Alchimia
Lezione 6
Jung, studioso di dottrine esoteriche e della tradizione alchemica.
(da Esonet, Jung e l'Alchimia, tratto da una tesi di Antonio D'Alonzo)
Jung è consapevole che «la psicologia potrà pure spogliare l’alchimia dei suoi misteri, senza però riuscire a svelare il mistero dei misteri». Il “mistero dei misteri”, di cui scrive Jung, non concerne la concreta esistenza storica di un insieme di pratiche alchemiche seguite e definite nei secoli e nei diversi contesti culturali, quanto piuttosto il fondamento di questo sapere, ossia la relazione tra spirito e materia.
Lo psicologo svizzero intravedeva nell’alchimia un campo del sapere arcaico, inesplorato dalla scienza sperimentale, sul quale fondare le proprie teorie attraverso lo studio dei processi psichici d’integrazione: lo stesso Jung rivela come fosse stato un sogno rivelatore ad indirizzarlo verso l’’alchimia.
L’alchimia, per Jung, sarebbe una sorta di antica “tecnica dell’anima”, in grado di realizzare– mediante l’apparato simbolico – il Sé, il principium individuationis, strutturato attraverso l’esplorazione integrativa dell’Io nell’inconscio. Tramite questa chiave interpretativa acquista particolare rilevanza l’immagine del laboratorio come metafora della personalità, attraverso cui ottenere la trasmutazione (principio d’individuazione) del metallo (Io) nell’oro (Sé).
Le applicazioni alchemiche simboleggerebbero, ritualmente, il processo di perfezionamento interiore.
Il lavoro dell’alchimista non sarebbe altro che un’allegoria inconscia del percorso di perfezionamento introspettivo: anche quando egli opera empiricamente, riproduce- consapevolmente o meno – la parabola del viaggio interiore del Sé.
In Psicologia e Alchimia, Jung estende la sua ermeneutica simbolistica all’analisi della ricezione storica delle correnti alchemiche occidentali, allargando diacronicamente il campo di ricerca strutturale all’esegesi testuale, mentre la materia è identificata con il principio di ordine femminile che compendia sinteticamente la trinità cristiana, esprimendo così la reintegrazione dello spirito con il mondo materiale ed il negativo.
Nel Rosarium philosophorum, ad essere evidenziate sono soprattutto le “nozze chimiche” del re e della regina, funzionali all’analisi del fenomeno del transfert. È proprio il quarto fattore dialettico, di contro all’idealismo hegeliano, a garantire la riabilitazione della polarità femminile e del principio passivo, giacché, «il lavoro sulla materia riabilita simbolicamente la polarità femminile e oscura della realtà, quella che chiamiamo “male”, che la teologia cristiana di Agostino, dopo la sconfitta dello gnosticismo e del manicheismo, aveva privato di realtà ontologica».
Jung dedica grande spazio agli scritti di Paracelso, allo “spirito Mercurio” ed al simbolismo dell’albero. Ma è soprattutto la figura di Zosimo di Panopoli (III-IV d. C.), ad essere al centro dell’interesse junghiano. Ad affascinare Jung, nei trattati di Zosimo, è stato, probabilmente, l’aspetto visionario dell’opera, sono state le proiezioni oniriche sull’oggettività della materia, percepita dagli alchimisti come sostanzialità intrinseca e non come mera risultante delle dinamiche del processo inconscio d’individuazione.
Nel Mysterium Coniunctionis, l’ultima opera prima della scomparsa, Jung sembra rendersi conto che l’integrazione dialettica del quarto termine- la materia- nello schema trinitario divino, pur esprimendo simbolicamente la Totalità, non la realizza concretamente, limitandosi ad indicarne la mera possibilità.
La concretizzazione del lavoro alchemico è data soltanto dall’unione effettiva, ossia spirituale, tra uomo e cosmo ( Unus Mundus, secondo la terminologia dorniana).
Alla fine, dunque, Jung nel suo costruttivo approccio all’alchimia, rinuncia ad oltrepassare il confine dottrinale tra la rassicurante riva dell’interpretazione psicoanalitica e i turbinosi ed oscuri flussi carsici dell’operatività iniziatica. A fronte della sterminata erudizione in materia, egli rimane uno psicologo, distante anni luce dai seguaci della neognosi contemporanea.
Il compito di ampliare l’orizzonte epistemologico delle ricerche junghiane sull’alchimia è stato raccolto da due continuatori della sua opera, Marie Luise von Franz e Robert Grinell. La prima collega le elaborazioni junghiane sulla coniunctio alchemica con la teoria della sincronicità, riallacciandosi al lascito della classica dottrina esoterica del micromacrocosmo, ossia della dimensione antropocosmica del Tutto. Grinnell, dal canto suo, preferisce concentrarsi sulla rielaborazione “alchemica” dei processi psicoidi, definiti come interazioni inscindibili di spirito e materia, escludendo del tutto la possibilità di una qualunque lettura unilaterale che prescinda dalla coniunctio dei due termini.
Possiamo dunque sostenere come la scienza alchemica, nell’opera dello psicologo svizzero, assurga a linguaggio privilegiato per esprimere una serie d’interazioni fondamentali obliterate dal paradigma del dualismo cristiano e cartesiano, dominante nella civiltà occidentale.
L’alchimia, secondo Jung, compensa, integra, ricongiunge la lacerante scissione del corpo dell’uomo moderno con il Regno della Natura, riuscendo ad armonizzare nell’Uno la dicotomia del soggetto e dell’oggetto, dell’osservatore e del fenomeno.
Non siamo alla presenza di un controparadigma dunque: ma, piuttosto, di un tentativo di rettificare, con l’armonia degli opposti, lo squilibrio ratiocentrico causa di tante nevrosi contemporanee.
Jung, ha confessato di essersi sentito a lungo isolato, nella sua lunga attività di ricerca. Di essere stato un solitario, perché interessato a cose «che gli altri ignorano, e di solito preferiscono ignorare».
Jung fu dapprima emarginato per il suo interessamento alle teorie freudiane ed a quello strano metodo- la “psicoanalisi”- che si proponeva di curare gli isterici con la terapia dell’ascolto e prescindendo da terapie coatte. Ma il pensiero di Freud era troppo focalizzato sulla libido e sulla «numinosità» del tema dell’incesto- in altre parole, ratiocentrico e illuministico- per sfiorare nel profondo gli interessi culturali e speculativi dello psicologo di Basilea, da sempre stimolato da argomenti inerenti la dimensione sovrapersonale del simbolismo religioso e mitologico.
Jung arriva presto a cogliere la valenza di strutture inconscie declinate nelle modalità di a-priori collettivi, definiti “archetipi”, minimizzati da Freud. Si consuma dunque la rottura con Freud ed inizia, per Jung, un nuovo periodo di disorientamento interiore ed isolamento.
Tra il 1918 ed il 1926, Jung comincia ad interessarsi alle dottrine gnostiche, giudicandole, tuttavia, culturalmente troppo distanti dalla mentalità contemporanea.
L’incontro con l’alchimia fornisce il “ponte” del legame storico tra il passato stratificato nelle dottrine gnostiche e neoplatoniche ed il presente, costituito dalla moderna scienza dell’inconscio.
L’alchimia fornisce a Jung le basi storiche su cui strutturare le proprie ipotesi di lavoro e le prefigurazioni letterarie dell’esperienza interiore maturata durante la giovinezza e nel primo periodo freudiano.
Nel 1928, Jung riceve dal grande sinologo tedesco Richard Wilhelm un testo di alchimia taoista, Il segreto del Fiore d’Oro, che dischiude a Jung nuovi orizzonti speculativi. In particolare, grazie alla lettura dei testi di alchimia, egli riesce a interpretare il significato di un sogno, in cui si trovava imprigionato nel XVII secolo. Lo psicologo svizzero sogna di trovarsi in guerra e di rientrare dalle prime linee sul carro di un contadino trainato da un cavallo. Successivamente, un castello compare all’orizzonte, il carro entra all’interno dal portone principale. All’improvviso, tutti i portoni si rinchiudono ed il contadino esclama che lui e Jung sono prigionieri del XVII secolo.
Jung coglie l’evento come il segno della predestinazione personale allo studio sistematico ed esaustivo della letteratura alchemica.
L’alchimia diventa, per Jung, l’equivalente storico della psicologia del profondo, grazie alla quale può concepire l’inconscio alla stregua di un processo individuale e collettivo di trasformazione, che interagisce e si relaziona con la sfera cosciente, dinamica che prende il nome di processo di individuazione, ma l’alchimia fornisce allo psicologo svizzero le chiavi esegetiche per interpretare un universo di significati simbolici e immaginali.
La figura di Paracelso, ad esempio, permette a Jung di esaminare il rapporto dell’alchimia con la cultura religiosa del tempo.
In Psicologia e Alchimia, Jung compara e mette in relazione simbolica Cristo al lapis philosophorum, la leggendaria pietra che gli alchimisti cercavano di produrre nei loro laboratori.
Nel frattempo diversi sogni danno a Jung la prova di essere sulla strada giusta. Una notte, Jung, al risveglio, ha un’allucinazione ipnopompica e visualizza un grande crocefisso verde-oro deposto ai piedi del letto. Lo psicologo svizzero interpreta il sogno come una visione alchemica di Cristo. Nell’alchimia, l’oro verde è lo spirito dell’universo, l’Anima Mundi, l’Anthropos, il filius macrocosmi che vivifica il mondo della manifestazione. L’archetipo dell’Anthropos, secondo Jung, è presente in molte tradizioni, specialmente in quella cabbalistica dell’Adam Qadmon e in quella egizia con il mito di Horus, generato da Iside dal corpo smembrato del fratello-sposo Osiride. L’equivalente cristiano dell’Anthropos è costituito- sempre secondo Jung- da Gesù, il figlio dell’uomo e di Dio.
Continuando a cercare le similitudini tra la psicoanalisi e l’alchimia, lo psicologo svizzero identifica il transfert- punto focale della dottrina freudiana- con la Coniunctio, lo stato di fusione estatica che l’alchimista sperimenta verso la natura ed il Tutto, unione tra microcosmo e macrocosmo, in termini junghiani tra inconscio personale e inconscio collettivo. Jung, infatti, influenzato sia dalla lettura di mistici cristiani come Meister Eckhart, Nicola Cusano e Jacob Boehme, sia dalla conoscenza delle filosofie e religioni dell’Oriente e dell’Estremo Oriente, ha sempre cercato di rivitalizzare una visione monistica del cosmo, in grado di superare le aporie teologiche del dualismo cristiano tra la bontà di Dio e l’esistenza del male. In questa prospettiva, la coniunctio alchemica- lo Hieros gamos- equivale alla coincidentia oppositorum cusiniana o alla moksha indù, al riconoscimento dell’unio mystica tra il Sé e l’Universo: « con un Dio che è una complexio oppositorum “tutto possibile”, nel significato più pieno dell’espressione: la verità e l’inganno, il male e il bene».
Nel Segreto del Fiore d’Oro, Jung descrive il processo taoista di circolazione dell’energia vitale all’interno del corpo, ma soprattutto riesce a mettere efficacemente in relazione la ricerca dell’elixir interno cinese (nei tan) con l’istanza medievale e cristiana del corpo spirituale. Giunge ad avere l’intuizione decisiva sul segreto dell’opus come coniunctio oppositorum, trasmutazione della materia grossolana in materia spirituale: in termini psicoanalitici, interrelazione della coscienza con l’inconscio, processo volto a determinare il Sé, o principio d’individuazione.
Nel Mysterium Coniunctionis, l’ultima vera opera prima della scomparsa, Jung affronta i testi di Ripley, Dorn, Abraham Eleazar, basandosi soprattutto sull’analisi ermeneutica del simbolismo alchemico.
La coniunctio junghiana della materia e dello spirito s’innesta in un “luogo intermedio” (metaxû), dove la coscienza e la materia psichica s’integrano interagendo.
Negli stessi anni Henri Corbin definirà tale strato come Imaginale, dando inizio ad una serie di ricerche che delineeranno i contemporanei studi sull’immaginario collettivo, avallati dagli stessi junghiani, ma anche da studiosi di altre discipline, come, per esempio, Gilbert Durand, teorico di un’antropologia dell’Immaginario.
[...]
Il processo alchemico, la lavorazione della Mathesis, è riconducibile alle proiezioni del rimosso inconscio nella materia, ossia al ritorno del perturbante nella coscienza, processo che normalmente trova la sua esplicazione nei contenuti onirici e nelle fantasie:
«il processo consiste in un’invasione della coscienza da parte dei contenuti inconsci, ed è così strettamente connesso al mondo di idee alchimistico da giustificare la supposizione che nell’alchimia si tratti di processi identici o almeno molto simili a quelli dell’immaginazione attiva e dei sogni, dunque, in ultima analisi, del processo d’individuazione».
L’alchimista non era consapevole di realizzare un processo di divinizzazione o d’imitatio Christi. Tuttavia, giacché il lapis, altro non è che una proiezione del Sé, quest’ultimo è equiparabile al Redentore: «l’alchimista che fosse diventato capace di analizzare le sue proiezioni «<…> non solo avrebbe visto in sé l’analogo di Cristo, ma avrebbe dovuto riconoscere in Cristo il simbolo del Sé».
La differenza tra l’ortoprassi cristiana e l’opus alchemico risiede nel fatto che mentre la prima si configura come un operare nel mondo in onore di Dio Redentore, nella seconda è l’uomo stesso ad essere investito del carattere di Redentore, circoscritto, però, al ruolo di medium, di strumento per liberare gnosticamente il divino imprigionato nella materia. Mentre nel cristianesimo la redenzione scende dall’esterno e dall’alto su tutti gli uomini di buona volontà, nell’alchimia l’Artifex si autoredime redimendo la materia: «il cristiano ottiene ex opere operato i frutti della grazia; l’alchimista si crea invece ex opere operantis (in senso letterale) una “medicina”, un “rimedio” di vita, che per lui o sostituisce i veicoli della grazia offerti alla Chiesa, o è il complemento e il parallelo dell’opera di redenzione divina che prosegue nell’uomo».
Nei primi secoli della nostra epoca, doveva essere molto diffusa nell’immaginario religioso, l’immagine dello spirito prigioniero delle tenebre del mondo, nell’attesa della liberazione, operazione che avrebbe portato alla salvezza personale dell’eroe e di tutto il creato. È evidente che la liberazione dello spirito si limitava alla proiezione degli archetipi o dei contenuti inconsci nella materia, ma nel sentire comune degli alchimisti la realizzazione dell’opus avrebbe dovuto garantire la restaurazione dell’armonia edenica perduta, ossia, ancora in termini psicoanalitici, l’afferenza e l’inte-relazione dell’inconscio con l’Io, il principio d’individuazione.
Individualità e Inconscio Esoterico
Le quattro fasi dell'Alchimia Spirituale
Individualità e Processo d'individuazione, ostacolo e opportunità
Le quattro fasi dell'Alchimia Spirituale
Quattro sono le fasi nell'approcciare la via alchemico-speculativa, e a tal proposito vedi anche quanto detto nella quinta lezione parlando dell'Athanor.
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La Gnosi, o Conoscenza, acquisita sempre e soltanto attraverso l'Illuminazione e l'Intuizione;
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la Trasmutazione, preceduta dalla Scuola della Natura osservata, studiata e compresa;
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la Rivelazione, che fa dell'Iniziato un Illuminato. Jung scrisse: "Gli sforzi incessanti che esige l'elaborazione della Grande Opera sembrano, in definitiva, destinati a produrre la proiezione della coscienza in stato di veglia su un piano di stato transazionale di risveglio, e quindi l'ascensione della materia fino alla Luce Ignea che ne costituisce il limite";
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la Reintegrazione Universale , il ritorno al Pleroma platonico.
Individualità e Processo d'individuazione,
ostacolo e opportunità.
L'Individualità è la condizione che caratterizza il singolo individuo e lo rendono diverso dagli altri. Costituisce uno dei grandi arcani nel percorso della via interiore. Ogni adepto che si dedica alla ricerca interiore deve prima o poi affrontare tale argomento, che richiede un grande equilibrio di giudizio. Da un lato appare evidente che ogni essere vivente rappresenta un'entità irripetibile, della quale si dovrebbe cercare di raggiungere la piena coscienza, allo scopo di vivere con responsabilità e coerenza la propria esistenza.
La coscienza della nostra Individualità è perciò strettamente correlata alla nostra crescita interiore.
Da un altro lato, tuttavia, tradizionalmente ognuno viene messo in guardia contro i pericoli e i limiti che derivano da una superficiali ed eccessiva coscienza di se stessi, che costituisce il maggior ostacolo ad ogni superiore via di conoscenza.
Non vi è contraddizione fra i due punti esposti.
Il vero cammino interiore implica continue trasformazioni, che portano necessariamente alla luce della nostra coscienza nuovi punti di riferimento e nuovi valori.
Per i motivi addotti, ogni adepto deve dedicarsi alla ricerca della propria individualità e deve cercare di liberarsi da schemi precostituiti di giudizio, le catene dei pregiudizi che troppo spesso considerate erroneamente essere parte integrante della vostra Individualità.
L'Individuazione è un concetto elaborato da Carl Gustav Jung ed è quel processo psichico unico ed irripetibile di ogni individuo, che consiste nell'avvicinamento dell'Io con il Sé, cioè con una crescente integrazione e unificazione dei complessi che formano la personalità. L'avvicinamento avviene tramite l'attribuzione di significato ai simboli e la loro interpretazione che l'individuo incontra durante la sua vita.
Il simbolo lo si può trovare nel mondo interno e nel mondo esterno. La formazione interna avviene tramite regressioni e progressioni della libido.
La sincronicità invece aiuta l'individuo a vedere simboli non solo al suo interno ma anche nel mondo che lo circonda.
Questo percorso designa quindi una sorta di "viaggio spirituale" verso una maggiore consapevolezza di sé.
L'inconscio personale e l'inconscio collettivo vengono esperiti dall'individuo in modo semplicemente diverso: dal viverli in modo passivo ossia inconscio, al viverli in modo attivo ossia consapevole.
Sotto questa luce l'individuazione è il frutto della continua collaborazione tra Coscienza, Inconscio, Io e Sé.
Il processo è riconoscibile tramite le sue tappe, che a loro volta si integrano co le quattro fasi dell'Alchimia Spirituale
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La prima tappa è caratterizzata dall'archetipo dell'Ombra, ossia tutti quegli aspetti che l'individuo non conosce di se stesso. L'Ombra rappresenta tutto ciò che è stato rimosso per l'educazione e le influenze dell'ambiente sottoposte all'individuo.
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La seconda tappa è caratterizzata dall'incontro con l'archetipo dell'Anima per il maschio e l'Animus per la donna. L'Anima rappresenta tutti quegli aspetti prettamente psichici e mentali, ossia il primo contatto iniziatico dell'individuo con la propria psicologia. Viene rappresentata come una donna, una figura femminile. Questo archetipo è quello più comunicativo di tutti gli altri, perché sommerge l'individuo di immagini provenienti dall'inconscio, crea illusioni e complicazioni, e spesso anche crisi. L'Animus rappresenta tutti quegli aspetti prettamente maschili, pratici e concreti, razionali e reali, ossia il contatto con la sfera del diretto e del tangibile, il "ora e qui". Questo archetipo è il più battagliero e pragmatico ed è pericoloso per le sue capacità strumentali e armamentarie di sommergere l'individuo. Viene rappresentato nei sogni con la guerra, il fabbro e simboli simili. La non comprensione di tale archetipi può costare un blocco, una stasi, una nevrosi. Entrambi hanno potenzialità di creatività e distruzione.
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La terza tappa è caratterizzata dall'incontro con il Vecchio Saggio. Tale archetipo è da intendere come il corrispondente speculare della figura maschile, ossia paterna, della Grande Madre. È quell'archetipo in cui sono rinchiuse tutte le potenzialità dell'individuo, ossia la sua previsione, la sua capacità di ragionamento e la sua esperienza. La Grande Madre rappresenta la meta finale della psicologia femminile. Il Vecchio Saggio rappresenta tutto ciò che l'individuo sta per diventare dopo aver attraversato le fasi precedenti, un uomo, un saggio che sa, che ha conosciuto il passato, il presente e il futuro. Il Vecchio Saggio è capace di districarsi dalla tela appiccicosa dell'Anima e dalle battaglie furenti dell'Animus e come tale viene rappresentato come un consigliere, un filosofo, un esperto in materia. La sua non comprensione può tenere saldo l'individuo nella sua situazione bloccandone l'evoluzione che rappresenta.
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La quarta tappa è caratterizzata dall'incontro con l'archetipo del Sé. Tale archetipo è la summa del percorso di individuazione, il fine dell'individuo che si dispiega avanti a lui, come un fiore che sboccia. Viene rappresentato come luce, come mandala, come quaterna, come centro e come Dio. Tale archetipo rappresenta l'individuo stesso, tutto ciò che durante la strada ha visto e ha accumulato. Se l'individuo ha incontrato il Sé significa che l'Io è allineato con esso. Non andarci incontro significa semplicemente che il percorso non è ancora terminato.
Il Libro rosso è il libro segreto di Jung
Quella che Jung chiamerà più tardi "immaginazione attiva" e che fu ampiamente utilizzata in questo volume, è lo strumento inedito di cui egli si servì, nel corso della sua discesa agli inferi, per suscitare i contenuti archetipici della psiche e oggettivarli attraverso il dialogo interiore, la scrittura, la pittura, la scultura.
La psiche è composta oltre che dalla parte inconscia, individuale e collettiva, anche dalla parte conscia. La dinamica tra la parte conscia e quella inconscia è considerata da Jung come ciò che permette all'individuo di affrontare un lungo percorso per realizzare la propria personalità in un processo che egli denomina "individuazione". In questo percorso l'individuo incontra e si scontra con delle organizzazioni archetipe (inconsce) della propria personalità: solo affrontandole egli potrà dilatare maggiormente la propria coscienza.
Jean-Luc Leguay col nome d’Héraclius
è Maestro d’Arte, Maîtres Enlumineurs