Liberi Muratori
bresciani - S
SABATTI Antonio (o Giuseppe Antonio)
(1767 - 1843)
Fratello originario e Fondatore della Reale Loggia Amalia Augusta (1806).
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 60, 64 e 362).
Venerabile onorario e Rappresentante della Loggia presso il Gr.: Or.: d’Italia.
Fu SØž PØž RØž + (Sovrano Principe Rosa Croce, 18° grado del Rito Scozzese Antico e Accettato.
Nacque l’8 febbraio 1767 a Gardone Valle Trompia (Brescia).
Uomo politico ed economista; fu Presidente della Corte dei Conti del Regno italico, Cavaliere di Gran croce e poi insignito da Napoleone della Croce di ferro e del titolo di Barone (1812).
Fu lontano da Brescia per domicilio o per ufficio.
Cenni necrologici scritti dal Pagani, crf Luzio o.c. p. 348 e Il primo secolo dell’Ateneo [di Brescia] p. 399-401.
Il FØž Antonio Sabatti è stato perito agrimensore, ingegnere civile e idraulico e patriota; allievo di Domenico Coccoli eccelse negli studi di matematica, fisica e geometria; fu precettore del conte FØž Luigi Mazzucchelli (vedi); animatore della rivoluzione giacobine, divenne membro del Governo Provvisorio di Brescia e nominato nel Comitato militare della Repubblica Bresciana (1797); Commissario straordin. di Governo del Dipartimento del Mella (1798); Commissario del potere esecutivo delle Provincia di Brescia (1800); Commissario straordinario a Parma e Governatore di Bologna (1801); membro della «Contabilità nazionale» della Repubblica d’Italia (1802), poi Regio Commissario (1806); cofondatore e Rosa Croce della Loggia Amalia bresciana, della quale è stato rappresentante nel Grande Oriente d’Italia; cavaliere della Corona d’Italia, poi insignito da Napoleone della Croce di ferro e del titolo di Barone (1812).
Abitò a Milano, poi forse a Brescia; fu Socio attivo dell’Ateneo dal 1803, censore nel 1818, vice presidente nel 1821.
Necrologio e/o Commemorazione di G. Saleri (in: «Comm. Ateneo di Brescia» 1843: LXXIII); G. Nicolini (in: «Comm. Ateneo di Brescia» 1844: 100). Note: cfr. Elenco generale dei Soci, in appendice a: G. Fenaroli, Primo secolo dell’Ateneo di Brescia, 1802 – 1902. (Brescia, 1902).
Controllare l’anno di nascita (1757 o 1767?). «Compendio bio-bibliografico dei Soci dell'Accademia del Dipartimento del Mella, poi Ateneo di Brescia, dall’anno di fondazione all’anno bicentenario (1802-2002)».
Ancora vivente intorno al 1831 (secondo il rapporto Torresani edito dal Luzio nell’Arch. stor. lomb.,1917).
Passò all’OrØž Eterno il 3 luglio 1843 all’età di 75 anni.
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SALFI Franco (o Francesco Saverio), sacerdote
(1759 – 1832)
Dignitario onorario della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 52).
Nato a Cosenza il 1° gennaio 1759.
Ex abate [antico titolo riservato ai sacerdoti], politico rivoluzionario, letterato, commediografo.
Ebbe molte relazioni a Brescia dove partecipò al governo Provvisorio del 1797- 98.
«Uno dei più efficaci propagandisti dell’organizzazione Massonica – scrive il Guerrini analizzando l’impegno dei singoli aderenti, dei quali pubblica in appendice un elenco – a Brescia fu il calabrese abate democratico Francesco Salfi, che nel 1797 partecipò in Brescia al Governo Provvisorio, fu censore del Teatro, oratore del Club Cisalpino, grande faccendone di demagogia. Aiutò il Salfi nella propaganda ed ebbe poi la carica di Venerabile, il democratico Giacomo Pederzoli di Gargnano (1752-1820) cognato dell’avv. Savoldi di Lonato: il Pederzoli amava, come il Salfi, il teatro e fu con lui nel Governo Provvisorio, del quale fu eletto presidente il 20 luglio 1797. … Accanto a questi si deve collocare l’avv. Giambattista Pagani (1781-1864) di Lonato, l’amico del Manzoni, “del quale ricorre frequente nel carteggio manzoniano il nome accompagnato da grandi lodi» (Op. cit. P. Guerrini – La Massoneria a Brescia prima del 1821).
Bresciano di adozione, ordinato sacerdote nel 1782, seguace di Antonio Genovesi (filosofo ed economista, già amico del FØž massone Raimondo di Sangro Principe di San Severo), scrisse numerose tragedie e drammi teatrali, guadagnandosi la stima del Filangieri, del Palmieri e di tanti altri.
Nel 1792 prese parte alla “Società patriottica napoletana”, venendo arrestato e perseguitato.
Si rifugiò a Genova, dove rinunciò all’abito talare e dove venne iniziato alla Massoneria, nel 1796.
Con l’arrivo di Napoleone, corse a Milano, dove divenne il principale collaboratore della rivista giacobina “Il Termometro politico” e del “Giornale de’ patrioti di Italia” (1797).
Si occupò di teatro politico e scrisse, tra gli altri, “Il ballo del papa” (il vero titolo è “Il general Colli a Roma”), rappresentato alla Scala il 25 febbraio 1797.
Il Salfi da Milano proteggeva e incoraggiava la nuova Loggia bresciana, nella quale contava molti vecchi amici ed era annoverato tra i Dignitari onorari.
Trasferitosi a Brescia, venne eletto segretario del Comitato di Legislazione, socio del Circolo Costituzionale e della Società di istruzione, ponendosi così al servizio del Governo Provvisorio.
Sempre attivo nel mondo del teatro, curò a Brescia la recita del “Carlo IX” dello Chénier, pubblicò e rappresentò la “Virginia bresciana”, una tragedia dedicata ai cittadini bresciani, molto apprezzata nel circuito teatrale degli altri stati italiani.
Fu oratore del “Club Cisalpino”.
Nel 1799 lo si ritrova a Napoli, al seguito della Repubblica Partenopea, dove combatté contro le truppe del cardinal Ruffo.
Riparò in Francia, dove, dalle pagine di alcune importanti riviste, diffuse la conoscenza della letteratura italiana.
Una volta rientrato in suolo italico, insegnò a Milano logica e metafisica e poi storia e diritto nel ginnasio di Brera.
Il Salfi diede anche alla letteratura Massonica molti contributi del suo ingegno versatile.
Nel 1807 pubblicò, nelle edizioni Bettoni, un volumetto di 85 pagine dall’eloquente titolo “Iramo - poemetto di Francesco Salfi PØž RØž SØž OrØž di Milano 5807”, nel quale espose in tre canti epici il “tipo del magistero simbolico”.
In molti casi, però, le Logge napoleoniche riducevano i loro lavori a tornate sontuose e festaiole, dedite all’adulazione (vedi la Cantata del FØž Vincenzo Monti). In proposito il Salfi scriveva: «Quest’Arte è divenuta da qualche tempo un oggetto di moda: e le mode quanto più rapidamente si adottano, tanto meno possono conoscersi e apprezzarsi, e quel ch’era un momento fa l’idolo di più stolti, ne diventa ben tosto il disprezzo e il giuoco».
Nel 1815 lo si ritrova a fianco e consigliere del F.: Gioachino Murat, con cui prese parte al tentativo insurrezionale.
Riparò definitivamente in Francia, dove lavorò ancora, assieme a Filippo Buonarroti, ad alcune pubblicazioni.
Rimase tuttavia sempre attento agli avvenimenti italiani e da buon FØž massone, nel 1831 stilò come primo firmatario con Filippo Buonarroti il testo del Proclama al popolo italiano dalle Alpi all’Etna, che avrebbe dovuto servire a un movimento insurrezionale repubblicano a cui stavano interessandosi, con l’appoggio del marchese FØž de La Fayette, alcuni fuorusciti italiani, in cui si affermava: «non può esistere libertà senza indipendenza, né indipendenza senza forza, né forza senza unità. Adopriamoci dunque affinché l’Italia sia al più presto indipendente, una e libera... e concludeva ... cadano i tiranni, s’infrangano le corone e sulle ruine loro sorga la repubblica italiana una e indivisibile dalle Alpi al mare» (Fede e libero pensiero in Francesco Saverio Salfi).
Morì povero, non si allontanò mai dall’ideale Massonico e fu sepolto nell’importante cimitero di Père Lachaise di Parigi.
Passò all’Or.: Eterno il 2 settembre 1832 a Passy (Francia) all’età di 73 anni.
SALVI Roberto
(?)
Fratello affiliato alla Loggia Zanardelli n. 715 all’OrØž del mella del GOI.
Secondo quanto riportato dal FØž Silvano Danesi (vedi loggialiberopensiero.wordpress.com, 31 gennaio 2012, Loggia Zanardelli n. 715 all’OrØž del Mella, ad vocem), il FØž Roberto Salvi fu uno dei sette bresciani iniziati dal Gran Maestro Gamberini il 14 marzo 1970 alla loggia romana Propaganda 2 (prima che questa fosse deviata da Licio Gelli e quando era ancora alle dirette dipendenze del Gran Maestro), che fondarono la loggia Zanardelli 715 (con alcuni altri Fratelli massoni bresciani operanti a Verona e con quelli provenienti dalla Loggia bresciana Ettore Busan, i quali per qualche tempo avevano formato un triangolo).
La Loggia Zanardelli n. 715 fu costituita ufficialmente nel 1971 dopo che i sette bresciani, provenienti dalla Loggia Propaganda ebbero ricevuto l’exeat per la loro provincia d’origine il 20 maggio 1970.
I bresciani che arrivarono da Roma erano Edoardo Ziletti, Aldo Sanzogni, Pierluigi Bossoni, G.Luigi Berardi, Antonio Parisi, Domenico Lusetti e Roberto Salvi, che risultano iniziati alla Propaganda Due il 14 marzo 1970 e trasferiti a Brescia il 20 maggio 1970. (Commissione P2 – Allegati alla relazione – Serie II – Documentazione raccolta dalla Commissione – Vol. II – Tomo I).
Ebbero come loro leader il professor Edoardo Ziletti, che ben presto diventerà l’animatore e il Maestro Venerabile della Loggia, che risulta essere attiva ancora nel 1975 e che chiuse poco dopo la morte del professor Ziletti, nella cui casa a Botticino (Brescia) aveva sede il Tempio. La sua demolizione ufficiale è datata 2 dicembre 1977. (Vedi documentazione relativa a Pierluigi Bossoni – Atti commissione P2 – Allegati alla relazione – Serie II – Documenti raccolti dalla Commissione – Vol VI – Tomo XV).
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SALVOTTI Antonio
(1789 - 1866)
Fratello affiliato della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 64).
Nacque a Mori il 10 dicembre 1789, in Trentino, al tempo piccolo borgo del principato vescovile di Trento.
È stato un magistrato e giudice imperiale austriaco, consigliere intimo dell’imperatore d’Austria Francesco II.
Di origine familiare borghese, studiò filosofia e diritto nelle Università di Innsbruck dal 1806, e di Landshut dal 1808, e fu allievo di Friedrich Carl von Savigny, personaggio fondamentale nella sua formazione di giurista.
Nel 1810 si laureò in diritto a Pavia e nel 1813 sostenne l’esame di avvocato, e in quel periodo fu membro della Massoneria nella Milano napoleonica, ( Aldo Alessandro Mola, Storia della Massoneria in Italia dal 1717 al 2018, Giunti/Bompiani, pp. 112-113), mentre a noi risulta dal Guerrini essersi affiliato alla Reale Loggia Amalia Augusta di Brescia.
Tornerà a Trento, ridiventata austriaca nel novembre 1813, per esercitare l’avvocatura.
Divenne giudice e nel 1815 procuratore generale. Tra il 1819 e il 1824 fu giudice istruttore, dapprima come assessore del tribunale d’appello di Venezia nell’ottobre 1819, quindi come consigliere di quello di Milano nell’aprile 1821.
Il FØž Salvotti fu un magistrato tirolese che, negli anni precedenti, fece pratica legale a Milano (allora capitale del Regno Italico), dove si iscrisse alla massoneria per i suoi alti ideali. Seppur giovane, nel corso della sua vita incontrò già innumerevoli cambi di potere: nacque suddito dei principi-vescovi, passò l’infanzia nel trambusto dell’invasione napoleonica, la prima adolescenza sotto la dominazione austriaca, attraversò le incertezze del conflitto franco-asburgico, accorgendosi sedicenne di essere diventato bavarese, entrò nella vita attiva come soggetto del Regno Italico e si ritrovò «in capo a tre o quattro anni “nel grembo dell’Impero”.
Nel 1815 a 26 anni, Antonio fu procuratore generale e, ricevuta la nomina, firmò con convinzione l’obbligo scritto, che era richiesto agli impiegati del nuovo governo, di rompere ogni legame con la massoneria; da allora, dedicò la sua vita a servire l’Impero. La sua figura è di Massone integerrimo [in sonno] e suddito austriaco a cui giurò fedeltà, che diede la sua interpretazione del Risorgimento italiano, che ebbe un rapporto estremamete conflittuale padre-figlio per ideali politiche ed etico-morali, che ebbe un conflitto interiore tra pietà e senso del dovere, che aveva un forte senso della legalità, credeva nel sistema politico di cui l’Austria rappresentava il puntello e la garanzia. Forse fu molto zelante per farsi perdonare d’essere stato massone, ma la sua adesione alla Libera Muratoria è avvenuta quanto questa era guardata con favore dai i regimi assolutistic, molti dei loro coronati vi erano iscritti e come costoro l’aveva abbandonata quando era diventata strumento di ideologie rivoluzionarie (Indro Montanelli, L’Italia giacobina e carbonara - 1789-1831, cap. XXX Quelli dello Spielberg).
Istruì di una serie di processi per alto tradimento contro gli aderenti alla carboneria e i fuoriusciti dal Lombardo-Veneto che avevano preso parte all’insurrezione piemontese del 1821.
Nel suo ruolo di magistrato condusse l’istruttoria di tutti i processi del 1821, compreso il celeberrimo Processo dell’ex FØž di Loggia Piero Maroncelli (vedi) e di Silvio Pellico, a carico dei cospiratori anti-austriaci nel Lombardo-Veneto, territorio soggetto all’epoca alla sovranità dell’Austria assolutista. Tra i condannati vi furono proprio il FØž Piero Maroncelli e Silvio Pellico, che, dapprima condannati alla pena capitale, si videro, per grazia imperiale, commutata la pena in quella del carcere duro, da scontarsi nella fortezza dello Spielberg: Maroncelli per venti anni, Pellico per quindici.
Per questo suo ruolo Salvotti ha lasciato un ricordo che ancora divide gli “storici-giuristi”. Infatti, all’epoca dei processi contro i patrioti italiani, fu considerato nell’ambiente milanese e bresciano nella quale operava da magistrato come un «geniale aguzzino al soldo dell’Austria». Lo storico Luzio, invece, disse agli italiani di «non parlare di Salvotti come di un mostro». Rispetto al ruolo svolto da Salvotti nei processi per alto tradimento ed a una chiave di lettura ‘risorgimentale’, quindi estremamente critica nei suoi confronti, si contrappose infatti presto un’interpretazione di segno opposto, in direzione riabilitante, avanzata per la prima volta proprio dal Luzio (A. S. e i processi del Ventuno, Roma 1901; Il Processo Pellico-Maroncelli secondo gli atti officiali segreti, Milano 1903; Nuovi documenti sul processo Confalonieri, Roma 1908).
Ciò che è certo è che fu sempre un fedele suddito dell’Impero austriaco e non credette mai ad un’Italia indipendente, nemmeno dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Al fine di far riconsiderare i processi da lui gestiti, e disperato dai giudizi negativi espressi nei suoi confronti dai “risorgimentalisti”, cominciò a scrivere le sue Memorie, che però sono rimaste incompiute. Nei decenni successivi alla sua morte, l’operato di Salvotti è stato rivisto e i giudizi espressi nei suoi confronti sono stati piuttosto benigni, soprattutto per quanto riguarda la non conoscenza, da parte di Salvotti, dei trattamenti disumani adottati nelle carceri imperiali.
Nel maggio 1822 fu nominato consigliere dell’Imperial Regio Tribunale e alla fine dei processi, nell’aprile 1824, fu nominato consigliere del senato del Regno lombardo-veneto, poi nel giugno 1846 vicepresidente del tribunale d’appello di Innsbruck e nel 1847 l’imperatore Francesco II lo elevò al rango di consigliere intimo. Nell’aprile 1849 fu creato il Reichsrat (Consiglio dell'Impero) e Salvotti fu scelto dall'imperatore Francesco Giuseppe I come rappresentante dei territori asburgici di nazionalità italiana. Alla fine dello stesso anno tornò a Trento come presidente del nuovo Senato della corte superiore di giustizia.
Ottenne in età matura il titolo di barone di Eichenkraft und Bindeburg (nobiltà pontificia).
Antonio Salvotti, abbiamo visto, fu un “legalitario”: il suo modello era uno stato di diritto fondato su legalità, interesse comune e diritto pubblico. Considerava un punto fermo la “codificazione del diritto penal-processuale”, mentre era contrario alla codificazione del diritto civile.
La sua utopia, dal nostro punto di vista valutato come un ideale illusorio, ma che non vuole essere verità assoluta, fu di credere con troppa convinzione nella fede giuridica di tradizione asburgica e soprattutto nell’Impero d'Austria, nel quale il FØž Salvotti rivedeva quella medesima funzione “unificante” che in passato aveva svolto l’Impero Romano. Non a caso era considerato un “austriacante” dagli italiani, ma in vero non era altro che un cittadino austriaco, perché il territorio di Trento era parte dell’Impero austriaco. Nel suo ruolo di inquisitore, fu un fedele applicatore della massima dura lex, sed lex.
Il figlio fu arrestato per alto tradimento dagli austriaci ed incarcerato per essere un patriota italiano in un territorio, quello trentino, che sarà annesso all’Italia solo molti decenni dopo. Il padre, molto legato all’imperatore, avrebbe ben potuto adoperarsi per farlo liberare, ma ciò era contrario ai suoi principi di legalità e al personale concetto di diritto. Si limitò a garantirgli un trattamento umano, ma parlò di lui come di un “liberale esaltato” (M. C. Tosana, Salvotti, perfido austriacante o solo esecutore di leggi?, «Klein-Europa», 10 aprile 1997), soprattutto quando il figlio Scipione più volte si rifiutò di tornare in famiglia dopo essere tornato in libertà. Solo negli ultimi anni di vita di Antonio Salvotti, Scipione tornerà a Trento.
Passò all’OrØž Eterno a Trento il 17 agosto 1866 all’età di 77 anni.
SANDRI Carlo
(?)
Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ‘21, p. 61).
Nulla sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui, il nome di Carlo Sandri non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.
SANZOGNI Aldo
Fratello affiliato alla Loggia Zanardelli 715 all’OrØž del Mella del G.O.I. (1971).
Secondo quanto riportato dal FØž Silvano Danesi (vedi loggialiberopensiero.wordpress.com, 31 gennaio 2012, Loggia Zanardelli n. 715 all’OrØž del Mella, ad vocem), il FØž Aldo Sanzogni fu uno dei sette bresciani iniziati dal Gran Maestro Gamberini il 14 marzo 1970 alla loggia romana Propaganda 2 (prima che questa fosse deviata da Licio Gelli e quando era ancora alle dirette dipendenze del Gran Maestro), che fondarono la loggia Zanardelli 715 (con alcuni altri Fratelli massoni bresciani operanti a Verona e con quelli provenienti dalla Loggia bresciana Ettore Busan, i quali per qualche tempo avevano formato un triangolo).
La Loggia Zanardelli n. 715 fu costituita ufficialmente nel 1971 dopo che i sette bresciani, provenienti dalla Loggia Propaganda ebbero ricevuto l’exeat per la loro provincia d’origine il 20 maggio 1970.
I bresciani che arrivarono da Roma erano Edoardo Ziletti, Aldo Sanzogni, Pierluigi Bossoni, G.Luigi Berardi, Antonio Parisi, Domenico Lusetti e Roberto Salvi, che risultano iniziati alla Propaganda Due il 14 marzo 1970 e trasferiti a Brescia il 20 maggio 1970. (Commissione P2 – Allegati alla relazione – Serie II – Documentazione raccolta dalla Commissione – Vol. II – Tomo I).
Ebbero come loro leader il professor Edoardo Ziletti, che ben presto diventerà l’animatore e il Maestro Venerabile della Loggia, che risulta essere attiva ancora nel 1975 e che chiuse poco dopo la morte del professor Ziletti, nella cui casa a Botticino aveva sede il Tempio. La sua demolizione ufficiale è datata 2 dicembre 1977. (Vedi documentazione relativa a Pierluigi Bossoni – Atti commissione P2 – Allegati alla relazione – Serie II – Documenti raccolti dalla Commissione – Vol VI – Tomo XV).
SAVOLDI Giovanni
(?)
Fratello Affiliato della Loggia Cola di Rienzo all’OrØž di Brescia (circa 1860).
Fu Maestro Venerabile della Loggia.
Risulta essere stato segretario della Loggia Cola di Rienzo il medico provinciale FØž dott. Tullio Bonizzardi (vedi).
(Antonio Fappani, Enciclopedia Bresciana, voce Massoneria).
Null’altro sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui, il nome di Giovanni Savoldi non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche,
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SCEVOLA Luigi, sacerdote
(1770 -1818 o 1819)
Fratello originario e Fondatore della Reale Loggia Amalia Augusta (1806).
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 61).
Lontano da Brescia per domicilio o per ufficio.
Nacque a Brescia nel 1770.
Sacerdote, drammaturgo, poeta e prosatore.
Il FØž Luigi Scevola compose versi poetici all’Inaugurazione dello Stendardo della LØž del gØž 2 del mØž 8 dell’annoo della VØž LØž 5807, ecco gli utlimi della prosa: «… Gran Loggia Amalia Augusta - Che in tuo seno ora raccogli - D’una pianta si vetusta - I novelli e bei germogli, - Per te Palla omai s’allegra, - Per te Astrea l’onor rintegra. - Chè pacifico e tranquillo - Coi fratelli passa l’ore - Sotto l’ombre del Vessill - Il Bresciano Maratore.»
Amico dell’adolescente F.: Ugo Foscolo, che lo scelse come dedicatario di alcune delle sue prime composizioni poetiche e che Luigi in seguito tentò di imitare.
Fu nelle sue opere seguace dell’Alfieri. Produsse una gran quantità di tragedie di poco conto di schema classico, tra cui notevole seppur effimero successo ebbero Socrate (1804), Annibale in Bitinia (1805), Priamo alla tenda di Achille (1806), Giulietta e Romeo (da cui Felice Romani trarrà il libretto per l’opera lirica omonima di Nicola Vaccaj), Saffo (1814, che si può considerare la sua opera più riuscita), Aristodemo ed Erode, tutte rispettose delle unità aristoteliche. Godette di un buon successo presso i contemporanei, anche se la sua principale preoccupazione nella stesura dei drammi sembra essere stata quella del rispetto delle unità.
Fu ordinato sacerdote ed iniziò nel 1791 la sua esperienza di professore, quale insegnante di «rettorica» nel bresciano collegio Falsina. A Brescia inoltre entrò a far parte sei anni più tardi del locale Comitato di Pubblica Istruzione, istituzione di orientamento democratico. Insegnò quindi letteratura italiana nel Patrio liceo, e sempre a Brescia fu segretario dell’Accademia di scienze ed arti, prima del trasferimento a Bologna, dove divenne vice-bibliotecario del prestigioso ateneo felsineo (1807-1815).
Le sue idee filo-murattiane lo costrinsero a riparare a Milano, dove visse gli ultimi anni di vita, fondando l’Accademia dei Concordi, destinata ad effimera durata.
Passò all’Or. Eterno a Milano nel 1818 o 1819.
SERTÒLI Cesare
(1766 - 1840)
Fratello affiliato della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 62).
Giudice, patriota. Conosciuto per aver scritto “La dichiarazione giustificativa della rigenerazione della Valtellina” per la secessione della valle dai Grigioni svizzeri e l’annessione alla Repubblica Cisalpina.
Lontano da Brescia per domicilio o per ufficio.
Nato a Sondrio il 28 settembre 1766
(http://nonsolobanca.popso.it/ExtraFlex/3dissue-sfogliabili/Editoria/BPS196/files/data/search.xml).
Figlio di Pietro Martire (n. 1731) e di Ippolita Carbonera, sua cugina. Cesare sposò nel 1792 la nobile Carolina Pertusati, di Francesco, già ciambellano dell'imperatore.
Compì i primi studi a Monza e si laureò in diritto all'università di Vienna.
Tornato a Sondrio, fu nominato luogotenente generale del governatore grigione della Valtellina.
Nel 1792 fu inviato a Milano a capo di una delegazione per dirimere le controversie sorte tra la Valle e i Grigioni.
Nel 1797 fu presidente della Società patriottica di Sondrio, la quale auspicava l'unione alla Repubblica Cisalpina, e molto fece per raggiungere tale scopo. Subito dopo il 19 giugno di quello stesso anno, come promemoria per i deputati valtellinesi, pubblicò un importante opuscolo intitolato “La dichiarazione giustificativa della rigenerazione della Valtellina”, significativo del punto di vista più laico e liberale nelle vicende della secessione del 1797. Nessuno in realtà in Valtellina aveva seriamente pensato a un distacco dai Grigioni fino al 1796.
Il FØž Cesare Sertoli è stato Primo Presidente del Tribunale di Sondrio (già presidente del Collegio della Corte Elettorale del dipartimento dell’Adda). Luogotenente civile e penale del Governo della Valtellina dal 1789 al 1791. Deputato al Congresso di Lione, in qualità di giudice in varie corti di giustizia. Primo Presidente della Corte di Giustizia a Trento.
Nel 1806 fu nominato cavaliere della corona ferrea.
Si ritirò poi a Sondrio a vita privata.
Passò all'Or. eterno a Milano 1'8 settembre 1833 o intorno al 1840. (Pof. Antonio Zieer, I Franchi Muratori del Trentino - I Massoni del Trentino, 1981).
Null’altro sappiamo di questo Fr. mancando notizie certe su di lui e il nome di Cesare Sertoli non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.
SIMON Luigi Maria
(?)
Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 61).
Lontano da Brescia per domicilio o per ufficio.
Null’altro sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui, il nome di Luigi Maria Simon non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.
SMANCINI Antonio
(1766 – 1831)
Dignitario onorario della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 52).
Nacque il 6 dicembre 1766 a Gera di Pizzighettone (Cremona).
Barone dell’impero e Prefetto di Milano nel 1805, poi di Verona nel 1809.
Amico del Monti e del Foscolo (FFØž nella stessa Loggia Reale Amalia Augusta).
Compiuti studi giuridici, esercitò l’avvocatura a Cremona, entrando poi nella magistratura come luogotenente della pretura di Pizzighettone. Schierato fin dall’arrivo dei francesi per i nuovi ideali rivoluzionari, nell’agosto del 1797, nell’ambito della Repubblica Cisalpina, gli fu affidata la carica di commissario del potere esecutivo per il dipartimento dell’Alto Po, che mantenne sino al 1° ottobre di quell’anno.
Passò quindi a membro dell’amministrazione centrale, struttura esecutiva collegiale elettiva. Da questa carica fu destituito dall’ambasciatore del Direttorio parigino Claude-Joseph Trouvé, nel settembre del 1798, nel quadro di un drastico ridimensionamento della presenza democratica nel governo cisalpino voluto da Parigi. Il successivo 19 ottobre il generale in capo Guillaume-Marie-Anne Brune, democratico-radicale, procedette a una sorta di contro colpo di Stato, con eliminazione sistematica dalle cariche dei soggetti voluti da Trouvé. Smancini, che Brune aveva personalmente conosciuto quando era commissario del potere esecutivo a Cremona, e che si diceva avere «poussé plus que bien d’autres le général dans cette circonstance» (Parigi, Archives Nationales, AF III, b. 71, Rivaud al Direttorio francese, 23 frimale a. VII; 13 dicembre 1798), fu posto nella carica più elevata, come membro del Direttorio cisalpino.
La reazione di Parigi non tardò. Fu inviato a Milano François Rivaud quale nuovo ambasciatore e allo stesso tempo commissario del governo col compito di rendere nulle le nomine di Brune. L’8 dicembre Smancini fu così sollevato dall’incarico.
Emigrò in Francia nel 1799 e vi propugnò l’idea italiana unitaria.
Fu membro della Consulta e Ministro di Polizia e Giustizia nella 2 Í£ Cisalpina, deputato al corpo legislativo della repubblica italiana e membro del Collegio dei Dotti di Bologna nel 1802; fu consigliere di stato nel 1807, prefetto del Dipartimento dell’Adige nel 1809, organizzatore del Trentino nel 1810 (vedi T. Casini, La prima sessione del Collegio elettorale dei dotti a Bologna nel 1802, in L’Archiginnasio 1914, p. 374).
Passò all’OrØž Eterno nel 1831.
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SOLERA Giuseppe
(1754 - ?)
Fratello affiliato della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 62).
Nato nel 1754 a Campagnano. Milanese (?).
Magistrato che appoggiò il dominio napoleonico e che nel 1802 prese parte alla Consulta di Lione.
Padre di Antonio e di Rinaldo (vedi).
Il figlio Antonio Solera (1786-1848) è stato un patriota, magistrato e avvocato italiano, carbonaro, condannato a morte nel 1820 e recluso nella fortezza dello Spielberg .
Il FØž Giuseppe è stato giudice del Tribunale Criminale di Bergamo e poi della Corte di Giustizia di Brescia durante il Regno italico (1807-1814). Membro del Collegio elettorale dei Dotti nel 1802 (cfr. T. Casini o.c. p.43).
Giuseppe Solera fu «membro del collegio elettorale dei dotti, e consigliere giubilato», orgogliosamente ricorda il nipote Temistocle (figlio di Antonio) nelle sue Lettere giocose (Solera [1838, 39])
SOLERA Rinaldo
(?)
Fratello della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 64).
Capitano di cavalleria.
Nulla sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui, il nome di Rinaldo Solera non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche, se non per un’unica annotazione, che riportiamo collegata alla biografia del fratello Antonio.
Il fratello di Rinaldo, Antonio, è stato un patriota, magistrato e avvocato italiano, carbonaro, condannato a morte nel 1820 e recluso nella fortezza dello Spielberg; apparteneva alla struttura superiore della Carboneria (gli adepti erano divisi in vari gradi: i membri dei gradi superiori aderivano a un programma radicale giacobino, quelli dei gradi inferiori a un programma costituzionale liberale), detta Guelfia, con compiti di direzione teorica, mentre la carboneria vera e propria possedeva un ruolo puramente esecutivo; in base alla testimonianza del FØž Piero Maroncelli (vedi), nelle «Addizioni alle Mie Prigioni» del Pellico, durante gli interrogatori Antonio Solera mostrò grande coraggio e abilità nel difendere sé ei suoi compagni dalle accuse degli inquirenti; condannato a morte nel marzo 1821, l’11 dicembre 1821 ebbe commutata la pena alla reclusione di vent’anni di carcere duro; fu detenuto nella fortezza dello Spielberg e fu liberato infine nel maggio 1828, dopo otto anni di reclusione per grazia concessa per le continue istanze, presso la corte di Vienna, del fratello Rinaldo e del vescovo di Brescia.
Ancora vivente intorno al 1831 (secondo il rapporto Torresani edito dal Luzio nell’Arch. stor. lomb.,1917).
SOMMENZARI ( o SOMENZARI) Francesco
(? - 1810)
Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 61).
Int. Decur. della Loggia nel 1809.
Mantovano. Ingegnere capo del dipartimento del Mella, morì nel 1810.
Era fratello del famoso Barone Teodoro Somenzari (1771-1859) che accolse fin dalla giovinezza le nuove idee democratiche, fu uno dei deportati di Dalmazia nel 1799, indi primo prefetto del Dipartimento del Reno a Bologna nel Regno Italico; ottenne il titolo di Barone e dal 1806 al 1812 fu Prefetto a Udine e quindi a Brescia (1812-1814); dopo la caduta di Napoleone il barone Teodoro si ritirò a Goito, a vita provata e morì nella sua tenuta del Parco poco dopo Solferino (18 settembre 1859 a 88 anni).
Intorno ai due Somenzari come Massoni cfr. Luzio o.c. p. 350.
Passò all’OrØž Eteno nel 1810.
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SONCINI GIOVANNI BATTISTA
(1788 - 1868)
Fratello della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 64 e 362).
Matematico.
Nobile di Brescia. Figlio di Antonio. Fondò e accolse nella sua casa l’Accademia dei Pantomofreni e fu socio dell’Ateneo di Brescia.
Sposò il 18 agosto 1813 Lucia Ugoni, bellissima sorella di Camillo e Filippo.
Diede pochi ma buoni saggi della sua cultura letteraria, ampi contributi alla matematica, nel 1848 affrontò la duplicazione del cubo e ricerche nel campo dell'algebra di carattere “tartagliano” (Antonio Fappani, Enciclopedia bresciana, voce Matematica e matematici).
Il FØž Giovanni Battista è stato anche musicista e appassionato raccoglitore di manoscritti, partiti musicali e curiosità musicali; la sua biblioteca venne donata nel 1901 dal nipote Giuseppe all’Istituto Musicale “A. Venturi”, l’attuale Conservatorio “Luca Marenzio”( Claudio Toscani, Atti della giornata di studi ‘Pietro Gnocchi e la musica a Brescia nel Settecento (20 ottobre 2007, Milano, 2009 p. 144).
Ancora vivente intorno al 1831 (secondo il rapporto Torresani edito dal Luzio nell’Arch. stor. lomb.,1917).
Passò all’OrØž Eterno in Brescia il 10 gennaio 1868 all’età di 80 anni.
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SORETTI Angelo
(?)
Affiliato alla Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 64).
Giudice. Consigliere del Tribunale di Brescia.
«Non godeva nome di giudice incorruttibile, ma nulla v’è da osservare sul suo attuale contegno» (Archivio Storico Lombardo giornale della Società Storica Lombarda, 1917, pag. 350).
Ancora vivente intorno al 1831 (secondo il rapporto Torresani edito dal Luzio nell’Arch. stor. lomb.,1917).
SORETTI Tommaso
(?)
Fratello della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 64).
Cancelliere di Tribunale a Brescia.
«Soretti Tommaso, cancelliere alla giudicatura politica di Brescia: esatte indàgini comprovano che egli appartenne a quella Loggia; sulla sua moralità si hanno pessime informazioni, che lo dipingono dissoluto a segno da essersi rovinate la salute (Archivio Storico Lombardo giornale della Società Storica Lombarda», 1917, pag. 350).
Ancora vivente intorno al 1831 (secondo il rapporto Torresani edito dal Luzio nell’Arch. stor. lomb.,1917).
SPERONI Giuseppe, sacerdote
(?)
Fratello della Reale Loggia Amalia Augusta.
(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 64).
Di Lodi. Consigliere d’Appello a Brescia.
«Speroni don Giuseppe, Presidente del Tribunale di Lodi, e sotto il cessato governo consigliere d’appello a Brescia, (membro di quella Loggia. Un’onorata persona, che pure v’apparteneva, assicura d’aver visto più volte lo Speroni frequentarne le sedute. Magistrato insigne per capacità, rettitudine, stimatissimo. In politica non fu mai un esaltate neanche sotto i francesi: anzi sempre moderato e prudente a giudicare dal suo linguaggio, pare devoto al governo austriaco, mantenendosi estraneo agli affari politici» (Archivio Storico Lombardo giornale della Società Storica Lombarda», 1917, ad vocem).
Ancora vivente intorno al 1831 (secondo il rapporto Torresani edito dal Luzio nell’Arch. stor. lomb.,1917).
STOLPER (Ed)Edward Eugene
(1913- 2003)
Loggia Leonessa Arnaldo n. 951 Or. Brescia.
Gran Maestro Onorario del Grande Oriente d’Italia
Ingegnere meccanico.
«L’indole della Massoneria – diceva Ed Stolper – è il collante del Massone per quel cemento dell’iniziazione che lega tutti i Massoni del mondo e che è responsabile della straordinaria sopravvivenza dell’Ordine, attraverso secoli di persecuzioni e grossolane deviazioni, senza mai cambiare una virgola dei suoi principi fondamentali, i quali oggi sono moderni come sempre e che si dimostrano popolari anche e soprattutto con i giovani», il FØž Ed, cinquant’anni di vita Massonica, rivela con queste poche parole, espresse tanti anni fa, uno spirito contemporaneo, senza tempo, sempre vivace e attento ai cambiamenti.
Rivela anche un grande amore per la Massoneria e i suoi principi che ha sempre seguito, anche in memoria di suo padre ucciso in un campo di concentramento nazista perché massone.
Nacque il 13 luglio 1913 a a Nieuwe Pekela in Groninga (Olanda).
Ingegnere meccanico.
Ha operato nella Marina Reale olandese nella seonda guerra mondiale.
Ha viaggiato quasi tutta la sua vita, ha vissuto in Olanda, Sud Africa, Germania, Inghilterra, Indonesia ed Italia e parlava correttamente cinque lingue.
Fu iniziato alla Libera Muratoria a quarant’anni, nel 1953, nella Loggia “Gordon” di Johannesburg (Sud Africa) e numerose altre Logge in elenco in seguito e membro effettivo ed ex Venerabile della prestigiosa Loggia di Ricerca “Quatuor Coronati” di Londra, per affiliarsi poi alla Loggia “Leonessa Arnaldo” n. 951 all’OrØž di Brescia e all’OrdØž del G.O.I.
Ha pubblicato regolarmente articoli e saggi sulla Massoneria in olandese, inglese e italiano. Nel 1979 è stato insignito del “Norman B. Spencer Award” per il miglior contributo di un membro del Corrispondence Circle alle attività della Loggia Quatuor Coronati di Londra.
Stolper ci ha lasciato a quasi novant’anni e con tantissime vicende da far ricordare, tramandando a chi lo ha conosciuto il senso di responsabilità e di rispetto verso uomini e cose che ogni persona di buona volontà deve avere. Senza etichette e per questo era stimato da tutti.
L’occasione di parlare di lui, dentro e fuori l’Istituzione Massonica, è stata data da un convegno pubblico organizzato il 26 novembre 2016 dalla Loggia del Grande Oriente d’Italia “Fraglia Ed Stolper” n. 1285 all’OrØž di Brescia che porta appunto il suo nome e celebrò quell’anno dieci anni dalla fondazione: “L’Uomo, l’Esoterismo, la Spiritualità: l’esempio di Edward Stolper un bresciano particolare” è stato il titolo scelyo dell’incontro che tenne a Brescia il 26 novembre (ore 16,30) nel Salone delle Rose dell’Hotel Vittoria e che ha visto la partecipazione del Gran Maestro Stefano Bisi. Tanti gli argomenti affrontati che fecero luce sull’uomo ma anche sulla Massoneria in Italia e all’estero in mezzo secolo. Ed Stolper, uomo avventuroso e colto, lasciata la nativa Olanda, proiettò metà dell’esistenza in giro per il mondo e mise a servizio della Massoneria la sua conoscenza di culture diverse per favorire la fratellanza tra gli uomini (www.grandeoriente.it/luomo-lesoterismo-la-spiritualita-a-brescia-il-ricordo-di-ed-stolper/).
A Brescia trascorse gli ultimi anni della sua vita lasciando un ricordo indelebile.
Insieme al Gran Maestro, portarono contributi al convegno la storica Emanuela Locci e il Grande Oratore Claudio Bonvecchio. In apertura ci sono stati i saluti del maestro venerabile della Loggia Fraglia Ed Stolper, Matteo Apostoli, e del neo eletto presidente circoscrizionale della Lombardia, Antonino Salsone. Moderatrice fu la giornalista Paola Zanoni.
Ricordiamo con una breve biografia il FØž Ed Stolper, Gran Maestro onorario cittadino del mondo.
Edward Eugene Stolper, dopo gli studi universitari, lavorò come ingegnere meccanico alla Siemens di Berlino fino a quando le pressanti attenzioni della “Polizei” tedesca lo indussero a tornare nel suo paese. Fu il periodo che precedette il secondo conflitto mondiale. Si trasferì nell’azienda paterna e poi, con il richiamo alle armi nella Marina olandese, fu su un incrociatore nell’Atlantico e nell’Oceano Indiano e successivamente su un sommergibile in Indonesia. Costretto a sfuggire ai giapponesi, nel 1942 arrivò in Sud Africa e qui diventò Ufficiale della Marina inglese.
Alla fine della guerra, Stolper scoprì che il padre, prigioniero in un campo di concentramento nazista, era stato fucilato nel 1944 perché massone.
Decise di rimanere nel Sud Africa anglofono. Dopo un breve ritorno in Olanda, dal 1963 si stabilì in Italia per lavorare come rappresentante di industrie olandesi, prima a Milano e poi a Roma, collocandosi a riposo nel 1971 nelle colline cosentine e poi a Brescia.
Nella sua vita lunga e movimentata, il FØž Ed Stolper ha fatto della Massoneria la ragione di vita mettendo a servizio dell’Istituzione la sua conoscenza di culture e lingue diverse. Iniziato a Johannesburg il 21 aprile 1953 nella “Gordon Lodge” n. 804 della Gran Loggia di Scozia, si trasferì quattro anni dopo nella “Claremont Lodge” n. 931 di Città del Capo della stessa giurisdizione e poi nella Loggia “De Troffel” n. 137 di Hengelo in Olanda, appartenente al Grande Oriente dei Paesi Bassi. Giunto in Italia, Stolper diventò membro della “Giosuè Carducci” n. 10 di Milano e, nel periodo calabrese, delle logge cosentine “Bernardino Telesio” n. 951) e “Berescith” n. 1018, di quest’ultima fu maestro venerabile.
Trasferitosi a Brescia, entrò a far parte della Loggia “Leonessa Arnaldo” n. 951, che lo ebbe in piedilista sino alla sua scomparsa terrena.
Nel Grande Oriente d’Italia Ed Stolper ha ricoperto cariche importanti. È stato Garante d’Amicizia, Gran Maestro Onorario (riconoscimento avuto sotto la gran maestranza di Armando Corona) e Gran Maestro Aggiunto (cooptato dal gran Maestro Virgilio Gaito), continuando ad avere contatti ad alto livello con le Massonerie estere: significativa la sua cooptazione nel 1988fra i 24 membri che compongono la prestigiosa loggia di studio e ricerca “Quatuor Coronati” n. 2076 di Londra e la sua designazione alla carica di Maestro Venerabile e corrispondente per l’Italia: alla cerimonia di insediamento, alla Freemasons’ Hall della Gran Loggia Unita d’Inghilterra, partecipò il Gran Maestro Corona, insieme ai vertici locali e a ben settanta esponenti del Grande Oriente d’Italia. Stolper è stato anche membro onorario della “St. Clair Lodge” n. 362 di Glasgow e della “Hiram Abif” n.68 dell’Aja; in Italia figura nell’Albo d’Oro della Loggia “Cosmos” n. 282 di Palermo. Come Gran Maestro Aggiunto nella Giunta del Grande Oriente d’Italia guidata dal Gran Maestro Virgilio Gaito, fu basilare il suo impegno internazionale per ricucire le relazioni Massoniche estere compromesse dall’affaire Di Bernardo.
Intensa anche la sua attività di studio e ricerca sulla Libera Muratoria. Per i suoi contributi Stolper fu insignito delle onorificenze dell’Ordine di Giordano Bruno, del Grande Oriente, e del “Norman B. Spencer Award” inglese, quest’ultimo per il miglior contributo di un membro della Corrispondence Circle alle attività di ricerca della Loggia Quatuor Coronati di Londra. Fondamentale per generazioni di aspiranti liberi muratori, ma anche per studiosi e semplici curiosi, rimane il suo libro “Argomento Massoneria”, edito nel 1984 da Brenner, senza dimenticare la sua collaborazione alla nascita della Biblioteca del Grande Oriente d’Italia al Vascello, voluta dal Gran Maestro Corona, che oggi, dopo anni e grazie all’attività del Servizio Biblioteca, è punto di ritrovo per ricercatori di tutto il mondo.
Passò all’OrØž Eterno il 16 giugno 2003 all’età di quasi 90 anni, dopo una lunga malattia; le sue ceneri dimorano al Verano, nel Pantheon dei Gran Maestri e dei Grandi Dignitari del Grande Oriente d’Italia.
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SVANINI Domenico
(1779 - ?)
Nacque il 4 marzo 1779 a Ospedaletto in provincia di Brescia.
Colonello del battaglione santarosiano degli studenti Veliti o "della Minerva”, ex Maggiore napoleonico.
Nel Liber Baptizatorum ab anno 1754 usque 1790 dell’Archivio Parrocchiale di Ospitaletto esiste il suo atto di battesimo. Nel 1809 lo Svanini risulta ufficiale di carriera al servizio del napoleonico Regno d’Italia.
Dicono gli atti giudiziari austriaci a suo riguardo che era massone e carbonaro; che si recò appositamente in Piemonte a prestare l’opera sua e che perciò il Santarosa gli diede il comando del Battaglione della Minerva. Morì combattendo in Spagna per la causa costituzionale (Renato Soriga, Un goliardo bresciano del 1821 Giambattista Cavallini, in I Cospiratori Bresciani del ’21 nel prmo centenario dei loro processi, Miscellanea di studi a cura dell’Ateneo di Brescia M. CM.XXIV, p. 574).
Una sua biografia del FØž Svanin la troviamo in Abeni Enzo, Domenico Svanini. Un avventuroso patriota ospitalettese ingiustamente trascurato, ecc. «Comm. Ateneo di Brescia» per l’anno 1980 (1981).
Nel 1815 risulta che fu congedato dall’esercito austriaco, al cui servizio, forse d’ufficio, era passato in seguito all’arrivo in Brescia degli Austriaci. Ricordiamo che gli austriaci entrarono a Brescia nell’aprile del 1814, e che i reparti dell’esercito italico, che dipendevano dagli sconfitti francesi, furono concentrati dai vincitori a Milano e quindi in parte furono sciolti e in parte furono annessi all’esercito austriaco; molti ufficiali italiani al momento accettarono il cambiamento, quindi o continuarono il servizio sotto l’Austria, previo giuramento di fedeltà, o si congedarono.
Lo Svanini si congedò, nel ‘15. È possibile che in un primo momento si fosse lasciato allettare dall’idea di continuare la sua carriera nell’esercito del regno Lombardo Veneto, illudendosi che esco mantenesse una certa autonomia dall’Austria, ma che presto si fosse dovuto ricredere e chiese nel 1818 la restituzione di tutte le carte che lo riguardavano; allora aveva quasi sicuramente già contatti con cospiratori di Brescia; può darsi che egli avesse già in mente di allontanarsi dal regno Lombardo-Veneto per darsi alla clandestinità, e abbia perciò cercato (sia pur ingenuamente) di lasciare meno tracce possibili di sè.
Risulta comunque che egli vivesse a Ospitaletto da privato cittadino e senza un’attività propria dalla data del congedo (1815) fino all’agosto del 1819: precisamente fino al giorno 5: il Commissario Distrettuale di Ospitaletto Boldrini il giorno 7 invia una «riservatissima» al Delegato Provinciale, con la quale gli comunica che da due giorni l’ex maggiore Svanini ha abbandonato la Comune di Ospitaletto prendendo la strada per Bergamo, e si ritiene “diretto immediatamente all’estero”. Così incomincia l’avventura clandestina di questo non più giovane ma irrequieto ospitalettese, che non rivedrà più, se non per una rapida e misteriosa parentesi, la sua terra, e quindi tornerà graziato in età avanzata, ma molto probabilmente non vide la patria liberata dal dominio austriaco.
Secondo l’informazione citata, dovrebbe essersi procurato un passaporto svizzero «per mezzo di un confidente»; doveva avere delle «corrispondenze segrete» con complici di Brescia: la sua «emigrazione» deve essere stata preparata, non improvvisata, e mira certo a «qualche concertato appuntamento», tanto più che le sue finanze sono «limitatissime», al punto che egli non potrebbe «sostenere la ben che tenue spesa», e che soprattutto nel mese di luglio aveva fatto frequenti viaggi a Brescia.
Risulta che aveva in corso una corrispondenza con l'ex vice prefetto di Chiari Primo Olivari e con Luigi Mojoli, commissario aggiunto di Ospitaletto, e aveva incontri «con questi due soggetti fuori della Comune (così era frequentemente chiamato il comune, e «comunisti» erano detti gli abitanti) in luoghi appartati per non essere osservati».
Il commissario si premura anche di raccomandare al suo superiore discrezione sulle sue informazioni, perché teme la vendetta di chi possa avere relazioni con lo Svanini, cioè “carbonari e federati” di Brescia e conclude comunque la sua «riservatissima» dicendo che non poteva certo passare sotto silenzio il fatto: «avrei creduto di tradire il nostro sovrano», precisa.
Vediamo quindi che il FØž aveva relazioni segrete con l’ex vice prefetto di Chiari e addirittura col commissario aggiunto del suo paese: in effetti si tratta di italiani sudditi austriaci al servizio dello stato, ma non sempre refrattari a idee e iniziative personali di carattere cospiratorio resistenziale. I casi in proposito non si contano e l’Austria lo sa, ma evidentemente sembra costretta a far buon viso a cattiva sorte, nonostante il giuramento di fedeltà a cui i suoi servitori sono obbligati. Comunque agisce contro di loro solo quando i fatti sono incontestabilmente provati con «prove legali».
D'altra parte vi sono casi di fedeltà alla giustizia ed al giuramento fatto di magistrati che hanno condotto una vita onesta, integerrima quali sudditi austriaci, come il FØž Salvotti (vedi).
A questo punto risultano evidenti per noi due dati di fatto che ci aiutano a ricostruire la figura di questo interessante personaggio che (non si dimentichi) a questa data ha già superato i quarant’anni, e quindi non è più un giovane che si lasci facilmente infiammare da ideali aleatori o da avventuristiche ambizioni di eroismo: è un uomo maturo, che ha una lunga e dura esperienza, e ha delle idee [valori illuminati ed ispirati dalla sua appartenenza alla Libera Muratoria].
Da notare che anche in documenti successivi, sempre di parte austriaca, i due motivi sono ribaditi quasi sempre in relazione l’uno all’altro: lo Svanini è economicamente sbandato e esprime idee contrarie al sistema; anche se, come è comprensibile, si evidenzia di più il primo motivo. Altro dato di fatto: che lo Svanini fosse personaggio potenzialmente pericoloso per il regime, e comunque sospetto, è confermato dalla circostanza che a Ospitaletto era sotto sorveglianza: la sua partenza clandestina infatti viene tempestivamente segnalata da chi di dovere, mentre anche le sue mosse precedenti risultano sotto stretto controllo.
Dopo i moti piemontesi, anche a Venezia si svolge un processo contro i carbonari. Il presidente della Commissione Speciale, Consigliere Gardani, chiede informazioni alla Direzione Generale della Polizia lombarda circa i rapporti intercorsi tra due imputati del processo, i fratelli Rezia di Bellagio e i patrioti bresciani. Il Consigliere Aulico De Goehausen risponde (14 maggio) di possedere informazione «confidenziale» che l'ex colonnello Silvio Moretti si fosse rifugiato in casa dei fratelli Rezia, con l’intenzione di indurli «a prender parte alle cose del Piemonte». E risulta che in casa di questi due fratelli soggiornò «ben anche nello scorso autunno certo ex Maggiore Svanini già al servizio italiano nativo di Brescia», e che questi «era munito di passaporto rilasciatogli in Svizzera per Genova, e pareva fosse intenzionato di recarsi a Napoli». Ma quest’ultima informazione era certo deviante, perché egli passò in Piemonte e «alle ultime vicende di quel paese esso vi prese una parte assai attiva e principalmente nel dirigere il corpo dei giovani studenti che sotto la denominazione dei federati eransi raccolti in Alessandria e dappoi a Torino». Per un paio d’anni non abbiamo più notizie.
Il 9 novembre 1821 perviene un decreto di arresto dalla Commissione Speciale di Prima Istanza in Milano per delitto di alto tradimento e nell’elenco è nominato anche Domenico Svanini.
In un editto del 1823 si dichiara ufficialmente che lo Svanini è un ribelle dell'Austriaca Monarchia e uccel di bosco, che emigrò senza avere ottenuti i passaporti. Si è allontanato dallo stato austriaco del Lombardo-Veneto senza regolare permesso, perciò è incorso nel delitto di alto tradimento come tanti altri bresciani e lombardi, sudditi dell’Austria.
Dove si trova e perché ha lasciato il suo paese? La giustizia austriaca va coi piedi di piombo; soprattutto per i fuorusciti non ha fretta, anzi, non ha interesse, in linea di massima, che ritornino; tuttavia, essendo fuorilegge, si devono “decretare d’arresto”, sempreché ritornino in patria, e processare, seguendo scrupolosamente l’iter legale. In realtà non tutti i fuorusciti venivano processati; il processo contumaciale aveva luogo se il gesto aveva suscitato “gran rumore” e se si temeva che la persona continuasse all’estero la sua attività sovversiva.
Quindi fin dall’inizio sembra che il nostro fosse un personaggio pericoloso, deciso, convinto e legato ad altri pericolosi congiurati, carbonari e federati.
Non era un eroe, era un militare di carriera (ma le rivoluzioni vengono quasi sempre da militari e da studenti); non era nemmeno una persona integra. Era stato un ufficiale dell’esercito napoleonico: perciò aveva iniziato per tempo (non sappiamo però quando) la sua carriera militare, in un periodo in cui molti italiani credevano nell'italianità del loro servizio a Napoleone.
Agli inizi di febbraio del 1808 era stata formata una divisione italiana comandata dal generale FØž Giuseppe Lechi, che aveva il compito di fare da avanguardia nelle operazioni napoleoniche riguardanti l'invasione della Spagna. In seguito giunse in Spagna una seconda divisione, in cui c'erano gli ufficiali bresciani FØž Luigi Mazzucchelli e Paolo Olini di Quinzano: probabilmente lo Svanini fece parte di questa divisione. Napoleone, che assunse direttamente il comando delle operazioni solo nell'autunno, elogio poi il valore delle truppe italiane in un celebre ordine del giorno: “Le milizie del Regno d’Italia si sono coperte di gloria, la loro eccellente condotta ha sensibilmente commosso il mio cuore. Esse sono per la maggior parte composte di corpi da me formati durante la campagna dell'anno V”.
Cito questo ordine del giorno non per sottolineare l’eroismo dei nostri soldati in quella campagna, che spero non interessi più a nessuno, ma perché risulta appunto che la maggior parte di questi soldati erano già da tempo al servizio di Napoleone. Che poi le nostre truppe andassero all’assalto al grido di “Viva l’talia!”, questo sta a dimostrare che tra loro c’era entusiasmo patriottico, nonostante il fatto che quello che stavano facendo in Spagna non era, obiettivamente, molto patriottico; tanto è vero che la guerra si trasformò presto in guerriglia (e i partigiani e i patrioti, spagnoli, erano dall’altra parte), che durò alcuni anni, che furono penosi per le truppe napoleoniche, alle prese con questo “cancre éspagnol”.
Dopo la caduta di Napoleone e qualche mese di esperienza nell’esercito austriaco, lo Svanini si era congedato dal servizio ed era tornato a casa sua, al suo paese. Aveva circa 36 anni, età non certo di sogni e di illusioni, ma di scelte concrete e consapevoli, (cfr. Storia di Brescia citata, IV, p. 90. 211 Domenico Svanini). Lo Svanini sarebbe potuto restare al servizio, come ufficiale, nell'esercito austriaco, se fosse stato una persona a cui interessasse soprattutto la vita e la carriera militare (comoda, dignitosa, magari brillante), al di fuori e al di sopra della politica e delle idee. Non lo fece, mentre altri lo fecero, come per esempio il generale Luigi Mazzucchelli. In alternativa a questa comoda scelta, lo attendeva una vita di pericoli e di stenti.
Quando nel marzo del 1821 in Piemonte si accesero speranze per la liberazione del Lombardo Veneto dal dominio austriaco, numerosi patrioti della Lombardia varcarono il Ticino: molti erano studenti dell’università di Pavia, e tra questi non pochi i bresciani: abbiamo visto, accomunati nel bando del novembre del ‘24 e nel precedente del novembre del ‘21, assieme al non più giovane Svanini, diciottenni e ventenni come Pietro Viganò, studente di legge (figura interessante di patriota-contestatore, figlio del commissario distrettuale di Chiari), Silvestro Cherubini di Gussago e Gian Battisti Cavallini di Iseo, studenti di filosofia.
Costoro, insieme a molti altri, come per esempio Domenico Zani di Brescia, pure studente, Lorenzo Morosi di Brescia, orefice, fecero parte delle truppe rivoluzionarie che combatterono a Novara l’8 aprile 1821 e furono sconfitte dagli eserciti piemontese e austriaco. In particolare gli studenti provenienti da Pavia entrarono a far parte del battaglione detto dei ”Veliti italiani” o dei “Federati”, che si era formato ad Alessandria (o a Voghera) agli ordini del nostro Svanini, diventato colonnello. «Decine di studenti lasciarono i libri ... e senza passaporto, senza un soldo, varcarono il Ticino ... e accorsero a Voghera ad arruolarsi nel battaglione degli studenti, detto dei Veliti o della Minerva, comandato da un bresciano che non aveva atteso l'ultima ora: l'ex maggiore del regno italico Domenico Svanini di Ospedaletto [bresciano]».
Infine in un elenco della polizia «di individui compromessi, graziati, dimessi per difetto di prove e semplicemente sospetti in linea politica» del 1839, nella categoria dei «compromessi troviamo il nome di Svanini Dornenico ex Maggiore di Ospitaletto, con a fianco la laconica nota: «dicesi morto in Spagna» (A.S.M. - Atti del Tribunale Criminale, b. 70, pezzo 3734. 24 A.S.B. - A. P. anno 1839, b. 4197, f. 2.); ma una altrettanto laconica osservazione, aggiunta con data 1841, dice: «In B. vive e fu graziato». Nel 1841 aveva 62 anni. Anche lui aveva chiesto la grazia. Così termina, in base ai documenti da me [Enzo Abeni] finora reperiti, l’interessante romanzo di questo ospitalettese che, se ebbe una vita non facile né felice, l'ebbe soprattutto perché non volle deliberatamente tradire quelle idee di resistenza alla dominazione straniera, diffuse tra molti patrioti bresciani, e di rifiuto di una vita di passività e di viltà, per una scelta coscientemente fatta. (Enzo Abeni, Domenico Svanini un avventuroso patriota ospitalettese ingiustamente trascurato ecc., in Comm. Brescia, a.a. CLXXIX (1980), pp. 122-160.)