Liberi Muratori
bresciani - F
FEBRARI Giammaria
(1778 – 1814)
Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 56).
Nacque a Bagnolo il 22 aprile 1778.
Avvocato di Brescia, giornalista.
Oratore aggiunto della Loggia nel 1809. Cavaliere Eletto dei IX.
Figlio di Pietro, beccaio, e Barbara Tomasini.
Fu educato nel Collegio di Monza e per cura dell’avvocato Carlo Righini avviato allo studio delle leggi, nelle quali fu laureato a Pavia. Oratore facondo ed efficace, divenne ben presto un avvocato di grido nel criminale e si buttò nella politica, militando nella democrazia, e nel giornalismo. Con Labus diresse Frusta democratica e fu spietato giacobino. Conosceva parecchie lingue, aveva stile vivace, varietà di cultura, e fece fortuna, ma sorto l’astro napoleonico si volse a quello col servo encomio di rime laudative, che fecero scrivere al Foscolo [F.:llo della stessa L.:] questo epigramma:
Mio gran Febrari
Che fai, che scrivi?
Versi preclari
Danteschi, Divi,
Che niuno intendere
Giammai potrà
Lasciò i suoi libri alla biblioteca Queriniana, e fu onorato al cimitero con un'iscrizione morcelliana.
Una sua ode per le nozze di un FØž si trova nell’opuscolo “Inaugurazione dello stendardo della LØž del gØž 2Øž. del mØž. 8Øž dell’anno 5807”.
Intorno al Febrari cfr. Peroni – Fornasini, Biblioteca Bresciana, II. 40-42 e Pietro Lottieri, Elogio storico del defunto Giammaria Febrari bresciano uomo dotto e celebre avvocato, Chiari, G. A. Tellaroli, 1823, in -8,
Passò all'Or.: Eterno il 31 marzo 1814 all’età di 36 anni.
FELICIANGELI Vincenzo
(?)
Fratello fondatore della Regia Loggia Arnaldo all’OrØž di Brescia di RSAA (1863).
(Silvano Danesi, o.c. Liberi Muratori in Lombardia, ecc, Edimai, 1995, p. 119 e Antonio Fappani, Enciclopedia Bresciana, voce Massoneria, entrambi lo citano erroneamente col nome di Francesco).
Sovrano Principe del Real Segreto del RSAA.
Ufficiale garibaldino.
Il Fappani, sempre nella sua o.c., alla voce del FrØž Pescatori Erminio, cita correttamente il FrØž Feliciangeli col nome di Vincenzo.
Vincenzo Feliciangeli, emigrato romano, è un esempio paradigmatico del doppio binario su cui si stava evolvendo la Massoneria italiana dell’epoca, quella d’ispirazione cavouriana di Rito francese (con unicamente ammessi i primi tre gradi) sviluppatasi con la Loggia Ausonia di Torino da cui prenderà origine il GOI e quella democratica e mazziniana su cui stava attivando il Rito scozzese con i suoi 33 gradi e una struttura gerarchica verticistica. Scelte che nulla avevano a che fare con concezioni iniziatiche o valutazioni esoteriche, ma solo di convenienza politica del momento.
Il FrØž Vincenzo fu prima esponente della scismatica «Dante Alighieri», la Loggia-madre degli anti-cavouriani e con premesse per il pieno sviluppo del Rito Scozzese, destinato a culminare successivamente con l’istituzione di un Supremo Consiglio del RSAA; questa Loggia infatti aveva adottato il Rito Scozzese, anche se poi, dal 7 ottobre 1862 si era sottomessa per la parte amministrativa all’obbedienza del Grande Oriente Italiano (Hiram, 2/2015, Lettera a Goodall, P. 72).
Il 16 dicembre del 1862 quattro FF∴ (De Crouy, Ghersi, De Luca ed Aducci 33∴), con quattro altri fratelli 32∴ (Tosetto, Mauro, Feliciangeli e Ruggero), costituirono a Torino, il Conclave del grado 30∴, il Sublime Tribunale del grado 31∴, e il Gran Concistoro dei PP∴ del Segreto Reale.
Dall’autunno del 1863, Feliciangeli fu assiduo frequentatore delle riunioni del Gran Consiglio.
Fondò la Loggia torinese «Tempio di Vesta» (su cui esistono pochi documenti che possano illuminare la sua genesi e composizione e il ruolo del suo Maestro Venerabile). La creazione di questa nuova Loggia rappresentava la realizzazione di un progetto moderato d’ispirazione cavouriana del Fr∴ Buscalioni, preparato meticolosamente nei mesi precedenti allo scopo di fronteggiare proprio la ribellione della Loggia «Dante Alighieri», aggregando tutti gli oppositori interni al FrØž Frapolli (democratico d’ispirazione crispiana) [Marco Novarino, Progresso e Tradizione Libero Muratoria Storia del Rito Simbolico Italiano (1859-1925)].
Null’altro sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui, il suo nome non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.
FENAROLI AVOGADRO Giuseppe
(1760 - 1825)
Dignitario onorario della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p.50).
Nato a Brescia il 24 marzo 1760 (o 1759, op. cit. Guerrini).
Politico italiano e amico di Napoleone, Membro del Direttorio Cisalpino e della Consulta del Regno Italico, Gran Maggiordomo di Napoleone.
Penultimo di sei figli, del conte Bartolomeo Fenaroli e della contessa Paola Avogadro. Con il fratello Girolamo condivise dalla gioventù l’interesse per i movimenti d’Oltralpe, frequentando con lui, fino al 1792, il Casino de’ buoni amici, il circolo dei giovani nobili bresciani che si acquistò fama di club giacobino.
Nel 1795 fu nominato provveditore ai Confini della Serenissima lungo il fiume Oglio, membro della commissione mista - composta da rappresentanti veneti e della Lombardia austriaca - che aveva il compito di registrare ogni mutamento della linea confinaria e di sovraintendere al regime delle acque.
Nel giugno 1796, inviato come delegato della propria Municipalità a Verona presso il provveditore generale N. Foscarini, il Fenaroli presentava invano le rimostranze per le requisizioni effettuate in territorio bresciano dai Francesi nel corso delle operazioni contro gli Austriaci.
Nel luglio i Fenaroli ospitarono a Brescia il Bonaparte, quivi raggiunto dalla consorte Giuseppina; la contessa Paola, in quel frangente, non esitò ad accordare all’illustre ospite un ingente prestito e Napoleone, come ricorda F. Gambara (Prose, p. 51), “non dimenticò il beneficio avuto”, ragione per cui in seguito al Fenaroli “versò ben meritati onori”.
Dopo la rivolta di Brescia del 1797 Giuseppe Fenaroli, che era stato con altri nobili tra i capi degli insorti, entrò a far parte del Governo provvisorio bresciano, tra i membri del Comitato di Finanza; tuttavia, durante i nove mesi della Repubblica, ebbe modo di segnalarsi soprattutto per l’azione diplomatica e di mediazione svolta presso il Bonaparte.
Come molti alti funzionari dell’amministrazione napoleonica, anche il Fenaroli assunse i valori di Libertà, Fratellanza e Uguaglianza e si aggregò alla Massoneria.
Nell’aprile del 1797 si recò con V. Uccelli a Leoben, dove fu accolto con simpatia dal generale, che si interessò personalmente per il rilascio dei prigionieri bresciani detenuti nelle prigioni venete.
Ai primi di maggio compì insieme con G. Beccalossi una missione a Milano come rappresentante della Repubblica Bresciana.
In seguito alla decisione di Napoleone di separare la Valcamonica da Brescia si pervenne ad un accordo che demandava ad una commissione - di cui faceva parte anche il FØž - la definizione della nuova linea confinaria lungo l'Oglio tra la Repubblica Bresciana e il Dipartimento del Serio.
Il Beccalossi e il FØž furono i portavoce di un governo che auspicava una repubblica italiana “una e indivisibile”, ma d’altro canto ribadiva in ogni occasione la volontà di salvaguardare la propria indipendenza. Nel frattempo bisognava mantenere buone relazioni con Napoleone e per “assediare il suo cuore” Beccalossi confidava nel collega Fenaroli.
Il trattato di Campoformio non solo segnava il destino della Repubblica di Venezia, che passava all'Austria, ma assegnava diversamente da quanto era stato previsto a Leoben, la Lombardia veneta alla Repubblica Cisalpina, determinando la scomparsa della Repubblica Bresciana. Durante una brevissima sosta a Brescia del Bonaparte diretto ad Udine, il 24 agosto, il Fenaroli fu l’unico ad avere un abboccamento con lui, e il 17 settembre egli stesso partì alla volta del Friuli.
Il 30 settembre pervenne alle autorità bresciane una sua lettera, in cui assicurava che Napoleone aveva scritto al Direttorio cisalpino per l’unione di Brescia e di Mantova a quella Repubblica, perché “tali sono le misure che la Repubblica francese crede più opportuno per la nostra”. La notizia era tuttavia già stata divulgata a Brescia da una lettera del ministro degli Esteri della Cisalpina, C. Testi. Ai primi di ottobre il FØž rientrò per brevissimo tempo nella città natale, donde riparti, per portare al quartier generale francese a Udine la richiesta contribuzione di mezzo milione di lire.
In seguito egli si trasferì a Milano con un drappello di patrioti bresciani, prima per definire con Bonaparte le modalità dell’unione con la Cisalpina (21 novembre), poi per partecipare alla vita politica della Repubblica. Il governo bresciano lo aveva eletto tra i suoi rappresentanti al Corpo legislativo della Cisalpina; Napoleone, che volle decidere personalmente i primi incarichi, confermò la scelta, nominandolo nell’Assemblea degli juniori. In un primo tempo Bonaparte avrebbe preferito che il FØž occupasse il posto lasciato vacante da G. G. Serbelloni nel direttorio, ma lo stesso FØž propose in sua vece G. B. Savoldi, riuscendo a convincere con un esborso di denaro il generale, che riteneva il nuovo prescelto troppo modesto proprietario. Il mese seguente rinunciò anche alla nomina, fatta dal Direttorio, ad ambasciatore della Cisalpina a Vienna, incarico delicato assegnato poi a F. Marescalchi. A Milano il Fenaroli venne invece eletto primo Presidente dell'Assemblea degli juniori.
Sia nel discorso inaugurale all’Assemblea, sia nei successivi interventi il Fenaroli fece grandi elogi del sistema rappresentativo e della costituzione repubblicana, mostrando posizioni apparentemente radicali e giacobine (“disingannare i sedotti per mezzo di una generale propagazione di lumi ... schiacciar le teste alle ... idre ... della religiosa ipocrisia”) che celavano in realtà un orientamento moderato.
Tra i suoi interventi si segnalò quello del 26 novembre contro la legge, sottoscritta da Bonaparte prima di lasciare Milano, che aboliva il ministero di Polizia, accorpandolo con quello della Giustizia. Egli considerava quel provvedimento contrario alla costituzione e all’esigenza di mantenere l’ordine pubblico (nel 1801 lo stesso FØž sarà vittima di un’aggressione di ladri di strada); sulla necessità di un ministero di Polizia autonomo tornò anche nel discorso del 2 dicembre sulle commissioni militari e la sicurezza pubblica. Tuttavia la maggior parte degli interventi del FØž riguardarono i mezzi per far fronte alle continue richieste del Direttorio per sovvenire ai bisogni dello Stato e alle pretese della Francia.
Nell’aprile del 1798, per essersi opposto al trattato di alleanza con la Francia, il FØž fu espulso con altri colleghi dal Gran Consiglio e, con provvedimento del generale V.-E. Le Clerc, posto sotto sorveglianza e obbligato a risiedere tra Brescia e Rudiano, antico possesso della sua famiglia.
Non tornò alla vita politica neppure dopo il colpo di Stato di C.-J. Trouvè.
Durante la reazione austro-russa il Fenaroli non ebbe a subire le persecuzioni che, al contrario, colpirono il fratello Girolamo, che fu uno dei deportati di Cattaro (Ugo da Como, Il conte Gerolamo Fenaroli deportato politico nel 1800, nella Rivista d’Italia, marzo 1922).
Tra il 1799 e il 1800 soggiornò a lungo a Crema, ospite di casa Benvenuti, da dove scriveva alla cognata Barbara e all’amico avvocato Borghi, perché fossero d’aiuto al fratello.
Dopo Marengo, nell’aprile del 1801, ebbe l’incarico di recarsi a Parigi, col generale D. Pino e B. Oriani, per esprimere al Bonaparte la gratitudine della seconda Cisalpina per la pace di Lunéville. Corsero allora voci che in realtà fosse in atto una manovra del governo per sostituire il Marescalchi col Fenaroli nell’incarico di ambasciatore nella capitale francese (lett. di A. Aldini al Marescalchi del 20 marzo). La preoccupazione si rivelò tuttavia poco fondata: il Fenaroli si mostrò sempre restio ad assumere incarichi gravosi.
Nell’inverno il FØž fu invitato a partecipare a Lione alla Consulta straordinaria cisalpina con i notabili del dipartimento del Mella; rinunziò tuttavia a presiedere la sezione degli “ex veneti” dell’Ufficio deliberativo. Quando Napoleone arrivò a Lione manifestò fin dai primi giorni al F∴ una benevolenza che il bresciano seppe ricambiare. Nominato membro della Commissione dei trenta - che avrebbe dovuto “concertare” con Bonaparte la nomina del nuovo governo - egli fu l’unico (secondo alcune “voci” raccolte da L. Brognoli) a non votare nella prima seduta per un candidato italiano, favorevole fin dall’inizio all’elezione di Napoleone.
Eletto Napoleone presidente della Repubblica Italiana, il Fenaroli fu ricompensato con la nomina a membro della Consulta di Stato: una istituzione prestigiosa e che assicurava un onorario annuo di 30.000 lire, anche se di limitati poteri reali. Egli, che a Lione era stato inoltre nominato membro del Collegio elettorale dei possidenti, ritornò a Milano per partecipare, nel febbraio del 1802, al solenne ingresso del vicepresidente F. Melzi.
Sempre coerente con il proposito di non accollarsi uffici scomodi, in quei giorni rifiutò, secondo la testimonianza del barone S. de Moll, la nomina a ministro di Polizia. La firma del FØž compare, insieme con quella degli altri colleghi della Consulta in calce al progetto di costituzione del Regno d'Italia presentato dal Melzi il 29 maggio 1804, che fu giudicato un audace attestato d’indipendenza nei confronti di Napoleone. Il vicepresidente diceva di esser riuscito in quell'occasione a “dirigere ... il voto” della Consulta, tuttavia rivelava al Marescalchi che alcuni membri potevano in seguito essergli d’ostacolo; in particolare il Fenaroli e C. Caprara, che sapeva in contatto con il generale in capo Gioacchino Murat, suo noto avversario (lett. del 21 giugno).
Attendibile il giudizio che del FØž ha lasciato F. Coraccini [G. Valeriani]: “uomo freddo, meticuloso e circospetto”. Il profilo del FØž, che pure indugiava in una posa continua di diplomatico, che ostentava la parlata francese, si discostava tuttavia da quello di un Caprara, in cui il fasto celava la “bancarotta” di un’esistenza inutile.
Agli inizi del secolo il Fenaroli e suo fratello Antonio, entrambi celibi, amministravano con oculatezza le ingenti proprietà familiari; secondo G. Brognoli, a Brescia molti in quegli anni accumularono enormi fortune, ma solo i Fenaroli e pochi altri riuscirono a non dilapidarle.
Nel 1805 figurava nel Piè di lista di una loggia milanese ed in seguito tra i dignitari onorari della loggia “Amalia Augusta” di Brescia.
Sempre nel 1805 il F∴ si recò a Parigi con gli altri membri della Consulta, nella delegazione di notabili che avrebbe dovuto dare legittimità costituzionale ad un nuovo progetto di Regno d'Italia.
In quel periodo il Melzi guardò con maggior circospezione, rispetto al passato, agli “intrighi” del Fenaroli, in quanto il conte conosceva il Murat dai tempi del suo soggiorno bresciano del 1796, e poteva introdursi facilmente a corte, grazie all’antica familiarità con Napoleone e la sua consorte (“anche per la via delle toilettes si spera di giungere alle grandi dignità”, commentava a proposito dei regali del Fenaroli). Stando ai rapporti del segretario di Stato L. Vaccari e del barone de Moll a Vienna, il FØž fu a Parigi uno dei consultori che parteciparono alla fronda contro il Melzi, che si era trovato solo a sostenere il carattere “nazionale”del futuro Regno d'Italia.
Il 17 marzo il F∴ partecipò alla solenne cerimonia alle Tuileries, in cui veniva rimesso all’imperatore il voto della Consulta e della deputazione italiana che lo chiamava al Regno d'Italia.
Durante la cerimonia d’incoronazione di Napoleone nel duomo di Milano ebbe l’onore di portare nel corteo lo scettro di Carlo Magno. L’imperatore, dal canto suo, nella distribuzione di cariche ed appannaggi ai dirigenti del nuovo Stato vassallo non dimenticava il FØž, che fu insignito nel 1804 della Legion d’onore, nominato nel 1805 Gran Maggiordomo maggiore e nel 1806 Cavaliere della Corona di ferro.
Come dignitario, il FØž sedette di diritto nel Consiglio di Stato, che era stato istituito nel 1805 per coadiuvare il governo elaborando i progetti di legge e fornendo pareri. Durante le prime sessioni, presiedute direttamente dall’imperatore, il Fenaroli si limitò ad intervenire perché si accordasse un aumento alla remunerazione del vescovo di Brescia: richiesta prontamente accolta.
Qualche anno dopo s’interessò perché Brescia fosse scelta come sede di un tribunale d’appello.
In virtù del decreto 19 febbraio 1809 egli entrò a far parte del Senato e il 12 aprile dello stesso anno venne infine insignito del titolo di Conte del Regno.
Fra i ministri con i quali il Fenaroli intrattenne buone relazioni fu A. Aldini, segretario di Stato residente a Parigi, come è testimoniato dagli scambi epistolari avuti con lui fino al 1814.
Come lo statista bolognese e molti alti funzionari dell’amministrazione napoleonica, anche il Fenaroli risulta essere stato affiliato alla massoneria. Già nel 1805 figura nella loggia milanese ed in seguito tra i dignitari onorari della loggia "Amalia Augusta" di Brescia. Dopo la caduta del Regno d'Italia il suo nome ricomparirà nell'elenco dei Franchi Muratori milanesi di “prima classe” che A. Raab inviò a Vienna al presidente della polizia F∴ Haager von Altensteig. Ciò non pregiudicò tuttavia l’atteggiamento delle nuove autorità di governo, in primo luogo di H. J. Bellegarde, convinte che la massoneria del Regno Italico non avesse alcuno spirito rivoluzionario; Francesco I confermò infatti al Fenaroli gli onori e gli emolumenti di Gran Dignitario.
Una delle ultime apparizioni pubbliche del FØž risale al luglio del 1814, a Vienna, quando ai margini del congresso la sua presenza fu segnalata dal plenipotenziario del re di Sardegna, marchese A. M. F. Asinari di San Marzano, che l’aveva incontrato presso il nunzio pontificio mons. A. G. Severoli.
Dopo il ritiro a vita privata, ci resta di lui un documento nel quale chiedeva a Roma la riconferma della licenza per i libri proibiti; confidava in una risposta benevola, protestando che “anche ne’ più torbidi e calamitosi tempi per nulla la lettura de’ medesimi ha potuto contribuire a minorare il ... dovuto attaccamento e persuasione nella... Religione”.
Per la biografia di Giuseppe Fenaroli Avogadro: Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 46 (1996) – di Andrea Quadrellaro”.
Passò all’OrØž Eterno a Brescia nel gennaio 1825 all’ età di 65 anni.
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FERMIGNANI Francesco
(?)
Fratello fondatore della Regia Loggia Arnaldo all’OrØž di Brescia di RSAA (1863).
(Silvano Danesi, o.c. Liberi Muratori in Lombardia, ecc, Edimai, 1995, p. 119).
Veronese.
Giudicato dal Prefetto di Brescia: “abile mestatore che qui presta servizi ai liberali, e là agli austriaci”, “parolaio ambulante”, “sollecitatore”, “un prestaservizi, che sa trar guadagno da tutto al proprio vantaggio”.
Null’altro sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui, il suo nome non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche
FERRANT Iacopo
(?)
Fratello affiliato della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 62).
Lontano da Brescia per domicilio o per ufficio.
Null’altro sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui, il suo nome non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.
FERRARI Vincenzo
(?)
Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 57).
Null’altro sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui, il suo nome non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.
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FIANDINI Mario
(1916 - ?)
Nato il 20 agosto 1916 a Brescia. Ufficiale dell’esercito italiano.
Nel 1958-1959 fu colonello comandante del Distretto militare di Brescia, che era l’istituto di reclutamento e forse l’unico organismo militare che aveva relazioni col pubblico.
Membro della Loggia Atanor di Brescia della Gran Loggia d’Italia ALAM fondata il 19 marzo 1971. Viene eletto Maestro Venerabile della Loggia Atanor nel 1973.
L’8 giugno 1978 diviene MØž VØž della Loggia Cidnea di Brescia, gemmata dalla Loggia bresciana Atanor.
Appare nell’elenco dei 26.410 Massoni italiani che è pubblicato in rete.
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FILOS (o FILLOS o De FILOS) Francesco
(1772 – 1864)
Fratello originario e Fondatore della Reale Loggia Amalia Augusta (1806).
Nacque a Mezzolombardo, 2 marzo 1772.
Giudice e scrittore.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 57 e 63).
Fu 1° Sorvegliante della Loggia nel 1809.
Mirko Sartori, storico e archivista della Fondazione Museo storico del Trentino in un’intervista ci racconta il FØž Filos:
«La vita di Francesco Filos, nato a Mezzolombardo (Trento) nel 1772, si può, pur con una certa inevitabile schematicità, suddividere in due parti.
Nella prima parte (siamo agli sgoccioli dell'Antico Regime) Filos è studente e partecipa alla fondazione, a Innsbruck, nel 1793, di un club giacobino rivoluzionario, per il quale sarà condannato l'anno successivo a 4 mesi di carcere; quindi, all'arrivo delle truppe rivoluzionarie francesi, le segue partecipando, avventurosamente, alla rivoluzione bresciana del 1797.
A Brescia trascorrerà con vari ruoli i successivi 13 anni, fatto salvo un periodo nel 1799-1800 (durante il quale si recherà in altri centri lombardi, a Genova, in Francia, in Svizzera) e poi nel 1801 (Francia e Svizzera); rientrerà stabilmente in territorio trentino solo all'avvento, nel 1810, del Regno italico (napoleonico), quando sarà Viceprefetto di Cles e poi (1812) di Bolzano; quindi, dopo il ritorno nell'ottobre del 1813 delle truppe austriache in territorio trentino, sarà viceprefetto a Pavia.
«Con l'arrivo delle truppe austriache in Lombardia nel 1814 e la cessazione del periodo di transizione tra i due governi (1816), inizia la seconda fase della vita di Filos, che ha a questo punto 44 anni: sarà, questa, una fase assai lunga che potremmo dire di quiescenza politica; certo, Filos continuerà a mantenere sentimenti in qualche modo liberali (sarebbe interessante capire maggiormente il suo eventuale accostamento al pensiero di figure di liberali moderni e autonomisti quali l’abate Giovanni a Prato), ma non sarà più protagonista politico.
«Proscritto dall'imperatore Francesco I, più per il suo passato giacobino che per quello massonico (che fu comune a tutti i funzionari del Regno italico), riuscirà comunque ad essere assunto nel 1825 a Rovereto come Cassiere Circolare, impiego che ricoprirà per 30 anni.
Eserciterà a ogni modo un certo magistero come figura di riferimento culturale, in quanto socio (dal 1831), vicepresidente (dal 1848) e poi presidente (dal 1852 sino al 1855) dell'Accademia roveretana degli Agiati: in tale contesto darà alle stampe diversi discorsi (ad esempio quelli “Sulle relazioni dei viaggi e sulle opere di statistica” e “Sulla ricchezza delle lingue francese, tedesca e italiana comparativamente esaminata” nel 1836 e quello “Sopra qualche punto della storia trentina” nel 1839), mentre i suoi due lavori più importanti, ossia le Notizie storiche di Mezolombardo (terminate nel 1830) e soprattutto le “Memorie e confessioni di me stesso” (terminate nel 1842), verranno pubblicate postume, rispettivamente nel 1912 e nel 1927.
«Questa sua tarda attività di studioso è stata analizzata nel 2002 da Maria Garbari. Filos morirà vecchissimo (per l'epoca!), nel 1864, a 92 anni, in tutt'altro contesto politico.
Concentrandomi però maggiormente sulla sua attività nel club giacobino e sulle vicende collettive di questa associazione è questa, a mio avviso, la parte più importante della sua biografia, più importante ancora, da un punto di vista per così dire oggettivo e non interno alla vicenda biografica del Filos, degli avvenimenti bresciani: non a caso, al club giacobino di Innsbruck (che pure non giunse ad esplicare grande attività) hanno fatto cenno anche alcuni manuali di storia moderna (come quello di Carlo Capra) o libri dedicati al giacobinismo in generale (Michel Vovelle)».
«Filos nel novembre 1806 fu uno dei sette fondatori della Loggia Amalia Augusta, una delle tante che sorsero in quel lasso di tempo. Sono vicende narrate da Filos stesso e poi ricostruite da Antonio Zieger nel suo testo sulla massoneria trentina del 1925.
«Era naturalmente, come detto sopra, un altro tipo di massoneria, non più legata a club rivoluzionari, tollerata, anzi incentivata, dal regime francese; tutti gli impiegati, nel periodo italico, si può dire fossero massoni. Va però anche tenuto presente che già faceva capolino una massoneria segretamente antinapoleonica che subiva l'influsso inglese, operante anche nel Trentino italico per mezzo addirittura del prefetto Agucchi (ciò fu studiato dallo storico Renato Monteleone, scomparso qualche anno fa). Tornando a Filos, nella loggia fu secondo dignitario e divenne Il Sorvegliante: vi tenne diversi discorsi, alcuni per il ricevimento di neofiti.
«Ma nelle sue memorie Filos dice che fino ad allora nulla di ciò che aveva letto sulla massoneria l'aveva ispirato ad entrare in tal società, "curioso miscuglio", dice lui, "di pretesi misteri e di pubblicità, di riti ridicoli, e di plausibile fine, quale è quello della carità e del mutuo soccorso". Interessante, fra l'altro, come Filos, da quanto si arguisce, non colleghi a questa massoneria il club giacobino da lui fondato 13 anni prima.»
«Non so dire quali siano stati i suoi meriti, e a dire il vero è una considerazione che si pone al di fuori del mio tipo di approccio. Posso dire che il suo fu un ruolo certamente di parte, in un momento in cui le parti tendevano ad essere ben distinte e schierate.
«Fece capo a un ampio moto (politico, ma anche culturale) che potremmo chiamare comunque progressista, e che si estrinsecò, durante le sue attività di viceprefetto, anche in alcune opere pubbliche, tipiche peraltro del momento napoleonico (ad esempio la costruzione, riparazione, ammodernamento del sistema stradale della Valle di Non).»
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E ora la biografia ufficiale.
Nacque in Trentino, in una famiglia agiata che gli consentì di frequentare ginnasio e liceo prima a Bressanone, successivamente in Baviera e infine a Trento.
Si distinse nello studio e nella diffusione delle idee liberali tra gli amici e i compagni di studi.
Trasferitosi ad Innsbruck per frequentare l’università venne influenzato dal cavaliere inglese Levett e nel 1792 diede vita, assieme ad alcuni compagni, ad un “club per la propagazione delle idee e delle istituzioni liberali” sul modello delle analoghe organizzazioni massoniche francesi e inglesi. Furono però traditi da uno studente meranese di nome Burger, il quale rivelò alla polizia austriaca che il club promulgava massime contrarie all’imperatore e stava organizzando la liberazione di alcuni prigionieri francesi. Il 7 agosto 1793 Filos, assieme ad alcuni soci, fu arrestato e condannato a tredici mesi di carcere, essendo stato assolto dall’accusa di alto tradimento.
Uscito di prigione continuò gli studi fino al 1796, quando andò via da Innsbruck per unirsi all’esercito di Napoleone Bonaparte che era giunto nei pressi del suo paese natale. Bonaparte era giunto in località Spini sulla sponda sinistra dell’Adige ed era deciso a saccheggiare la borgata di Lavis dopo che una compagnia di Kaiserjäger tirolesi avevano fatto fuoco contro le sue truppe. De Filos, su esortazione del Municipio di Lavis, si recò personalmente dal generale francese e lo convinse a risparmiare il paese; il Municipio di Lavis, per ringraziamento, gli diede la cittadinanza onoraria.
Successivamente si mise sotto la protezione del generale francese Vaubois: si stabilì a Brescia dove seppe ingraziarsi gli oppositori al dominio veneziano sulla città. Dopo la battaglia di Rivoli (14 gennaio 1797), vinta da Bonaparte, Filos accompagnò Gioacchino Murat fino a Trento, dove seppe che gli imperiali occupavano ancora Mezzolombardo e il vicino San Michele all’Adige. Murat allora annunciò agli ufficiali presenti che con i 500 uomini del suo seguito intendeva, con un colpo ardito, liberare la borgata di Mezzolombardo. Il giorno successivo il generale avanzò per la via di Zambana con i suoi uomini ed i 2000 Croati misti ad Austriaci di guarnigione, vedendo le bandiere repubblicane, fuggirono fino al ponte sul fiume Noce.
Alla fine del febbraio 1797 il F∴ Francesco tornò a Brescia, appartenente alla Repubblica di Venezia, e partecipò alla rivolta del 17 marzo contro la Serenissima; si distinse pure nella liberazione di Salò dalle soldatesche venete. Dopo che Brescia venne tuttavia riconquistata dalle forze della Prima coalizione, un drappello di giacobini e guardie civiche, fra cui De Filos, si diressero nuovamente verso la città; ma lungo la strada si scontrarono con gli abitanti della valle Sabbia, fedeli al Leone di San Marco, appoggiati da un piccolo corpo di truppa tedesca, che le misero in fuga e presero alcuni prigionieri, fra cui lo stesso De Filos che fu condotto a Venezia.
Liberato poco tempo dopo, con la caduta della Repubblica di Venezia (12 maggio 1797) De Filos, fautore del regime napoleonico, si mise in luce come funzionario fedele e diligente dei francesi.
Nel 1806 fu fra i fondatori della loggia Massonica Amalia Augusta di Brescia.
Fu viceprefetto a Cles e Bolzano, e nel 1812 a Pavia. Con la restaurazione (1815) cooperò nuovamente con l’Impero austriaco. Tornato in Trentino nel 1818, si dedicò alla letteratura; fu fra l’altro presidente dell’Accademia Roveretana degli Agiati dal 1852 al 1855.
Nel 1829 era Commissario distrettuale di Polizia a Rovereto «completamente guarito delle sue scalmane liberali di gioventù» (rapp. Torresani in Luzio, 337).
Nel 1842 apparve, a cura dell’Accademia degli Agiati, la sua autobiografia (Memorie e confessioni di me stesso).
Opere: Memorie e confessioni di me stesso: autobiografia di Francesco Filos. Rovereto: tip. di Ugo Grandi, 1924 e Notizie storiche di Mezzolombardo; con note del prof. Desid. Reich. Trento: Artigianelli, 1998. Bibliografia: Pietro Donati, Storia dell’epidemia di cholera nel 1836 a Mezzolombardo, Scotoni e Vitti, Trento, 1887.
Compose un Discorso per la Visita d’una Deputazione della RØž LØž consorella L’Arena all’ OrØž di di Verona letto l’aØž dØž VØž LØž 5808” in opuscolo in miscellanea “Inaugurazione dello stendardo della LØž del gØž 2Øž del mØž. 8Øž dell’anno 5807”. Nello stesso opuscolo quale IIØž SorveglØž altro Discorso per la recezione di due Neofiti fatta il gØž 30Øž del mØž 10Øž dell’anno 5808Øž
Ancora vivente intorno al 1831 (secondo il rapporto Torresani edito dal Luzio nell’Arch. stor. lomb.,1917).
Passò all’OrØž Eterno a Rovereto il 18 agosto 1864 all’età di 92 anni.
FOLONARI Marco
(?)
Affiliato nel 1945 alla Loggia Arnaldo di Brescia (testimonianza resa da Carlo Emilio Gnutti a Silvano Danesi il 6/7/1992 e riportata in http://www.silvanodanesi.info/?page_id=512).
Il nome di Marco Folonari e poi nell’elenco della Loggia Propaganda 2 del GØž OØž IØž. (Brescia, tessera n. 927).
L’elenco dei soggetti appartenenti alla P2 fu reso pubblico dalla presidenza del Consiglio dei ministri il 21 maggio 1981.
Non è possibile sottacere, in questo elenco dei Massoni bresciani ancorché incompleto, i Fratelli, o presunti tali, che sono stati coinvolti nel fenomeno piduista. Sulla base della documentazione acquisita agli atti della Commissione parlamentare sulla vicenda della Loggia P2 di Licio Gelli, all’Obbedienza del Grande Oriente d’Italia, si può ragionevolmente affermare che la Massoneria bresciana non sia stata interessata al fenomeno se non in forma assolutamente poco rilevante.
I bresciani nell’elenco ritrovato della P2 sono cinque: Cordiano Fausto, Folonari Marco, Frau Aventino, Montanaro Giuseppe e Pedini Mario.
Dell’appartenenza di Marco Folonari alla P2 esiste documentazione probante costituita dalla “Domanda di Ammissione” inoltrata con firma autografa in data 5 luglio 1980, e il “Testamento spirituale” in data 3 ottobre 1980 (Commissione parlamentare P2, Allegati alla relazione, Serie II, Documentazione raccolta dalla commissione, Vol. II, Tomo II e suo fascicolo di affiliazione e inventario del contenuto del fascicolo II 758-759).
Esistono lettere di Licio Gelli a Folonari con la comunicazione dell’accettazione della domanda e della fissazione della data dell’Iniziazione.
La domanda di ammissione alla P 2 di Marco Folonari reca fra i referenti il nome di Alberto Teardo (atti della Commissione), mentre in una lettera inviata alla presidente della Commissione Tina Anselmi dal presidente della Regione Liguria Teardo questo protesta per la notizia pubblicata dai giornali sulla sua presunta presentazione, nella P2, di Marco Folonari, il «re del vino»; Teardo afferma di non conoscere Folonari (L’Unità, 1 febbraio 1983, p. 6). L’Espresso del 6 febbraio 1983 ha pubblicato un trafiletto dal titolo: “Un presentatore di nome Teardo” in cui è detto “dallo archivio uruguayano di Gelli, trasmesso qualche mese fa alla Commissione Parlamentare che indaga sulla P2, è spuntato fuori un fascicoletto riguardante i trascorsi della P2 dell’industriale del vino Marco Folonari. Ebbene, tra i referenti, ovvero i presentatori dell’industriale alla loggia massonica, c’è proprio lui Alberto Teardo, in compagnia del magistrato di Ravenna Domenico Raspini, e del Presidente dell’ospedale regionale di Genova, Francesco Imperato”.
Marco Folonari è stato un imprenditore vitivinicolo dell’antica casa vinicola Ruffino, fondata nel 1877 e di proprietà della dinasty bresciana dal 1913, che nel 2000 prese il nome di “Tenimenti Ruffino”. Oggi il marchio Ruffino appartiene agli americani di Constellation Brands.
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FONTANA Carlo
(?)
Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 57 e 63).
Spedaliere e del Com. di Finanza della Loggia nel 1809. Cavaliere Eletto dei IX del R.S.A.A.
Stimato medico delle carceri di Brescia, giacobino, bravo e pieno di cuore, stimatissimo. Di anni 48 nel 1830 (Luzio, 337) ed era ancora vivente intorno al 1831 (secondo il rapporto Torresani edito dal Luzio nell’Arch. stor. lomb., 1917).
FONTEBASSO Giovanni
(1811 - 1885)
Fratello fondatore della Regia Loggia Arnaldo all’OrØž di Brescia di RSAA (1863).
(Silvano Danesi, o.c. Liberi Muratori in Lombardia, ecc, Edimai, 1995, p. 119).
Cospiratore nel 1837, garibaldino, combattente del 1848, letterato e scrittore.
Nacque a Treviso nel 1811. Emigrato veneto, dopo il 1859 si trasferì a Brescia, dove lavorò alla “Sentinella bresciana” fino al 1866.
“Un patriota di pochi studi ma scrittore e drammaturgo”, in Gazzettino, Venezia,7 gennaio 1948.
Passò all'Or∴ Eterno a Padova nel 1885 all'età di 74 anni
FORESTI Bono
(1770 - ?)
Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p.57, 63 e 359).
Nacque a Brozzo nel 1770.
Ispettore forestale a Vestone, attivissimo giacobino contro Venezia, nel 1797, divenne Capo Battaglione della Guardia Nazionale della Valtrompia.
Nel 1809 si mise alla testa dei volontari di Gardone, Inzino, Marcheno, Pezzaze e Collio, e li condusse, attraverso il Maniva, a Lodrone, dove mise in fuga gli austriaci in avanzata verso il confine.
Il dott. Tonni Bazza di Preseglie, procuratore legale a Vestone nel 1822, fu arrestato sotto l'accusa di carboneria e di essere l'autore di due odi politiche meritevoli di censura: Il termometro politico e In morte a Napoleone; durante il processo fattogli dal F∴ Salvotti (vedi), riconobbe come sua la prima e dell'altra disse di averla più volte sentita declamare dall'ispettore forestale di Vestone, Bono Foresti (Ugo Vaglia, Vicende storiche della Val Sabbia dal 1580 al 1915, Brescia 1955, p. 185).
In Archivio di Stato, Milano, id. id., Reg. F, Fol. 92, analoga annotazione, ma anche qui alle parole : «segreti confidenti», della registrazione originale, è sostituita la forma : «dagli atti assunti» del resto il primo periodo corrisponde per la sostanza e il secondo è identico nella sostanza e nella forma. Segue però: «Il dottor Bazza disse di aver trascritta un’ode (riprovevole) in morte di Napoleone, che fu perquisita all’ex colonnello Moretti, dietro la recita fattagliene da questo Foresti, il quale ammette di avere avuto questa ode copiandola al tavolo del parroco di Tuzzino Costardi, ma nega di averla comunicata al Bazza, ma sibbene a Francesco Foresti, impiegato presso la R. Pretura di Vestone, il quale lo conferma, aggiungendo avere avuto quest’ode dal sig. Bono Foresti, e d ’averla poi comunicata al Bazza dietro replicate sue istanze, indi abbruciata per timore di compromettersi. Angelo Rinaldini lo suppone federato per i principj politici da esso esternati sotto il cessato Governo Italiano essendo stato comandante delle Guardie nella Valtrompia e per le sue relazioni d’amicizia con Lelio Fenaroli e crede anche col Conte Cigola di Brescia. Buceleni qualificandolo ardente repubblicano fin dal 1797 lo indica fra i liberali rimarchevoli per educazione e influenza».
Per Bono Foresti, cfr. L’elenco dei Massoni pubblicato dal Luzio, e la nota di Massoni a Brescia anteriormente al 1821» in I Cospiratori bresciani del 1821 cit., pag. 225. L ’ode in morte di Napoleone della quale qui si accenna è pubblicata in A. Zanelli, Il processo del dott. G. B. Bazza, in Rassegna Storica del Risorgimento, 1928, pag. 656. cfr. in proposito anche ivi pag. 629 e G. Solitro, Un martire dello Spielberg - Il Colonnello Silvio Moretti, Verona, 1906, pag. 46.
Ancora vivente intorno al 1831 (secondo il rapporto Torresani edito dal Luzio nell’Arch. stor. lomb.,1917) e in La Massoneria e il Risorgimento Italiano, Bologna, 1917, Voi. I, pag. 134, dove è detto : « di anni 60 (1830)».
FORMENTINI Giovan Battista
(1808 - 1881)
Fratello Affiliato alla Regia Loggia Arnaldo all’OrØž di Brescia di RSAA (1868).
(Silvano Danesi, o.c. Liberi Muratori in Lombardia, ecc, Edimai, 1995, p. 121).
Nacque a Brescia il 28 giugno 1808.
Patriota e politico italiano, sindaco di Brescia nel 1863, dal 1866 al 1872 e dal 1874 al 1880.
Partito da condizioni di povertà, si fece una grande fortuna attraverso il commercio.
Nel 1848 si arruolò fra i pochi artiglieri che si addestrarono per difendere, con pochi cannoni, le mura della città da possibili sorprese. L’anno dopo, durante le Dieci giornate di Brescia, combatté a Porta Torlonga.
Il 26 marzo combatté con Tito Speri, Battaggia e Frigerio a S. Eufemia, con grande valore.
Nel 1853 fece parte della Commissione recatasi da Radetzky a chiedere la grazia per Tito Speri.
Nel 1859 seguì Garibaldi e combatté a Virle Treponti.
Nel gennaio 1860 fu chiamato dalla destra filocavouriana e liberal moderata a far parte del primo consiglio eletto della città. Fu eletto assessore a dicembre e confermato nell’incarico sia alla fine del 1861 che del 1862.
Fu vice direttore del Comizio dei Veterani bresciani.
Dalla seduta consiliare del 22 gennaio 1863 assunse le funzioni di sindaco in attesa che il Re provvedesse alla nomina del successore di Valotti, dimessosi l’anno precedente dopo i risultati delle elezioni comunali parziali.
Nel marzo dello stesso anno cedette l’incarico al neosindaco Facchi.
Assessore comunale nel 1866, si adoperò con generosità ad organizzare la vita cittadina e gli ospedali militari durante la IV guerra d'indipendenza.
Quando quest’ultimo venne confermato deputato alle politiche del 1867, Formentini riassunse, essendo assessore anziano, nuovamente la carica di sindaco facente funzione. Nello stesso anno fu eletto al consiglio provinciale in rappresentanza del secondo mandamento di Brescia. Solo con regio decreto 23 gennaio 1869 ottenne la nomina a sindaco.
Alle elezioni politiche del 1870 venne candidato dalla sinistra locale, dominata dalla figura del FØž Giuseppe Zanardelli, al collegio elettorale di Brescia con lo scopo di mettere in difficoltà il candidato ufficiale della Destra, l’ex sindaco Facchi, il quale riuscì a confermarsi al seggio cittadino soltanto con il ballottaggio.
Formentini si dimise da sindaco, per motivi di salute, il 24 novembre 1872.
Alla fine del 1874, quando il suo successore Salvadego fu eletto deputato in rappresentanza di Brescia per la XII Legislatura, tornò ad operare come sindaco facente funzione e poi come sindaco.
Dopo la rivoluzione parlamentare del 1876, si accordò con la sinistra locale per mantenere la carica e portare a compimento alcuni suoi progetti tra cui la fusione dell’amministrazione comunale di Brescia con quella dei cinque comuni suburbani, detti delle Chiusure. Nonostante le resistenze delle amministrazioni di questi cinque comuni, la fusione venne completata il 1º luglio 1880.
Formentini si dimise dalla carica di sindaco, ancora una volta per motivi di salute, il 2 febbraio 1880.
Rimase consigliere comunale e fu confermato nell’incarico anche nelle elezioni generali cittadine che si tennero in settembre. In seguito appoggiò la giunta guidata dal nuovo sindaco Barbieri.
Fu l’unico ad essere stato consigliere senza interruzioni dalle elezioni comunali del gennaio 1860.
Il 19 settembre 1880 presiedette il Comitato di ricevimento per i volontari della libertà genovese.
Passò all OrØž Eterno a Brescia il 5 maggio 1881 all’età di 73 anni.
FOSCARINI Gaetano
(?)
Fratello Affiliato alla Regia Loggia Arnaldo all’OrØž di Brescia di RSAA (1868).
(Silvano Danesi, o.c. Liberi Muratori in Lombardia, ecc, Edimai, 1995, p. 121).
Null’altro sappiamo di questo Fr∴, mancando notizie certe su di lui, il suo nome non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.
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FOSCOLO Ugo (Niccolò)
(1778 – 1827)
Affiliato alla Reale Loggia Amalia Augusta.
Nacque a Zante il 6 febbraio 1778 (Zante o Zacinto è un’isola greca allora sotto il dominio della Repubblica veneta).
Poeta e letterato, scrittore e traduttore italiano, uno dei principali letterati del neoclassicismo e del preromanticismo.
Figlio di madre greca e padre veneziano.
Come un altro illustre letterato e FØž Massone di un secolo dopo, Gabriele d’Annunzio, visse parte della sua vita, anche nel bresciano.
Ugo Foscolo fu massone e testimonianze della sua adesione si hanno nel periodo del suo ritorno in Italia nel 1807, dopo aver combattuto nell’esercito napoleonico, nella Loggia Reale Amalia Augusta di Brescia del Grande Oriente d’Italia, costituito a Milano nel 1805.
Si sentì esule per tutta la vita, strappato da un mondo di ideali classici in cui era nato e cresciuto, tramite la sua formazione letteraria e il legame con la terra dei suoi antenati (nonostante un fortissimo legame con l’Italia che considerò la sua madrepatria).
La sua vita fu caratterizzata da viaggi e fughe, a causa di motivi politici (militò nelle forze armate degli Stati napoleonici, ma in maniera molto critica, e fu un oppositore degli austriaci, a causa del suo carattere fiero, dei suoi sentimenti italiani e delle sue convinzioni repubblicane), ed egli, privo di fede religiosa ed incapace di trovare felicità nell'amore di una donna, avvertì sempre dentro di sé un infuriare di passioni.
Orfano di padre a 10 anni, si trasferì a Venezia con la madre ed i fratelli.
Dopo il trattato di Campoformio (1797) si trasferì a Milano, dove entrò in amicizia con Parini.
Combatté nell’esercito napoleonico. Come Capitano militò in Francia a Valenciennes.
Durante gli anni trascorsi a Venezia, a 17 anni, entrò in relazione con Gaetano Fornasini, il F∴ Luigi Scevola e Giovanni Labus. Probabilmente il F∴ Scevola lo fece conoscere ad altri. Le più antiche lettere del 1794-1797 sono dal Foscolo dirette al Fornasini, al quale confidò progetti letterari ed ansie e spedì, in tutte o in parte, anche le sue poesie manoscritte, sottoponendole al suo giudizio e a quello dello Scevola. Il 2 maggio 1797, in una lettera al Fornasini, Ugo Foscolo scriveva: “Voi in Brescia siete liberi: io per viver libero abbandonai patria, madre, sostanze. Venni nella Cispadana con la devozione del democratico; passerò per la vostra rigenerata città con la sacra baldanza del repubblicano: potremo per la prima volta giunger le destre sciolte dalle catene dell'oligarchia. Avvertitene Labus e Scevola. Salute”. Questa lettera fu scritta circa due mesi dopo che Brescia aveva posto fine alla plurisecolare unione con l'oligarchica Repubblica di San Marco.
Allo Scevola, per la sua prima Messa, dedicava uno sciolto, un sonetto e un'ode, stampata questa in Brescia dal Fornasini col titolo "L'olocausto", ma oggi irreperibile.
Nel frattempo mostrava di interessarsi della produzione letteraria bresciana, chiedendo di leggere gli “Epigrammi” del conte Carlo Roncalli, giudicato “felice traduttore degli epigrammi francesi”.
Partecipò anche con simpatia viva alle notizie della rivoluzione giacobina di Brescia.
Il poeta conobbe Brescia dapprima durante i viaggi a Mantova, Verona e Venezia. Vi si fermò sicuramente alcuni giorni nel giugno 1803 e sul principio dell’aprile 1806. In questa occasione dovette forse visitare la tipografia del F∴ Nicolò Bettoni.
Nel luglio dello stesso anno ebbe un incidente di viaggio a Desenzano dove trascorse una notte di burrasca, cosi come la racconta all'amico e poeta veronese Ippolito Pindemonte, in una lettera da Milano, datata 26 luglio 1806: era in viaggio da Verona, verso il capoluogo lombardo, quando, scrive il Foscolo al Pindemonte, “mi si scavezzò una stanga della carrozza a Desenzano... e mi fu forza di sostare alle sponde del lago sino alle otto del di seguente... E per continuare la mia odissea, io non ho mai veduto mare più irato del lago di Garda; tutta notte mi parea ch'ei volesse innondarmi la stanza”. Ma il Foscolo conosceva bene l'abituale clima mediterraneo che per lui, ionico di nascita, era sinonimo di serenità ellenica. In una lettera al FØž Ferdinando Arrivabene, di qualche mese più tardi, parlando del comune Fratello Massone Giacomo Pederzoli di Gargnano, si augura di trascorrere l'inverno “sulle rive del suo Benaco, ove perpetua odora primavera”.
Sulla fine dell'anno fu di nuovo a Brescia per consegnare al F∴ editore Bettoni il manoscritto dei Sepolcri. Vi rimase, alternando con viaggi ed assenze (come quella di un mese a Milano), per alcuni mesi fino al 27 settembre 1807.
Fra le amicizie bresciane sono da ricordare i Fratelli Liberi Muratori: Fernando Arrivabene, Antonio Bianchi (abate, com’erano denominati all’epoca i sacerdoti), i fratelli Ugoni, Luigi Scevola, Jacopo Pederzòli, Niccolò Bettoni, Francesco Filos e diversi altri uomini di lettere, politici, soldati, bresciani quasi tutti, salvo qualcuno da tempo residente in città quali Giovita Scalvini, allora giovanissimo, Gerolamo Federico Borgno, , Gerolamo Federico Borgno, Gerolamo Monti, Pier Damiano Armandi, Giuseppe Nicolini, Antonio Buccelleni, Cesare Arici, Giovanni Labus, Ettore Martinengo, Giacinto Mompiani. Il suo epistolario è pieno di nomi bresciani: Giovita Scalvini, Filippo e Camillo Ugoni, Gerolamo Federico Borgno, Cesare Arici. Con essi egli intrattenne una conversazione che durò ben oltre il periodo della sua permanenza ed ebbe riflessi che escono dai confini della letteratura "cittadina" per investire il corso della storia della cultura italiana ed europea nel cui alveo Brescia si era felicemente inserita in quegli anni.
Durante la sua permanenza a Brescia, ebbe una relazione amorosa con la nobildonna Marzia Maria Cipriana Provaglio Martinengo Cesaresco (1781-1859), di cui abbiamo un possibile ritratto che ne perpetua l’immagine nella storia, ripreso da un articolo, a firma di Carla Milanesi, nella terza pagina del “Giornale di Brescia” del 21 gennaio 1949: “Quando il Foscolo ventinovenne arrivò a Brescia, ella aveva ventisei anni, già anziana di matrimonio, ma ancora giovane di vita, la dicevano bellissima, e malgrado la ben nota miniatura del Cigola non ci entusiasmi troppo, specialmente per l’espressione poco geniale del suo viso, le ricerche di Ugo Da Como la descrivono con grandi occhi neri lucenti e capelli biondi, le forme purissime di statua, tanto che i bresciani, paragonando la bellezza della contessa con la bruttezza di Foscolo che facevano rassomigliare al satiro Marsia, canterellavano l’epigramma: Marzia somiglia ai numi, – Marsia somigli a te”.
Luca Quaresmini nel 2016 (Ugo Foscolo in salsa bresciana, La permanenza bresciana del grande poeta e patriota: era il 1807) dice: «A margine della da lui stigmatizzata “corrispondenza d’amorosi sensi”, rispetto a quella ridefinita dimensione ultraterrena “dell’amico estinto” che, nei 295 endecasillabi del carme dei Sepolcri, il poeta argomentava attorno alla subentrata legge napoleonica che imponeva le sepolture “fuori dagli sguardi pietosi”, Ugo Foscolo era arrivato nel capoluogo bresciano sulla scia di una tormentata dinamica di eventi, travolti da cronache storiche coincidenti pure con contrapposizioni fra vecchi e nuovi regimi ed esagitate riscosse di chi, invece, non si riconosceva né in quest’ultimi né nei primi, come il letterato e patriota stesso che, in tale personale risoluzione, sembra fosse “ammiratore del Bonaparte, nemico dell’imperatore Napoleone”.
“Il Foscolo, malinconico, romantico, vagheggiator della morte, era portato dall’indole sua stessa al funebre argomento”: affermava, fra l’altro, Demetrio Ondei nel suo scritto, più sotto citato, dal titolo “Ugo Foscolo a Brescia” di inizio Novecento, chiedendosi, in riferimento all’opera dei “Sepolcri”: “Ma dove, come gliene venne l’ispirazione? Fra tante ipotesi sia permesso anche a me esporre la mia. Il poeta aveva amici a Brescia, molto prima che vi prendesse dimora, e vi era stato parecchie volte. Allora il Vantini preparava i disegni del nostro cimitero che fu dei primi e dei migliori a sorgere, dopo i decreti napoleonici, e molto se ne parlava. Perchè non può il Foscolo aver avuto da Brescia il più forte impulso al suo capolavoro?”.
Il 22 settembre di quell’anno [1807], Ugo Foscolo lasciava Brescia dove, oltre a frequentare, insieme ad altri aristocratici consessi, la casa gentilizia del nobile Girolamo Monti, il ruolo del quale rifulge nei “Commentari dell’Ateneo”, pare gli fosse piuttosto abituale il pranzare nel noto albergo Gambaro, tra l’attuale corso Zanardelli e via Moretto: “ivi mangiava parco, quasi non beveva vino, perché il Foscolo, contro la consuetudine dei poeti, era astemio, e solea dire di sé che era come la calce, la quale si accende con l’acqua”».
A Brescia il Foscolo dopo la pubblicazione dei "Sepolcri" stampò con F∴ Bettoni l“Esperimento di traduzione della Iliade” (Brescia, N. Bettoni, 1807). A Brescia il Foscolo soggiornò anche dopo la pubblicazione dei "Sepolcri", per circa quattro mesi consecutivi, dal 2 giugno al 27 settembre, mesi durante i quali fu impegnato alla nuova edizione delle opere di Raimondo Montecuccoli e nei quali, con la sua personalità e il suo fascino, entrò nel vivo del tessuto culturale e sociale della città.
A Brescia nel 1807 incontrò il F∴ Pier Damiano Armandi, che, capo battaglione dell'esercito napoleonico e di guarnigione a Brescia, era entrato in dimestichezza con i FF∴ Calini, i Martinengo, i Tosi, ecc. Con lui il Foscolo ebbe rapporti epistolari e l'Armandi fece da tramite tra il poeta e Marzia Martinengo. Fu ospite in una casa quasi di fronte al Teatro, pranzando al Gambero e in seguito poi, in un mezzanino di palazzo Martinengo Barco, e anche in casa Suardi, isolandosi spesso sul ronco Pivetti sotto il “Rosso”, dove venne posta una lapide poi scomparsa. La tradizione vuole che abbia visto anche la provincia, e anche Collio.
Per i bresciani ebbe buona stima come ebbe lodi per Brescia.
I bresciani lo stimarono anche come poeta e letterato.
Il F∴ massone abate Antonio Bianchi scrisse un opuscolo in difesa dei "Sepolcri" dal titolo: "Uno dei più contro l'uno, ossia Risposta dell'abate Antonio Bianchi alle critiche del signor Guillon fatte al carme del signor Ugo Foscolo. 'Io parlo per ver dire, non per odio d'altrui né disprezzo'. Petrarca, canz. XVIII" (Brescia, Spinelli e Valotti, tipografi, 1808). Il titolo del libretto riprende invertendolo quello del Guillon in replica alla lettera del Foscolo: 'Uno, contro più, ovvero risposta del Signor Guillon, ecc.', (Milano, Silvestri 1807, in 8° piccolo, p. 67)". Gerolamo Federico Borgno, tradusse i Sepolcri in esametri latini che lesse all'Ateneo il 29 luglio 1812 ricevendone il premio assegnato “al più abile traduttore del poemetto foscoliano” e che al Foscolo volle dedicare una “grande ode” forse mai finita. La traduzione venne invece pubblicata dal Borgno nel 1813 col titolo “De Sepulcris ad Hippolytum Pindemonte”.
Al conte F∴ Massone Luigi Lechi, lesse, come buon intenditore di armonie, la propulsione al corso di Eloquenza “Dell'origine e dell'ufficio della letteratura” pronunciata all’Università di Pavia il 22 gennaio 1809. Col F∴ Nicolò Bettoni ebbe invece contrasti vivi, a causa del costo di un opuscolo del Foscolo in risposta a quello del francese Guillon. I contrasti durarono a lungo e spinsero il F∴ Bettoni a pubblicare nel 1810, nella sua tipografia bresciana, un opuscolo dal titolo: “Alcune verità ad Ugo Foscolo”.
Di Brescia lo avevano particolarmente colpito i dintorni collinari, tanto che il 1° maggio 1807 raccomandava agli amici bresciani, per il suo imminente ritorno a Brescia, di trovargli una casa con “la vista dei colli”. Il 15, all'amico e F∴ di Loggia Pier Damiano Armandi: “Brescia mi sta sempre nel cuore”. Il 27 dello stesso mese, ormai in procinto di partire per Brescia, prega il letterato mantovano abate Saverio Bettenelli di indirizzargli lettere a Brescia, “ove sarò”, precisa, “a' primi di giugno a passare l'estate fra gente più ospitale e men crassa”. Nell'autunno, lasciata Brescia da poco tempo, dopo avervi dimorato ininterrottamente quattro mesi, ricorda, all’abate Bottelli di Arona, "le colline bresciane”. Verso la fine di quell’anno bresciano, il 1807, in data 9 dicembre, il Foscolo ringrazia commosso il F∴ di Loggia abate Antonio Bianchi per aver difeso con tanta sapienza e tanto amore “I Sepolcri” dalle aspre critiche rivolte al carme dal francese Amato Guillon. "Non sarà mai", scrive il Foscolo al Bianchi, “ch'io non mi vi professi amico e obbligato, e per la nostra consuetudine a Brescia, e per la difesa che voi avete pigliata di me, e perch'io stimo l'ingegno vostro”.
Il 23 gennaio del 1808, al F∴ Ferdinando Arrivabene, il Foscolo esprime tutto il suo vivo desiderio di ritornare a Brescia: “Alla fine di Carnovale ti vedrò a Brescia; vorrei venirci, ma! Dio sa, e più che Dio, lo sa l'anima mia quanto bisogno io abbia di Brescia”. A Marzia Martinengo scriveva il 17 febbraio: “Faccia il cielo che quando io verrò a trovarti, la buona stagione continui; io vedrò splendere la divina luce del giorno in quel vostro clima limpido, e la primavera vezzeggiare le colline di porta Torlonga”. In marzo in una progettata venuta a Brescia, si riproponeva di “pigliare in affitto un ronco presso porta Torlonga”. Il 3 maggio dello stesso anno, in una lettera all'amico e F∴ massone Camillo Ugoni, cosi rievocava il suo soggiorno bresciano dell'anno precedente: “Io sospiro il momento di abbracciarvi e di passeggiare con voi intorno alle mura di Brescia tutte belle per quelle molli colline, e per quell'aere fino e sereno”. Nel giugno del 1809, ancora al F∴ Camillo Ugoni, scrive: “Tutti i giorni si va rinnovando la speranza del mio ritorno a Brescia”.
Dopo la sua partenza, nel bresciano ci sarebbe tornato ancora, ma solo di passaggio, poco meno di quattro anni più tardi, il 23 gennaio 1812 infatti l’Ugoni lo ebbe improvviso ospite, quando esiliato da Milano, si recava a Venezia, per raggiungere Firenze, lasciandosi di bel nuovo alle spalle quella città nella quale, come ancora, fra l’altro, ha specificato Carla Milanesi, nella seconda parte dell’accennato suo articolo, “si recava in una rustica casetta sui Ronchi, di proprietà del marito di Marzia…: in quella ridente cornice di verde e d’azzurro si intratteneva a studiare e a comporre, nonché a “concionare” i giovani radunandoli sotto una pianta di fico, sbracciandosi ed urlando per convincerli con quella sua voce or stentorea or sepolcrale; alla fine urlavano tutti insieme, dando l’impressione d’un manicomio!. Il vecchio roncaro del luogo, Angelo Micheli, morto ottantenne, raccontava di quello strano ospite, dicendolo on scritur, coi caei ross che l’era el murùs de la padruna”.
Nel 1814, il Foscolo faceva sapere al F∴ Camillo Ugoni che sempre vive con “un desiderio forte e secreto di rivedere gli amici... e di parlare con essi, e di trovare consolazione nelle loro parole”. Nella stessa lettera, presentava all'Ugoni un conoscente inglese e pregava l’amico bresciano che gli fosse “geografo pel viaggetto ch'ei bramerebbe di fare al lago di Garda per visitare Sirmione, amabilissima fra le penisole”.
Dall’ottobre 1823 al gennaio 1824 lo Scalvini e Filippo Ugoni abitarono insieme nella villetta del Foscolo, Green Cottage. Nel 1823 Camillo Ugoni traduceva in italiano: "Saggi sul Petrarca" ristampati dal Foscolo in inglese.
Caduto napoleone, per non prestare giuramento agli austriaci, riparò esule in Svizzera (1815) e poi a Londra (1816).
Del rapporto tra Foscolo e la massoneria si sa poco. Aderì appieno ai progetti di Napoleone ed ai suoi ideali ispirati convintamente dal messaggio libero muratorio. Foscolo frequentò molti letterati massoni dell’epoca, ebbe interesse per il confratello Alfieri ed il fortissimo messaggio presente nei Sepolcri, opera in cui si loda l’influenza positiva che i morti possono avere sui vivi, attraverso un modello di riferimento patriottico e civile, liberato dall’ideale trascendentale cristiano. I riferimenti presenti in quest’opera sono numerosi, come ad esempio la lode per i costumi dell’Inghilterra, nazione forgiata dalla massoneria e tutt’altro che “nemica” per l’autore nonostante gli scontri tra essa e Napoleone.
Così come il componimento “Le Grazie”, sarebbe impossibile da capire appieno se non si collegasse il percorso dell’evoluzione umana con quello rappresentato e proposto dalla massoneria, in una unione di progresso civile, spirituale ed artistico. Le Grazie, infatti, sono una lirica intesa come partecipazione politica e non una poesia di purezza lontano alle vicende storiche, anzi, l’intento del poeta è quello di opporre alla brutale violenza prodotta dall’uomo, il mondo delle Grazie civilizzatrici, che lo stesso Foscolo chiama “divinità mediatrici” fra “gli uomini e gli dei”. Dunque, la civiltà attraverso le arti e la poesia ha il compito di difendere la società umana dagli orrori delle guerre che attraverso le campagne di Napoleone insanguinavano i campi di battaglia di tutta l’Europa uccidendo giovani vite.
Foscolo, poi, nei Versi del Rito immagina che la viceregina Amalia Augusta offra alle virginee deità un cigno per ringraziarle di avere concesso ritorno al marito; sono versi composti in un periodo di indebolimento militare di Napoleone (fine 1812 inizio1813) e di rafforzamenti militare del Beauharnais (dopo la vittoriosa battaglia di Lutzen) e rispondevano meglio ad un disegno politico più praticabile di maggiore indipendenza e autonomia dell’Italia rispetto al sistema imperiale di Napoleone. E’ chiaro come questo brano potesse avere un senso solo in quella precisa data storica, non prima, quando l’Impero Napoleonico era all’apice della sua potenza, né dopo, quando a partire da Lipsia, iniziarono le sue sconfitte.
Un Regno Italico con maggiore indipendenza sarebbe stato possibile con un Bonaparte indebolito militarmente e ridimensionato politicamente ma sempre dominante sulla scena europea come testimonia la poetica del cigno e dell’aquila. Nei versi che la esplicano l’aquila rappresenta la tradizione storica. L’Italia come motore del Sacro Romano Impero. Il cigno sembra adombrare nei suoi rapporti con l’aquila, i meccanismi gerarchici che avrebbero reso possibile una maggiore autonomia del Beuharnais da Napoleone. È significativo anche il fatto che Eugenio sia circondato da un’aura di eroismo, simbolo di una nazione prostrata da mille sventure ma venerabile per antico valore. La poesia delle Grazie, dunque, è radicata nelle passioni civili, ed anche se il suo tessuto non è organico ed unitario, può essere compreso ed apprezzato. Particolarità, che ancora una volta esalta l’animo ribelle del poeta, è che sebbene i versi fossero stati scritti in età Neoclassica, non si sono piegati alle ragioni del potere.
Da notare anche l’interesse di Foscolo per Dante, autore prediletto da noi Liberi Muratori.
Anche nell'esilio londinese che si autoimpose il Foscolo ebbe consuetudine di amicizie con bresciani quali Scalvini, Filippo Ugoni e i FF∴ di Loggia: il mantovano-bresciano Arrivabene e poco più tardi anche Camillo Ugoni. Gli Inglesi lo avevano già conosciuto per fama e lo accolsero con simpatia, ma illudendolo: per la sua natura non riuscì mai ad integrarsi e venne abbandonato, morì poverissimo in uno squallido quartiere di Londra da solo con la figlia. Dopo l'Unità, nel 1871, le sue ceneri furono riportate per decreto del governo italiano in patria e inumate nella Basilica di Santa Croce a Firenze, il Tempio dell'Itale Glorie da lui cantato nei Sepolcri (1807).
Passò all’OrØž Eterno a Turnham Green (Londra) il 10 settembre 1827 all’età di 49 anni, esule volontario e povero.
FOSSATI Giampietro
(?)
Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta (1809).
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p.57).
«Fossati Pietro. Cancelliere della R. Pretura di Salò - di Toscolano abitante a Salò. Dai suddetti atti vien pur indicato fra le persone sospette di Carboneria anche questo Fossati, ed il Commissario di Polizia di Salò lo indica antico Massone», in nota: “In Archivio di Stato, Milano, id. id., Reg. F, Fol. 92”: «Segreti confidenti lo indicarono come Carbonaro della vendita che si suppone esistere in Toscolano. Dalle risultanze fin qui assunte, nulla emerse oltre questa confidenza, risultò peraltro che egli era massone e stava in relazione con il conte Luigi Lechi, avendo anche un giorno pranzato nella di lui isola del Lago, nella festa del Corpus Domini del 1820, ove si vuole si tenessero delle sospette unioni» (Annibale Alberti, in Regio Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Elenchi di compromessi o sospettati politici 1820 – 1822, parte I, p. 27, n. 76).
Null’altro sappiamo di questo Fr∴, mancando notizie certe su di lui, il nome di Fossati Giampietro non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.
FRANZINETTI Guglielmo (o FRANCINETTI)
(1780 – 1867)
Diacono della Reale Loggia Amalia Augusta (1809).
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, Un elenco di Federati bresciani p. 685 e la sua biografia in Memorie biografiche e documenti inediti, p. 680).
Nacque in Brescia nell’anno 1780.
Avvocato.
Figlio di Giulio Francinetti (o Franzinetti) e Mazzetti Orsola, ambedue di agiata famiglia.
Seguì la carriera legale, e laureatosi ancora giovane fu avvocato brillante e ricercato durante il Regno italico.
Si ascrisse anche nella Massoneria, e nella Loggia di Brescia teneva l’ufficio di Diacono. Aderì alla Federazione per il tramite del conte Ducco, e subito dopo l’arresto del Rinaldini, temendo di essere da lui tradito, riuscì a fuggire in Svizzera donde, sospinto dalle angherie del governo austriaco che premeva sulla Confederazione elvetica contro i fuorusciti italiani (Cfr. G. Manzoni, Gli esuli italiani nella Svizzera), passò nel Belgio e si stabilì a Bruxelles. Qui per vivere onestamente fu costretto a impartire lezioni di diritto ed a scrivere articoli sui giornali. A Bruxelles egli entrò nell’amicizia del F∴ Filippo Buonarotti (nel 1806 Filippo è membro della Loggia Massonica Les Amis Sincères di Ginevra, ne fu Maestro Venerabile nel 1811, quando le autorità ne ordinano la chiusura per le attività politiche che vi si svolgevano), il fiero repubblicano toscano, e con lui fu uno dei più ardenti e pugnaci polemisti a favore del partito radicale. Parlò frequentemente nei comizi elettorali e collaborò a lungo nei due giornali democratici il Liberal (1835) e il Radica1 (1837-1838). Entrò in grande amicizia anche col Gioberti e insegnò per qualche tempo letteratura italiana e diritto pubblico nel Collegio Van der Malen di Bruxelles (Alla mernoria dall’avv. Guglielmo Francinetti, morto in Brescia il 4 agosto 1867, brevi parole del cav. Luigi Cazzago, Brescia, Tip. Sentinella Bresciana 1867, pp. 15 in 8. e Cfr. anche C. Cocchetti, Due memorie, Brescia, 1867. pag. 50 in nota).
“Costoro [I nostri patrioti esuli], pur se lontani dalla loro patria, continuano a diffondere le idee romantiche, avvalendosi dei rapporti con coloro che erano riusciti a rimanere in città o nel territorio, sfuggendo all’inquisitore Salvotti e ai poliziotti austriaci. Specialmente Filippo Ugoni e Guglielmo Franzinetti sono i più attivi assertori delle idee buonarrotiane, attraverso la società degli Apofasimeni, che il rivoluzionario toscano aveva fondato in Belgio dove vivevano molti immigrati italiani e bresciani in particolare, tanto che Franzinetti diventerà il fedele segretario del Buonarroti” (Commentari dell’Ateneo, Bernardo Scaglia, Sette e cospirazioni a Brescia 1830-1850, anno accademico CXCVIII, p. 186, 187).
«Da una parte il capitalismo nel quale era sboccato lo sviluppo di quella ricchezza dovuta allo slancio di tutte le manifestazioni delle attività economiche. Dall'altra le dottrine e le teorie che miravano a modificare, ed anche a rovesciare. l'assetto economico, sociale e politico basato sul capitalismo, per sostituirlo con un altro che realizzasse la rivendicazione dei diritti dei lavoratori. Questa corrente ebbe un precursore in Guglielmo Francinetti di Vobarno, che il Romano Catania cita fra gli egualitari, vissuto dal 1779 al 1867 e lo ricorda come autore di un articolo apparso nel “Radical” di Bruxelles il 24 settembre 1837 su “F. Bonaroti”» (Ugo Vaglia, Vicende storiche della Val sabbia dal 1580 al 1915, Risveglio economico - Angelo Passerini, p. 240).
Nel 1838 avrebbe potuto tornare, accettando l’amnistia politica, ma egli sdegnosamente non volle rientrare in Italia suddito austriaco. Vi tornò invece dopo Solferino e S. Martino, ma stanco, e si tenne appartato completamente dalla vita politica.
Passò all’OrØž Eterno a Brescia il 4 agosto 1867 all’età di 87 anni colpito dal colera, lamentandosi di non aver potuto fare di più per l’Italia.
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FRAU Aventino
(1939-2020)
Nell’elenco della Loggia Propaganda 2 del GØž OØž IØž. (Roma, Tessera n. 533).
L’elenco dei soggetti appartenenti alla P2 fu reso pubblico dalla presidenza del Consiglio dei ministri il 21 maggio 1981.
Frau Aventino con dichiarazione giurata ha negato la sua appartenenza ed ha agito giudizialmente contro l’inserimento nella Lista degli appartenenti alla P2.
Nato a Piovene Rocchette (Vicenza) il 3 marzo 1939. È stato un accademico, avvocato, giornalista e politico italiano (deputato Dc, poi Forza Italia).
Per il parlamentare bresciano l’appartenenza alla P2 non è comprovata da documentazione sufficiente: gli elenchi e le matrici delle ricevute di pagamento delle quote per gli anni 1977 e 1978 per 100 mila lire (Commissione parlamentare P2, Allegati alla relazione, Serie II, Documentazione raccolta dalla commissione, Vol. I Tomo III) sono evidentemente compilabili anche senza che vi fosse il suo consenso.
Non è possibile sottacere comunque, in questo elenco dei Massoni bresciani ancorché incompleto, i Fratelli, o presunti tali, che sono stati coinvolti nel fenomeno piduista. Sulla base della documentazione acquisita agli atti della Commissione parlamentare sulla vicenda della Loggia P2 di Licio Gelli, all’Obbedienza del Grande Oriente d’Italia, si può ragionevolmente affermare che la Massoneria bresciana non sia stata interessata al fenomeno se non in forma assolutamente poco rilevante.
I bresciani nell’elenco ritrovato della P2 sono cinque: Cordiano Fausto, Folonari Marco, Frau Aventino, Montanaro Giuseppe e Pedini Mario.
Nel 1960 a soli 21 anni, appena maggiorenne, è eletto sindaco di Puegnago del Garda. Nel 1964 diventa sindaco di Gardone Riviera, dove sarà rieletto per altre tre legislature e, più tardi, come presidente della Comunità della regione del Garda e, successivamente, dell'USSL del Garda bresciano.
Nel 1967 è capo della Segreteria politica nazionale con l’onorevole Mariano Rumor.
Nel 1971 è segretario provinciale della DC bresciana.
Cofondatore, con gli on.li Pedini e Zagari, segretario generale e poi presidente dell’Iceps - Istituto per la cooperazione economica e i problemi dello sviluppo (ente internazionalistico e organo consultivo dell’ONU) - ha diretto numerose missioni economiche e politiche in varie parti del mondo.
Passato all’OrØž Eterno a Peschiera del Garda il 12 marzo 2020 all’età di 81 anni.
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FRENI Vincenzo
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Fondatore della Loggia Lithos della Gran Loggia regolare d’Italia all’Oriente di Marone (Brescia).
Messinese, medico Chirurgo Generale presso Istituto Clinico San Rocco di Ome (Brescia) Gruppo San Donato.
Nato nel 1962, è stato per anni un esponente attivo della Gran loggia regolare d’Italia e ha rivestito importanti cariche lombarde, figurando tra i fondatori della loggia bresciana “Lithos”, poi rinominata “Camillo Golgi”.
Riportiamo la sintetica biografia del Fratello per riferire sul problema della candidature politiche dei Liberi Muratori di cui il FØž Vincenzo è simbolo. I massoni sono nel proprio cammino iniziatico di miglioramento di se stessi in un percorso spirituale sono stimolati alla ricerca personale della verità, che li porta ad una solitaria ricerca, con il confronto e il conforto dei fratelli e nell’accettazione di tutti gli uomini, senza distinzioni di credo religioso o politico o etnico; e in questo percorso raggiungono una naturale motivazione a perseguire il bene dell’umanità seconda la personale predisposizione verso l’educazione culturale, l’impegno nel sociale con organizzazioni di volontariato, nella responsabilità di un progetto di bene comune e impegno politico. Insomma il Maestro Massone è anche uomo d’azione.
Nel 1912 Il FØž Freni si è candidato nelle liste del “Movimento 5 stelle” e nel testo di presentazione il FØž Freni giudica “buono” il lavoro della Regione su scuola e sanità “anche se le risorse potevano essere meglio utilizzate visti gli sprechi spregevoli venuti a galla”, poi immagina una Lombardia capace di “far ripartire la locomotiva produttiva nel rispetto dell’ambiente”, sfoggiando parole e temi in linea con il pensiero grillino. Non ha mai fatto segreto d’essere Libero Muratore, tant’è vero che nel suo profilo Facebook la sua appartenenza massonica è alla luce del sole. Tuttavia nella sua biografia “politica” affidato alla rete non ha dichiarato l’appartenenza alla loggia massonica, e “viene incolpato” d’aver tralasciando una parte importante del proprio vissuto. Sul suo profilo Facebook si può comprendere quanto l’affiliazione sia fondamentale nella sua vita. Ma proprio a causa della sua volontà di candidarsi alle elezioni regionali con il M5s, Vincenzo Freni è stato allontanato dalla Glri: “La sua obbedienza – hanno spiegato i vertici regionali della loggia – ora è spuria e non ha nulla a che vedere con noi, sono due cose distinte e separate”.
Il movimento di Grillo fa della lotta ai poteri forti un baluardo di eticità e tra questi “poteri forti” c’è la massoneria (sic!). «Il Movimento 5 Stelle è l'unica forza politica che offre la possibilità di candidarsi a tutti i cittadini che abbiano i requisiti base richiesti: essere residenti nel territorio di riferimento, incensurati, non aver svolto due mandati in carica pubblica, di non possedere tessere di partito». Quindi non può esserci incompatibilità con l’appartenenza alla massoneria, ma così non è, e purtroppo il movimento entra in contraddizione con i suoi valori fondanti, agendo con pregiudizio e senza discernimento.
Desumiamo dall’intervista rilasciata nel 2012 a Pietro Gorlani sul Corriere della sera pagina bresciana del 16 novembre 2012, ma anche da altri quotidiani nazionali del periodo il sunto della questione: «Non tutta la massoneria è un male - taglia corto Freni -. Il problema è che nell'immaginario collettivo la si associa subito alla Loggia P2, ad un sistema delinquenziale. Ma ci sono logge che perseguono fini solidaristici, ad esempio la raccolta fondi per i terremotati. Come fa la Lythos. È lo stesso meccanismo che succede in politica: per colpa dei cattivi politici adesso la gente pensa che tutta la politica sia una porcheria».
«Non facciamo di tutta un’erba un fascio; io non ho avuto il posto da primario, né raccomandazioni né benefit economici». E difende la sua storia, le sue umili origini, la sua gavetta. Figlio di un bidello di Messina, «mi sono mantenuto agli studi facendo il portiere di notte, ho studiato all'estero, a Madrid e Cambridge» per poi tornare in Italia dove ha fatto anni di guardie mediche, notti, sostituzioni».
Il movimento 5 stelle lo ha respinto. Nessun massone può candidarsi nelle liste del Movimento 5 Stelle (sic! vedi la nostra pagina “I partiti che escludono i Massoni” in “Studi Monografie Ricerche”). I grillini da sempre dichiarano d’essere contro la partitocrazia, i poteri forti e ogni tipo di società segreta, ma confondono Libera Muratoria con “società segreta” e “poteri forti”, dimostrando ancora grande incompetenza tra i suoi dirigenti che vogliono governare l’Italia, se stabiliscono che la Massoneria sia da considerare tutt’oggi un’associazione segreta; in verità non è più “segreta” da decenni, e che sia un potere forte per i grandi valori che sostiene per un’umanità migliore, è verissimo e i Massoni ne sono orgogliosi!
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