809).
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 50).
Nacque a Bergamo il 28 giugno 1775. Politico italiano.
Di famiglia nobile e facoltosa.
Fu presto attratto dalla politica e dalle idee innovatrici dell’epoca per influenza del libraio Giuseppe Rondi.
Si iscrisse così alla Massoneria e nel 1796. Fu nominato Maestro Venerabile della Loggia massonica La Riunione di Bergamo.
Dopo l’ingresso dei Francesi in Bergamo il 25 dicembre 1796, organizzò con G. Adelasio e P. Caleppio la rivoluzione bergamasca contro A. Ottolini, ultimo podestà di Venezia.
Fu inoltre uno dei componenti della Municipalità Provvisoria di Milano nel 1796 e fino al 1798 del Direttorio della Repubblica Cisalpina.
Esule durante la reazione austro-russa, fece parte della commissione che nel 1804 si recò a Parigi per offrire la corona del Regno Italico a Napoleone.
Rappresentò la Loggia Reale Eugenio di Milano all’atto di fondazione del Grande Oriente d’Italia con sede a Milano, venendo poi nominato nel 1805 Gran Tesoriere e nel 1808 Gran Conservatore Generale in esercizio (Vittorio Gnocchini, L’italia dei liberi Muratori, Roma, Esasmo, 2005, pp. 7-8). Fu uno degli Ispettori generali del Gran Consiglio dei 33 col titolo di Gran Tesoriere.
Divenne poi Ciambellano del viceré Eugenio e nel 1809 senatore del Regno.
Era [forse] ancora vivente nel 1831 (in Paolo Guerrini, Pagine sparse IV, Appendice 1 ͣ -Elenco dei Massoni della Loggia Bresciana del 1809, Ed. del Moretto 1985).
Dopo la sconfitta di Napoleone e il ritorno degli austriaci a Milano abbandonò la politica e si ritirò a vita privata.
La Biblioteca Angelo Mai conserva l’archivio del Fr. Marco Alessandri, all’interno del quale si trovano delle sue lettere e altre lettere sono reperibili in vari specola. L’archivio non è inventariato.
Passò all’Or.: Eterno nella sua villa di Villongo S. Filastro (Bergamo) il 21 giugno 1830 all’età di 55 anni (secondo il Rapporto Torresani riportato in Luzio La Massoneria sotto il Regno Italico nell’Arch. stor. lombardo, 1917 pag.328, era invece ancora vivente nel 1831).
AMBROSIONI Bernardo
(?)
Fratello della Reale Loggia Amalia Augusta (1809).
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p.62, che lo cita come AMBROSIONE).
Viceprefetto di Breno (dopo il 1809), appartenente allora al Dipartimento del Serio.
Poco sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui.
Il nome dell’Ambrosioni non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche, se non per aver contribuito alla diffusione di ideali massonici ed illuministi.
La famiglia Ambrosioni svolse la sua attività di tipografi a Poschiavo, nei Grigioni (Svizzera), centro di diramazione delle stampe rivoluzionarie verso i territori lombardi e veneti.
Per loro tramite l’Illuminato barone Tommaso De Bassus, imparentato con Giuseppe e Bernardo Ambrosioni, riuscì a far pervenire in Lombardia i suoi scritti. Grazie ai contatti con gli Ambrosioni e il musicista Mayr (che con gli Ambrosioni lavorò tre anni a Poschiavo), i Massoni di Bergamo [e Lombardia] ebbero modo di far proprie le tesi pedagogiche massoniche europee, ma probabilmente anche degli Illuminati, e vediamo perché.
Gli Illuminati (conosciuti anche come gli Illuminati di Baviera o più precisamente l’Ordine degli Illuminati) sono stati una società segreta nata in Baviera nel XVIII secolo. Il principe elettore di Baviera Carl Theodor pubblicò il 22 giugno 1784 (data simbolica solstiziale) “l’interdizione assoluta d’ogni comunità, società e confraternita segreta o non approvata dallo Stato”. Molti FrØž Massoni chiusero colà le logge, ma gli Illuminati, che avevano membri alla Corte, continuarono ad esistere in segreto; spostarono le loro attività da Ingolstadt (Baviera) verso il castello di Sandersdorf -Brehna nella Sassonia-Anhalt, che il barone Thomas Franz (o Tommaso Maria) De Bassus (uno dei massimi dignitari dell’Ordine) mise a disposizione. De Bassus venne ulteriormente perseguitato e fu costretto a spostarsi nei possedimenti nei Grigioni, a Poschiavo, dove installò la tipografia e si dette, con gli Ambrosioni, alla stampa e diffusione di libri di idee liberali, illuminate e anticlericali.
Dopo il bando dell’Ordine, gli Illuminati furono ufficialmente dichiarati fuori legge, sicuramente perseguitati e, al di là delle ricostruzioni fantastoriche, forse estinti, sicuramente dispersi e quindi radunati nelle numerose ramificazioni delle principali osservanze massoniche in Europa [e Bergamo e Brescia ne erano parte] (vedi Atti del Convegno di Studi per il bicentenario della nomina di Giovanni Simone Mayr a Maestro di Cappella in Bergamo, a cura di L. Aragona, F. Bellotto e M. Eynard.).
Il FrØž Ambrosioni fu Maestro Venerabile della Loggia La Riunione (o La Unione).
Loggia di Rito Scozzese Antico e Accettato, fondata il 27 Ottobre 1804 all’obbedienza del Grande Oriente di Francia. Il 20 Giugno 1805 La Riunione insieme ad altre 5 Logge di Milano partecipa, con il MØž VØž Ambrosioni e il M. Ven. Aggiunto Locatelli, all’atto di fondazione del Grande Oriente d’Italia con Patenti del conte Degrasse - Tilly, proponendo Eugenio di Beauharnais Gran Maestro. Dal Quadro del Grande Oriente d’Italia del 1808 risulta ancora l’Ambrosioni essere Maestro Venerabile. E ancora dal “Calendrier Maconnique indicatif des assembles ordinaires du G:. O:. de France, pour l’an de la V:. L:. 5813”, Paris, Poulet, 24°,pp528, risulta Venerabile ancora Ambrosini [o Ambrosioni?]. Nell’Aprile 1814, in seguito al trattato di pace di Schiarini Rizzino, firmato dal Gran Maestro Eugenio di Beauharnais e l’austriaco, FrØž generale Bellegarde, cessa di esistere la Massoneria obbediente al Grande Oriente d’Italia sedente in Milano (da: “Contributo allo studio della Massoneria italiana nell’era napoleonica” del FØž bresciano Ed. Stolper, Rivista Massonica, 1977 n°4).
Vi sono su lettere nell’Archivio Custodi della Civica Biblioteca “Angelo Mai).
Ancora vivente intorno al 1831 (secondo il rapporto del FrØž Torresani edito dal Luzio nell’Arch. stor. lomb.,1917): il Torresani che include l’Ambrosioni in un elenco compilato nel 1831 sugli ex Massoni della Loggia non meglio identificata all’OrØž di Bergamo, ma che nel 1796 aveva Alessandri conte Marco come Maestro Venerabile, che coprirà nella Massoneria i più alti gradi nel Grande Oriente d’Italia e una sua annoverata appartenenza alla Reale Loggia Amalia Augusta di Brescia (vedi voce Alessandri Marco).
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ANDREOLI Faustino
(?)
Massone nel periodo 1820-1822.
(Annibale Alberti, in Regio Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Elenchi di compromessi o sospettati politici 1820 – 1822, parte I, p. 3, n. 4):
«Andreoli Faustino, detto Venturini. [Fratello di Lugi (vedi)] Idem - Idem. Idem. - Il Commissario di Polizia di Salò lo qualifica antico Massone» (in Archivio di Stato, Milano, Processo dei Carbonari, Registri risultanze processuali, Reg. A, Fol. 4). Idem. Fratello dell’anzidetto [Luigi Andreoli posto successivamente nel nostro elenco alfabetico].
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ANDREOLI Luigi
(?)
Sospettato Carbonaro [forse Massone] nel periodo 1820-1822.
Possidente di Toscolano (Brescia).
(Annibale Alberti, in Regio Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Elenchi di compromessi o sospettati politici 1820 – 1822, parte I, p. 3, n.3):
«Dagli atti assunti in via politica dietro segrete denunzie state portate sopra la sospettata esistenza di Carbonari in Toscolano vien pur questo indicato fra le persone affezionate al cessato Governo, e sospetto Carbonaro, aggiungendosi aver esso dati dei pranzi, ai quali intervennero altri individui della stessa opinione politica, e fra questi i Lecchi [altra denom. dei Lechi], di cui si parla a suo tempo, ove si vuole, che si parlasse di politiche notizie e sulla rivolta di Napoli (in Archivio di Stato, Milano, Processo dei Carbonari, Registri risultanze processuali, Reg. A, Fol. 4, si aggiunge: «figlio di Giovanni», e le informazioni sono riportate con varianti come segue: «Una anonima denuncia qualificava i fratelli Luigi e Faustino Andreoli per persone affezionate al cessato governo italico, sospetti di carbonería, aggiungendo aver essi dato dei pranzi a cui intervennero i Conti Lecchi ed altri individui dello stesso modo di pensare, la qual ultima circostanza venne conferm ata da Gio. B. Tadeotti, lo che fu confermato da Felice Calcinardi, altro confidente»). Si proseguono le investigazioni».
ANELLI Angelo
1761-1820
Fratello Affiliato alla Reale Loggia Amalia Augusta (1809).
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 62).
Lontano da Brescia per domicilio o per ufficio.
Nacque a Desenzano del Garda (Brescia) il 1º novembre 1761. Noto poeta, librettista e scrittore italiano.
Scrisse anche utilizzando gli pseudonimi di Marco Landi, Niccolò Liprandi, Tommaso Menucci di Goro, Giordano Scannamusa, Gasparo Scopabirbe.
Ha studiato letteratura e poesia in un seminario di Verona.
Nel 1793 si iscrive all’Università di Padova, conseguendo due anni dopo la laurea in Diritto Canonico e Civile.
Attivo nella politica della Repubblica Cisalpina in gioventù, fu incarcerato due volte.
Il suo sonetto del 1789 sulle vicissitudini dell’Italia sotto la dominazione austriaca, “La calamità d’Italia”, fu per lungo tempo erroneamente attribuito al F.: Ugo Foscolo.
Nell’aprile del 1807 chiedeva di essere affiliato alla Loggia di Brescia. Il Pagani, che era di Lonato e doveva conoscere l’Anelli, riceveva dal Venerabile Pederzoli l’incarico di fornire informazioni sulla moralità e sui talenti dell’Anelli. Nel carteggio del Guerrini non c’è la tegolatura scolpita dal Pagani, che deve essere stata favorevole, poiché l’Anelli fu accolto in Loggia, e ne fu anzi un fratello fervente [Paolo Guerrini, Pagine Sparse, ed. del Moretto, 1985].
Ne “I Commentari dell’Ateneo di Brescia 1808 – 1907", (ed. Apollonio 1908), è conservato “Saggi del suo poema - Le cronache di Pindo – an. 1808, pag.106 – 1812, pag. 7 – 1814 pag. 23”.
Si laureò in legge, fu librettista del Teatro alla Scala dal 1799 e il 1817, specializzato nel genere buffo.
Dal 1799 al 1817, Anelli è stato uno dei “librettisti di casa” alla Scala; scrisse circa 40 libretti; i suoi libretti d’opera includono quelli per L’italiana in Algeri di Rossini, I fuorusciti di Firenze di Paer , La secchia rapita di Usiglio e Ser Marcantonio di Pavesi, che in seguito formarono le basi per il Don Pasquale del F.: bergamasco Donizetti .
La caduta dell’Impero napoleonico, nel 1817 portò alla soppressione della cattedra e Anelli si trasferì all’Università di Pavia, dove diventò supplente della cattedra di procedura penale e notarile; iniziò per lui un periodo di difficoltà economiche, che si protrasse fino la sua morte, avvenuta nel 1820.
Fu anche uomo politico, attivo durante la fase della Repubblica Cisalpina, nonché docente di Eloquenza Pratica Legale nelle Regie Scuole Speciali di Milano, cattedra che si aggiudicò attraverso un concorso a cui prese parte anche Ugo Foscolo, Fratello della stessa Loggia Amalia Augusta, che da allora fece di Anelli uno dei suoi bersagli polemici favoriti.
Stendhal fu un suo ammiratore ed ebbe per lui parole di elogio in Rome, Naples et Florence: dopo avere ricordato che “di solito le sue pièces hanno solo due rappresentazioni perché alla seconda la polizia le vieta”, egli afferma che nel suo stile “si ravvisano dei tratti di Dancourt, di Gozzi e di Shakespeare”; la qualità più apprezzata dallo scrittore transalpino era la sua capacità di fare satira in modo intelligente, perfettamente comprensibile in un dato contesto, ma abilmente dissimulata ai profani; in tal modo si spiegava, secondo lui, il fatto che sotto Napoleone fosse riuscito a far rappresentare L’Italiana in Algeri, in cui la carica di Pappataci, caratterizzata dal “mangiar bene e ben dormir” adombrava in realtà una severa critica al Senato d’Italia.
Fu membro della loggia di Brescia Amalia Augusta, come riportato da Enrico Oliari, “La R.L. Amalia Augusta di Brescia”, in Hiram, n. 3, 2019, pp. 21-31.
Passò all’OrØž Eterno a Pavia il 9 aprile 1820 all’età di 59 anni.
ANTONELLI Antonio
(?)
Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta (1809).
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p.53).
Lontano da Brescia per domicilio o per ufficio.
Nulla sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui, il nome di Antonio Antonelli non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.
ARICI Carlo Antonio
1766 – 1850
Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta (1809).
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 53 e 357).
Fu Sorvegliante onorario e Bibliotecario della Loggia nel 1809.
Nacque a Brescia il 20 maggio 1766. È stato poeta e patriota.
Con i suoi due fratelli fu tra i congiurati che promossero la Repubblica bresciana nel 1797 e si distinsero poi nel periodo napoleonico, Vincenzo (1771-1812), Guardia d’onore nell’Esercito Italiano al seguito del Viceré Eugenio, morì nella ritirata di Russia prima di entrare in Wilna e Pietro (1774-1841) mori celibe.
Gli Arici sono una antica e nobile casata bresciana divisa in parecchi rami. Carlo Antonio è figlio del nobile Luigi (Dottore di Collegio) e di Paola Conter ed era iscritto nell’Elenco nobiliare del 1840, sposò Claudia De Filippi (1778-1858). Il figlio di Carlo Antonio, Luigi, si sposò con Margherita dei conti Revedin, ebbe vari figli, la cui discendenza è descritta col titolo di «nobile» per mf. nell’Elenco Ufficiale.
Preparò la rivoluzione bresciana del 1797. Fatto si è che il 4 maggio 1794, all’uscita del Teatro, fu arrestato con Federico Mazzuchelli, condotto il secondo nel castello San Felice di Verona, e Carlo a Bergamo, venne liberato dopo qualche mese.
Fondò nel 1795 a Brescia una società giacobina; nel giugno un dispaccio del Mocenigo, rappresentante dalla Serenissima a Brescia, informava Venezia che Giacomo Lechi, Giovanni Mazzuchelli, Carlo Arici, Ottavio Bardella, Giovanni e Francesco Caprioli (quasi tutti sarebbero stati, nemmeno due anni dopo, tra i firmatari del giuramento del 17 marzo 1797, la sera antecedente al giorno del distacco di Brescia dallo stato Veneto) si erano uniti in società segreta col vincolo di “fratellanza indissolubile” insieme con appartenenti ad altre classi sociali e che lo stesso mese di giugno Carlo Arici, con Giacomo Lechi e Federico Mazzuchelli, partì per un viaggio di istruzione in Svizzera: fu una partenza non autorizzata, che diede origine, il 26 giugno e il 12 luglio, ad allarmati dispacci del Mocenigo.
Molta confusione nella sua biografia viene fatta dal Guerrini che lo confonde con Arici Cesare, letterato ed appartenente ad altro ramo della casata. Vero è che il 17 marzo 1797 fu tra coloro che giurarono di instaurare la repubblica, facendo parte, il giorno appresso, del comitato per la nomina del nuovo governo, presiedendo anche quello di sorveglianza. Fu in seguito rappresentante di Brescia nel “Consiglio degli juniori” della Cisalpina, dal quale si dimise nel 1798. Esule nel 1799, fu tra i 454 rappresentanti italiani ai Comizi di Lione (vedi Luigi Amedeo e Biglione di Viarigi, Alla vigilia della Repubblica Bresciana del 1797: un carteggio inedito nell’Archivio Lechi (luglio-settembre 1795) in Comm. Ateneo di Brescia») e nel 1802 fece parte dei 30 incaricati di concertare il nuovo governo della Cisalpina.
Si ritirò alla vita privata alla sua villa di Calvisano, fornito di buoni libri, intento sopra tutto alla filosofia, alla storia, all’ agricoltura. Coltivò filosofia, storia, agricoltura (Cfr. cenno nei Comm. Ateneo 1852, pp. 328-330 - Vedi op. cit. di Paolo Guerrini).
Passò all’O.: Eterno a Brescia il 25 giugno 1850 all’età di 84 anni.
ARMANDI Pier Damiano
(1778 - 1855)
Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta (1809).
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 53).
Nacque a Faenza il 22 febbraio del 1778, di famiglia di Fusignano. Patriota, scrittore, generale italiano delle milizie napoleoniche.
Fu Oratore onorario della Loggia nel 1809. Compose l’Elogio funebre per il funerale del defunto FØž G. Giulj nell’opuscolo in miscellanea “Inaugurazione dello stendardo della L. del g. 2. del m. 8. dell’anno 5807”. Nello stesso opuscolo troviamo una Discorso per la recezione di un Neofita fatta il g Øž 5Øž del mØž 7 dell’anno 5808Øž.
Uscito dalla Scuola militare di Modena, servì nell’esercito della Repubblica e dell’Impero, combatté a Genova, a Savona, poi in tutte le guerre napoleoniche, segnalandosi nelle battaglie di Austerlitz, Vicenza, Wagram, Bautzen, dove sul campo fu da Napoleone nominato Colonnello d’artiglieria, quindi a Dennewitz, a Lipsia, a Hanau. Caduto Napoleone, poté recarsi a Roma, dove divenne istitutore dei figli di Luigi Bonaparte, ex-re d’Olanda, e tenne anche l’amministrazione di Girolamo Bonaparte e di Ortensia.
Nel 1814 seguì il Murat nel suo tentativo.
Nella rivoluzione del 1831 fu dal Governo rivoluzionario provvisorio di Bologna promosso Generale e nominato Ministro della guerra.
La sua opera in tale carica fu assai criticata da uomini come il Fr.: Mazzini e il Colonnello, poi Generale, Sercognani.
Le accuse di lentezza, d’imprevidenza, di mancanza d’iniziativa non sono destituite di qualche fondamento (contribuì, sembra, con la sua passività al fallimento del moto): egli si difese con la pubblicazione Ma part aux événements importants de l’Italie centrale en 1831 (Parigi 1831), che il Sercognani controbatté aspramente.
Dalla Francia, ove si era esiliato, corse in Italia dopo l’amnistia di Pio IX ed ebbe parte gloriosa nella difesa di Venezia nel 1848-49; di nuovo esule in Francia, ebbe da Napoleone III la nomina di Bibliotecario imperiale a Saint-Cloud. Scrisse una Histoire militaire des eléphants, depuis les temps les plus reculés jusqu’à l’introduction des armes à feu (Parigi 1842), opera ricca di erudizione che ottenne grande successo (che si cita ancora volentieri).
Bibl.: G. Vicini, La rivoluzione dell’anno 1831, Imola 1889; L. Vicchi, Il generale Armandi, Imola 1893; G. Fantoni, Il generale Armandi e la difesa di Venezia, in Risorgimento italiano, I, n. 4 (settembre 1908), p. 583 segg.; G. Canevazzi, La Scuola milit. di Modena, Modena 1914, I, pp. 234-237; A. Sorbelli, Opuscoli stampe alla macchia, ecc., Firenze 1927, pp. XXIX-XXXI.
Passò all’Or.: Eterno a Aix-les-Bains (Francia) il 3 agosto 1855 all’età di 77 anni.
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ARRIVABENE Ferdinando
1770-1834
Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta (1809).
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p.53 e 63).
Nacque a Mantova nel 1770. È stato un patriota, letterato e poeta italiano.
Fu Oratore aggiunto della Loggia bresciana nel 1809. Iscritto alla Massoneria fin da giovane.
Fratello maggiore di Giovanni Arrivabene, amico degli Ugoni.
Dopo una laurea presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova, entrò al servizio del governo della Repubblica cisalpina.
Fu un fervente giacobino: membro del Collegio elettorale dei Dotti a Bologna, deputato al corpo legislativo della Repubblica italiana, partecipò con passione alla fervida vita politica del suo tempo e coltivò appassionatamente le lettere e l’amicizia dei letterati.
I FF.: Foscolo e Monti lo stimarono, e a Brescia era considerato del Cenacolo di Bianchi, Arici, Ugoni, ecc.
Sotto l’impero austriaco, Ferdinando fu arrestato nel 1800 (o 1799) per accuse politiche e inviato alla prigione di Sebenico, in Dalmazia. In prigione, scrisse la canzone "La tomba di Sebenico”, che ebbe grande risonanza; in esso il poeta espresse la sua indignazione per l’ingiusta prigione. Presto le autorità fecero marcia indietro e Ferdinando fu rilasciato.
Nel 1804 fu nominato consigliere della Corte d’appello a Lione.
In seguito fu giudice del Tribunale di Mantova e poi fu promosso a Consigliere d’Appello a Brescia durante in Regno Italico.
Si annota che sempre a Brescia ricoprì anche il ruolo di presidente del Tribunale cittadino per i reati politici.
Nel 1814, con il ritorno del governo austriaco che lo trasferì a Bergamo, attenuò i suoi ardori politici e mise in sordina i suoi principi massonici e repubblicani [forse si mise in sonno?].
Nel 1821 lasciò il servizio e tornò nella sua città natale per dedicarsi interamente all’attività letteraria.
Ferdinando è stato il fratello di Isabella Arrivabene gentildonna di alti spiriti nella quale il sapere e le virtù cittadine costituivano il retaggio di secoli, sposa del FØž Pietro Tazzoli (vedi).
Ferdinando «il noto autore del “Secolo di Dante”, l’amico di Foscolo, il legislatore e Consigliere di Appello sotto il primo regno d’Italia, privilegiato per l’elevatezza della mente, per la vastità ed estensione delle più sode e svariate cognizioni, per la generosità dell’animo e per l’ardente smania di giovare a’ suoi simili, venerando allora per la deportazione e prigionia sofferta per amore di patria nel forte di San Nicolò di Sebenico in Dalmazia. Nè credasi per caso che il bonorivo confatto con uomini generosi, fosse anche inconscio, rimanesse senza influsso sul tenero e suscettibile animo di un fanciullo qual era Enrico Tazzoli [il nipote patriota e uno dei famosi martiri di Belfiore]» (Timoleone Vedovi, Cenni biografici dei Matiri di Belfiore e di S. Giorgio, Mantova, 1872).
Scrisse “Il secolo di Dante” (Udine, 1827) e “Degli amori di Dante” (Mantova, 1823); inoltre, il trattato giuridico-filosofico “Sulla filantropia del giudice”, che ricevette un premio dall’Accademia di Brescia.
Nell’opuscolo Giuseppe Napoleone in Madrid, Agape del GØž 8 del MØž 12 – AnØž dØž vØž LØž 5808 (Brescia, pp. 43 in 16 s.i.t., una copia è nella miscellanea queriniana 5° K. IX. 15 proveniente dalla biblioteca Giambattista Pagani), c’è una sua breve raccolta Il vaticinio della tomba d’Ercole: visione, in cui l’Arrivabene se la prende con l’Inquisizione spagnola, fa diventare Massoni il Cervantes, Lopez de Vega, Aonio Paleario, e paragona i generali Pino, Lechi e Mazzuchelli, [fratelli onorari della Loggia bresciana], ai generali cartaginesi di Annibale. Il paragone era forse un po’ troppo calzante e veritiero. Suo è il brindisi che si trova nell’opuscolo in miscellanea “Inaugurazione dello stendardo della L. del g. 2. del m. 8. dell’anno 5807” col titolo “Installazione dei nuovi Dignitari ed Uffiziali ed agape del S. Gio. d’Inverno 5807 nella quale si festeggiò pure il ritorno della Divisione italiana della Grande Armata”. Compose un Sonetto e un Lamento per il funerale del FØž G. Giulj letto all’Agape di S. Giovanni d’Inverno del 5807, nell’opuscolo in miscellanea “Inaugurazione dello stendardo della L. del g. 2. del m. 8. dell’anno 5807”. Nello stesso opuscolo troviamo una Novella per l’Agape del S. Giovanni d’Estate del 5808.
Per la sua attività letteraria vedi Mazzoni, L’Ottocento.
Passò all’Or.: Eterno il 24 giugno 1834 a Mantova all’età di 64 anni.
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ASTIRITI Pasquale
1891 – 1950
Affiliato alla Loggia Arnaldo da Brescia (1945).
Principe del real Segreto e 32° C.C.O. Cavaliere d’Onore della Santa Cripta o Cavaliere della Corte d’Onore del RSAA.
Nacque a Catanzaro il 3 maggio 1891. Fu avvocato e giudice, membro attivo del Partito nazionale fascista.
Si laureò in giurisprudenza a Napoli nel 1912 con 110/110. Nel maggio del 1913.
Le informazioni assunte dai carabinieri riportano che sia “di buona condotta morale e politica e non ha precedenti né pendenze penali. Ottime sono le sue condizioni finanziarie e quelle dei parenti” e in quelle, simili, ma firmate dalla prefettura si legge: “Appartiene a famiglia che gode pubblica stima. Il padre di lui esercita la professione di avvocato e mantiene decorosamente la famiglia”.
Entrò in servizio nel 1913 a Catanzaro. Si sposò nel 1919.
Mi dilungherò un poco sulla biografia del Fr. Pasquale Astiriti con l’obiettivo di considerare il funzionamento dell’apparato giudiziario all’epoca fascista, considerando, attraverso l’approfondimento delle vicende personali di questo Fr.: massone e magistrato bresciano coinvolto nei processi di epurazione, una necessaria prudenza, adatta ad uno dei più delicati passaggi della nostra storia.
Andrea Baravelli aiuta a fare un po’ di chiarezza col suo saggio del 2010 “Magistrati a Brescia tra regime fascista e Repubblica”, avendo avuto accesso ai fascicoli personali dei magistrati; l'osservazione dei loro fascisoli personali mette in risalto la progressiva, maggiore, importanza dei meriti "fascisti", sempre più necessari per compiere una carriera di alto livello, non che le influenze politiche fossero assenti nel periodo precedente, tuttavia nel corso della seconda metà degli anni '30 si assiste ad una accentuazione dei titoli politici obbligatori per essere promossi.
La parte riconoscibile di questi sono l’iscrizione al Pnf e la condizione civile di coniugato, meglio se con prole; spesso un grado ricoperto nella Milizia e la sottolineatura della partecipazione alle campagne militari.
Quale valore dare all’accondiscendenza della magistratura nei confronti del regime fascista? Era essa inevitabile, in base ai principi della lealtà che un corpo dello Stato deve al legittimo detentore del potere politico-istituzionale? Oppure, rappresentava una prova dell’intima avversione nei confronti della democrazia? Leggendo del FrØž Pasquale Astiriti risulta poco comprensibile anche la volontà d’essere membro della Libera Muratoria e nel contempo essere convinto assertore di valori contrari alle libertà insiti nel Pnf ed essere anche ligio difensore delle leggi fasciste, quale un’autorità di giustizia di Stato deve essere, anche se dittatoriale e liberticida. La qualità, lo spessore, il grado del coinvolgimento con gli apparati della dittatura vanno al di là di un’analisi delle sentenze e dei provvedimenti che un singolo magistrato abbia stilato. L’incontro col fascismo fu un colpo di fulmine, culminato spesso con un matrimonio tra i singoli giudici e la dittatura, diversamente l’appuntamento con la repubblica democratica sarebbe stato per i giudici ben più.
Dopo Catanzaro prestò servizio a Lucca, Napoli, Soriano Calabro, Vestone 1917 (ma prestò servizio pure alle preture di Presceglie e Bagolino, poi soppresse), Salò, Brescia dal 1923. Ad un concorso del 1927 per esame e per titoli a consigliere di Corte d’appello, non fu ammesso alle prove orali poiché agli scritti aveva preso 8 a diritto penale, ma era risultato “non idoneo” a diritto civile, a diritto commerciale e a diritto amministrativo.
Nel 1930 chiese di “essere sottoposto in anticipazione a scrutinio per la promozione in Corte d’appello”, in cui dichiarava che era stato impossibilitato a partecipare alle udienze civili concentrandosi sull’istruzione dei processi penali. Il Consiglio superiore lo dichiarò nel novembre 1931 promovibile “per merito distinto”.
Quindi i suoi incarichi esterni, nella progressiva fascistizzazione dell’amministrazione della giustizia, sono quelli che appaiono essergli d’aiuto nello sviluppo della carriera, piuttosto che una preparazione giuridica esente da pecche. Infatti, altre lettere di magistrati in servizio a Brescia mettono in luce come nell’ottobre del 1933, in vista di una promozione a presidente di sezione del locale Tribunale, a cui aspirava Astiriti, si paventasse il rischio di rompere una “cordiale armonia” tra la Procura e il Tribunale: il procuratore generale Ranelletti scrisse all’Ufficio superiore del personale del Ministero, ricordando che l’anno precedente era dovuta intervenire la Corte di cassazione, con una sentenza del luglio 1932, per risolvere un “conflitto sorto per l’illegittimo rifiuto del Giudice Istruttore Astiriti ad eseguire gli atti istruttori richiesti dal Procuratore del Re”.
Ranelletti aggiunse che pure Botturini concordasse col suo parere e di evitare la promozione ad Astiriti che sarebbe diventato “superiore di giudici più anziani di lui”.
Infatti nel dicembre del 1933 giunse comunicazione ad Astiriti che era stata presa nota della sua aspirazione, ma che non c’erano posti disponibili e che a simili provvedimenti “ad ogni modo, non vien dato corso di regola se non su conforme proposta dei Capi della Corte d’appello del Distretto”.
Per di più, anche se inserito nell’elenco dei magistrati promovibili, era preceduto da 224 colleghi.
Partita chiusa dunque a suo sfavore, ma solo in quel momento.
Nella Graduatoria del personale del 1932 risulta in linea con decine dei propri colleghi, entrati come lui in servizio nel 1913 e promossi l’ultima volta nel 1915; in quella del 1941 ha fatto un notevole salto in avanti, risultando in linea con decine colleghi entrati tra il 1905 e il 1910, mentre per tutti quanti l’ultima promozione era del 1934.
Una brillante carriera, sviluppatasi dopo i primi anni ‘30: solo bravura tecnico-giuridica?
Non si direbbe: piuttosto pare influenzata anche dalla politica e, nel caso specifico, dal Pnf. Così nel fascicolo personale ci sono altre lettere e documenti che attestano il costante interessamento di politici e giudici che si scrivono tra di loro, col ministero, rispondendo all’infaticabile scrivano Astiriti: lo stesso Botturini inviò al guardasigilli Pietro De Francisci nel luglio 1933 un attestato del segretario federale di Brescia che dichiarava l’iscrizione di Astiriti al Pnf dal 1° giugno 1922: antemarcia era un titolo che faceva maturare il diritto di preferenza nella promozione, a parità di merito, ma non sempre.
Nonostante tutti gli sforzi di Astiriti - e comparandolo con decine di altri giudici di cui si sono consultati i fascicoli personali, si direbbe buon magistrato e perfetto fascista.
Il Botturini, che era stato sfavorevole qualche anno prima alla sua promozione, nel giugno 1939, quando Astiriti si presenta al concorso per la promozione al grado di consigliere di Cassazione, il primo presidente lo presentò con parole elogiative ricordandone soltanto gli aspetti positivi della sua carriera: “Quale consigliere da oltre cinque anni presso questa Corte d’appello, addetto alla seconda sezione civile, nonché alla magistratura del lavoro, agli infortuni sul lavoro, alla sezione speciale per i minorenni, alla sezione istruttoria, l’Astiriti ha confermato le sue qualità di magistrato valoroso. Possiede fervido e acuto ingegno, finissimo e rapido intuito giuridico, vasta e profonda cultura. […]Le sue sentenze sono assai pregevoli per l’esattezza ed armonica costruzione, per la diligente e acuta argomentazione e per lo stile appropriato e conciso. […] Fervente fascista, con tessera d’iscrizione anteriore alla Marcia su Roma, è da un decennio membro e vice presidente della Commissione di disciplina della Federazione provinciale fascista di Brescia. Ha tenuto in questi ultimi annilezioni alla scuola di preparazione politica. E’ da circa un anno presidente della locale Sezione dell’Istituto nazionale di cultura fascista. Serba condotta ineccepibile; è ammogliato senza figli. In base a quanto sopra riteniamo il comm. Astiriti ben meritevoledell’avanzamento a cui aspira”.
Probabile che compresa la lezione del 1933-34, Astiriti si fosse comportato in modo da non urtare i suoi superiori.
Nell’aprile del 1940 fu indetto un nuovo concorso, per 19 posti che però fu espletato con tempi più lunghi: era scoppiata la guerra.
In una lettera del dicembre del 1941 Astiriti rese noto al dicastero che era insignito del distintivo di “sciarpa littorio” come risultava dalla sua tessera del fascio di combattimento di Brescia.
Nell’aprile del 1942 scrisse al Guardasigilli che, in vista della sua prossima promozione, avrebbe gradito restare a Brescia o in subordine a Milano. Fu solo a settembre che giunse il decreto di promozione ed in dicembre Astiriti fu immesso nell’esercizio delle sue funzioni come presidente di sezione di Corte d’appello... ma a Venezia.
Quindi, nonostante tutte le intercessioni del Partito e di altri membri del regime, come pure dei funzionari dello Stato, quali i prefetti, tale vicenda pare dimostrare che ad Astiriti non siano stati sufficienti per accelerare la sua carriera.
Si ha l’impressione che i tradizionali criteri di promozione, quasi sempre basati sull’anzianità di servizio, riescano in questo caso a limitare le pressioni politiche: inoltre, a livello periferico, la parola che conta di più è quella dei vertici del distretto giudiziario.
Finalmente anche le pressioni politiche giunsero a buon fine: un appunto di Camillo Cantarano, capo dell’Ufficio del personale (quello che si occupa delle nomine e dei trasferimenti dei magistrati), dell’11 febbraio 1943 indirizzato al capo di gabinetto del presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni, comunica che “in relazione a precedente segnalazione, si informa che [...] Astiriti viene tramutato alla Corte di Appello di Brescia, come desiderava”. Il fatto è che una lettera del primo presidente di Brescia, Domenico Rosati, del 25 gennaio, rivela che erano due i candidati ad aver aspirato al posto che si era liberato a Brescia: Astiriti e Michele Aldi, entrambi in quel periodo in servizio a Venezia, ed entrambi per vari anni in servizio a Brescia. Rosati ricorda al suo interlocutore (forse lo stesso Cantarano): “L’Aldi è più anziano di grado avendo conseguito una miglior classifica nel concorso per la Cassazione e quindi un’anteriore …[forse “formazione”, n.d.a.]. L’Astiriti ha a suo vantaggio delle benemerenze politiche, avendo spiegato quando era a Brescia una notevole attività per le istituzioni del Partito. Se quest’ultima considerazione non dovesse prevalere, meriterebbe accoglimento la domanda dell’Aldi più anziano.”
Nel 1945 fu anche nominato Presidente della Corte d’Appello.
La sua iscrizione al Partito Nazionale Fascista gli permise di ricoprire “numerosi incarichi politici e culturali nelle organizzazione del Regime” come scriverà il quotidiano del partito «Popolo di Brescia» in data 09.02.1937, indicandolo come cosegretario della commissione federale di disciplina e insegnante presso la Scuola di preparazione politica cittadina.
Dopo la Liberazione fu sottoposto alla legge di epurazione.
Fu uno degli esponenti della Massoneria Bresciana di rito scozzese (testimonianza resa al Fr. Silvano Danesi da Carlo Emilio Gnutti), ma non si sa a quando risalga la sua adesione al sodalizio, probabilmente postbellico, considerato che il Gran Consiglio fascista, all’inizio del 1923, decretò l’incompatibilità tra l’iscrizione al Partito Nazionale Fascista e l’appartenenza alla Massoneria e il 20 novembre 1925 il provvedimento contro la Massoneria divenne a tutti gli effetti legge dello Stato. La dittatura fascista aveva fatto convergere sistematicamente il terrorismo squadrista con l’azione parlamentare allo scopo di mettere fuori gioco la Massoneria, considerata secondo le esplicite dichiarazioni del segretario aggiunto del PNF Giorgio Masi – «l’unica organizzazione concreta di quella mentalità democratica che è al nostro partito e alla idea della Nazione nefasta e irriducibilmente ostile, che essa, ed essa soltanto permette ai vari partiti borghesi e socialisti, dell’opposizione parlamentare e aventiniana la resistenza, la consistenza e l’unità di azione».
Nel 1945 in casa Astiriti, in Piazza Duomo a Brescia, riprese la propria attività una Loggia, denominata Leonessa. Un’altra Loggia Leonessa sarebbe esistita a Brescia nel 1915 e nel 1916, all’Obbedienza di Piazza del Gesù (testimonianza resa a Silvano Danesi da Carlo Alberto Di Tullio il 5/11/1994).
Passò all’OrØž Eterno a Brescia il 18 (20) agosto 1950 all’età di 59 anni.
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AVANZINI Massimo
1886 –1952
Affiliato forse alla Loggia Arnaldo all’OrØž di Brescia.
(Silvano Danesi, nel suo sito web: http://www.silvanodanesi.info/?page_id=494),
Nacque a Milano il 18 maggio 1886. Fu antifascista, avvocato e professore all’Università di Milano.
Discendente da antica famiglia gargnanese: secondo la testimonianza dell’avvocato Donato Fossati (a pagina 93 della sua opera "Benacum - storia di Toscolano" ed. Giovanelli 1941) “Gli Avanzini erano numerosi in Maderno fin dal tredicesimo secolo e vi sono tuttora: si diramarono a Gaino ed a Gargnano”.
Massimo Avanzini a tredici anni restava orfano di padre, ufficiale medico del Regio Esercito, e con modesti mezzi economici si laureava a Torino nel 1907 a ventuno anni in giurisprudenza, con pieni voti assoluti e pubblicazione della tesi di laurea "Sulle acque minori nel diritto civile".
Iniziò la professione legale in Brescia nello studio degli avvocati Bonardi, che poco dopo lasciò per mettersi in proprio aprendo uno studio in via Moretto.
A venticinque anni a Torino conseguiva la libera docenza in diritto commerciale con il volume sui "Contratti a termine" che costituiva il primo tentativo italiano di dare carattere istituzionale al negozio sotto il profilo borsistico e che, per le sue note e i richiami bibliografici, appare in molte parti così attuale da venire ancora oggi citato dai giuristi. Tenne corsi annuali di diritto commerciale all’Università di Torino finché ottenne il trasferimento alla Statale di Milano dove ebbe l’incarico fino al 1951 per l’insegnamento del diritto commerciale. Molti furono gli studenti bresciani che si laurearono con lui. Per lunghi anni fece parte del Consiglio dell’Ordine degli avvocati e procuratori di Brescia, fu membro, per l’università di Milano, per la commissione degli esami di procuratore legale.
Nel 1914 fu tra i promotori del Comitato di preparazione civile.
Nel 1916 conseguiva la libera docenza in Diritto commerciale, prima presso l’Università di Torino, poi alla Bocconi di Milano, dove insegnò per molti anni in qualità di “docente incaricato”.
A venti sette anni fu eletto sindaco, fra i più giovani d’Italia, di Gargnano, eletto trionfalmente in testa alla lista zanardelliana; coprì la carica dal 1914 al 1924 (o dal 1915 al 1925?).
Consigliere provinciale del mandamento di Salò, presidente del giornale zanardelliano "La Provincia", divenne l’ultimo baluardo della democrazia bresciana fino alla distruzione della redazione da parte delle bande fasciste e alla soppressione del giornale.
Con l’incarico alla provincia ottenne il collegamento di Gargnano con Brescia per mezzo della tramvia elettrica che prima si fermava a Toscolano.
Nel1914 sposò una gargnanese: Paola Parisini. La "Storia di Brescia", promossa e diretta da Giovanni Treccani degli Alfieri, ed. Morcelliana, nel IV” volume alle pagine 489, 494, 510 e 521 ricorda Massimo Avanzini nella sua attività professionale, culturale e politica come ad esempio quando il 13 agosto 1916 commemora al Teatro Grande il sacrificio di Cesare Battisti, promuovendo una raccolta di fondi per la costruzione di un monumento.
La sua incrollabile fede nella democrazia e nella libertà sempre propugnata e sostenuta gli procurò due incendi dello studio in Via Moretto (dov’era il Tribunale) da parte dei fascisti, una proposta per il confino, tramutata poi in “ammonizione” con divieto di passaporto, divieto di uscire la sera, visite notturne della polizia e permesso, da richiedere di volta in volta, di uscita ed entrata dalla città.
Nell’ottobre del 1943, all’arrivo di Mussolini a Gargnano, fu cacciato con la famiglia dalla sua casa sul lungolago Zanardelli, dove si instaurò la polizia fascista.
Il suo nome fu compreso nelle liste che i fascisti della Repubblica Sociale Italiana avrebbero voluto deportare.
Visse nell’ombra per oltre un anno, poi all’alba della liberazione entrò a far parte del Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale nell’ambito del quale esercitò la sua opera di opposizione a qualsiasi forma di ingiustizia fino al rifiuto del perseguimento di coloro che furono i suoi persecutori. Egli sosteneva con tutte le sue forze la necessità di rompere la spirale della violenza rinunciando in ogni caso alle vendette.
Con questo spirito egli riprese la sua posizione nell’ambito della vita pubblica entrando a far parte, come rappresentante della Democrazia del Lavoro.
Alla Sezione Storica - Biblioteca di Economia e Giurisprudenza dell’Università di Brescia è stata istituita la Donazione Avanzini con testi giuridici appartenuti a Massimo Avanzini e donati alla biblioteca nel 1997 dal figlio avv. Arnaldo Avanzini (1916-2013).
Passò all’Or.: Eterno il 27 gennaio 1952 a Brescia all’età di 66 anni.
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