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Liberi Muratori

bresciani - P - Q

PADOVANI Agostino

(?)

Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta.

Ebbe incarico nella Loggia di “Sacrificatore” nel 1809.

(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 59, 63 e 360).

Di Quinzano d’Oglio.

Conte. Consigliere del Tribunale di Brescia, di ottima fama.

“Ancora vivente a riposo intorno al 1831. Padovani Agostino, sotto il governo veneto, portava il titolo di conte. Sotto i francesi fu consigliere di tribunale a Brescia, ora è a riposo. Ottima fama. Fu della Loggia di Brescia, come risulta da un elenco scritto e da altre informazioni assunte (secondo il rapporto Torresani edito dal Luzio nell’Arch. stor. lomb.,1917).

Nember Giuseppe di Quinzano scriveva nel 1799: «il Nobile Signor Conte Agostino Padovani, [eletto Giudice di Pace di Quinzano] che è maggior d’ogni elogio.»

Null’altro sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui. Il nome del FrØž Orizio Giambattista non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.

 

 

PAGANI Giambattista (Giovan Battista)

(1784 – 1864)

Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta.

Segretario della Loggia nel 1809. Cavaliere Eletto dei IX del R.S.A.A.

(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 59, 63 e 360).

Nacque a Verona il 27 agosto 1784.

Avvocato di Lonato e Regio Ispettore delle Ipoteche di Brescia.

La famiglia è originaria di Lonato del Garda. (La sua biografia in Sara Parini, Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, Volume 80, 2014, ad vocem).

Laureato in utroque iure a Pavia, il padre esercitò come notaio a Venezia e Verona; alla caduta dell’invisa Repubblica Veneta, resse le sorti di Lonato, divenendo membro di spicco dell’alta burocrazia del Regno d’Italia: segretario generale del Direttorio, poi giudice di revisione e d’appello, presidente del tribunale criminale e commissario di governo per i tribunali del Mella fu, infine, procuratore generale per la Corte di giustizia.

Giovan Battista trascorse la fanciullezza a Lonato e nel 1798, le entrature professionali paterne gli consentirono di andare «in educazione a Milano» (Lonato, Arch. parrocchiale di S. Giovanni Battista, Liber Animarum Lonati, 1800, n. 71, c. 57r), presso il convitto Longone, normalmente destinato ai rampolli delle più nobili famiglie. Qui condivise per un triennio il soggiorno scolastico con un timido e introverso Alessandro Manzoni, con il quale allacciò un intenso ma burrascoso rapporto umano. A colmare i vuoti affettivi di «Sandrino» intervenne «Gianni, il veneto» (Lonato del Garda, Biblioteca G. Papa, ms. anonimo, cc. 1-29, in Pionna, 2011, pp. 155-159), in grado di influenzare con il proprio carattere volitivo, imbevuto di una sconfinata ammirazione per «il generalino corso» il più schivo amico.

Nell’estate del 1801 Pagani partì alla volta di Pavia per intraprendere gli studi universitari, dopo un breve soggiorno a casa in cui portò con sé alcuni lavori di Manzoni, con ogni probabilità il sonetto Autoritratto, l’ode Qual su le Cinzie cime e il poemetto Il trionfo della libertà, che avrebbe conservato sino alla morte insieme al sermone a lui stesso dedicato (A Giovan Battista Pagani), composto nel 1803.

Furono anni formativi, nei quali ebbe modo di distinguersi e di fare proficue conoscenze. Presidente dell’Accademia scientifico letteraria ticinese, associazione studentesca dagli ampi orizzonti culturali, si appassionò inoltre a tematiche metagiuridiche che ne influenzarono la successiva produzione. Contemporaneamente rafforzò l’amicizia con il FØž Vincenzo Monti, già professore di eloquenza presso l’Ateneo pavese, sotto le cui ali la «vera perla del diritto» (Brescia, Biblioteca Queriniana, Autografi, cart. 7: 6 novembre 1804) ottenne, nel 1804, la licenza dottorale con lode.

Terminata nel 1805 la pratica legale presso il rinomato studio di Andrea Squadrelli, si trasferì da Milano a Brescia.

Fidando nei meriti acquisiti con la pubblicazione, curata insieme con l’avvocato Giammaria Febrari, del commento allo Spirito del Codice Napoleone di Jean-Guillaume Locrè (I-IV, Brescia 1806-11), chiese e ottenne da Manzoni e da Ferdinando Marescalchi una raccomandazione presso il gran giudice FØž Giuseppe Luosi.

L’iniziativa editoriale, caldeggiata anche dal FØž Monti, non gli valse tuttavia l’agognato incarico di sostituto del regio procuratore presso la corte di prima istanza di Brescia, e anche l’amicizia con Manzoni, caduta nella rete di un eccessivo turbinio di omaggi e ringraziamenti per le raccomandazioni ricevute, finì temporaneamente per incrinarsi.

Nel 1806 inoltre Pagani suscitò il risentimento di Manzoni, premettendo di sua iniziativa una lettera dedicatoria al Monti alla stampa milanese del carme In morte di Carlo Imbonati, già uscito in Francia. L’ira manzoniana, grazie all’aiuto dei compagni di gioventù, successivamente si placò, consentendo all’amicizia di ritrovare, seppur per breve tempo, serenità.

Nel carteggio manzoniano il nome del Pagani ricorre accompagnato da grandi lodi. “Pagani è una perla” scriveva il F ØžMonti al Manzoni, e questo si rivolgeva frequentemente all’amico bresciano per consiglio, e gli mandava i suoi versi e ne chiedeva un giudizio (Carteggio di Alessandro Manzoni a cura di G. Sforza e G. Gallavesi vol. I pag. 12 e altre).

Pagani lavorò indefessamente nel campo letterario e giuridico: fu uno dei primi e più attivi soci dell’Ateneo, dove tenne la carica di Vicepresidente nel difficile biennio 1846-57 e lesse molte sue dissertazioni di economia, di politica, di agricoltura, dimostrando un ingegno versatile e colto, se non profondo e brillante (Ampia la bibliografia compilata dallo stesso Pagani; altri suoi lavori sono indicati nell’Indice dei Commentari dell’Ateneo pp. 132-134; intorno alla biografia del Pagani cfr. G. Gallia G.B. Pagani in Commentari Ateneo 1875 pp. 89 e 203).

Il 4 marzo 1807 Pagani si unì in matrimonio con Marianna Gerardi, appartenente a una delle famiglie filofrancesi più influenti di Lonato, e il 10 ottobre dello stesso anno trovò definitiva collocazione professionale quale conservatore dell’Ufficio delle ipoteche in Brescia, incarico che tenne fino al 1831, quando andò in pensione, formalmente per motivi di salute, ma molto probabilmente perché invischiato in affari politici.

Gli uffici pubblici non gli impedirono di svolgere un’intensa attività: esponente del patriottismo romantico, nel 1807 entrò nella Loggia massonica Amalia Augusta fondata dall’editore e tipografo FØž Nicolò Bettoni, divenendo l’anello di congiunzione della colonia bresciana con le altre del Lombardo-Veneto. In quest’ambito seppe coniugare il fine scientifico e letterario con quello sociale, perseguendo ideali progressisti unitari.

Non era un rivoluzionario: un po’ scettico e nebuloso, amante delle gravi pose letterarie e della verbosità magniloquente, esercitò nella Loggia “Amalia Augusta” l’ufficio delicato di Segretario, e vi tenne parecchi discorsi o tavole. Nel 1808, firma con l’Oratore Aggiunto Capponi, e auspice il venerabile Ostoja, un nuovo ordinamento locale contenuto in un rarissimo opuscolo stampato alla macchia in Brescia col seguente titolo: Discipline della RØž LØž Amalia Augusta all’OrØž di Brescia in appendice agli Statuti generali della FØž MassØž in Italia – pp. 24 in 8 s.i.t.  (Brescia, tip. Bettoni 1808). L’esemplare queriniano 5° K. VII. 16, proviene dalla biblioteca del Pagani, legata alla Queriniana.

Fra questi libri del Pagani dovevano certamente trovarsi molte altre pubblicazioni massoniche di quel periodo, o in opuscoli o in fogli volanti, ma non se ne trovano che due o tre, rilegate in miscellanee con altri opuscoli; altre furono distrutte. Una pubblicazione raccoglie l’eco dei componimenti letterari recitati all’agape fraterna del giorno 8 febbraio 1809, Giuseppe Napoleone in Madrid, Agape del GØž 8 del MØž 12 – AnØž dØž vØž LØž 5808 – Brescia, pp. 43 in 16 s.i.t. Il piccolo opuscolo, del quale è una copia nella miscellanea queriniana 5° K. IX. 15 proveniente dalla biblioteca Giambattista Pagani, contiene un elogio di Giuseppe Napoleone re della Spagna e delle Indie dello stesso Pagani, Segretario della Loggia, che esalta la filantropia Massonica, la libertà democratica e difende la Massoneria indicandola come la salvezza degli istituti politici.

Compose un Salmo ebraico per il funerale del FØž GGaetano Giulj letto all’Agape di S. Giovanni d’Inverno del 5807 nell’opuscolo in miscellanea “Inaugurazione dello stendardo della L. del g. 2. del m. 8. dell’anno 5807” e definito dal Guerrini “noioso”.  Nello stesso opuscolo troviamo uno Slancio Fantastico diretto al VenØž Pederzoli letta all’Agape del S. Giovanni d’Estate del 5808.

Per la sua cronaca letteraria leggiamo (Atti del Convegno di Studi, Brescia, marzo 1990, Giuseppe Nicolini nel bicentenario della nascita 1789-1989, richiami a Pagani nelle p. 39, 40, 41, 42, 52, 70 n., 239, 248 n., 255, 260, 273,).

Il quinquennio letterario tra il 1816 ed il 1821 fu vivacizzato dal clamore di risposte e opposizioni che vennero polarizzandosi tra il mascherato riformismo della Biblioteca Italiana e l’avventura nazionalpatriottica del «Conciliatore». Definitivamente assente dalla scena italiana il Foscolo, che con gli ambienti bresciani aveva intessuto un dialogo abituale e sicuramente influente nella stessa scelta tragica delle sue opere, l’interesse bresciano si rivolse, con gli interventi dei FFØž Camillo Ugoni e Giovan Battista Pagani, verso il Manzoni tragediografo, che nel 1816 dava inizio alla composizione del Carmagnola.

Nel 1820, quando sulle pagine della “Biblioteca Italiana” comparve un giudizio non troppo lusinghiero sul Carmagnola, nel sodalizio letterario dell’Ateneo bresciano il Pagani scendeva in lizza a difesa del Manzoni, lesse all'Ateneo un "Discorso critico sulla tragedia Il Carmagnola", mettendone in rilievo la bontà dei caratteri, i fatti, la condotta, l'elocuzione, il costume, additando nelle «drammatiche novità» della tragedia un avvento culturale che «fosse per segnare epoca» (dai Commentari dell’Ateneo). Il FØž Antonio Bianchi, allora Segretario della fondazione e valente traduttore dei classici, reagì replicando al FØž Pagani di aver scambiato, con eccessivo ardore di parte, degli squilibri compositivi, effettivamente esistenti nel Carmagnola, per delle «drammatiche novità» e contestò al Manzoni la scelta del personaggio contadino e traditore. L’ombra del FØž Alfieri e la sua concezione di un teatro «disinventato», spogliato da «incidenti episodici» e da intrusioni romanzesche, agivano da contrappunto all’intelligenza del Carmagnola, dissolvendo, con l’accusa d’incoerenza drammatica espressa nella censura del Bianchi, le effettive «novità» del testo elogiate dal Pagani.

Il contrasto insorto tra i due intellettuali e FFØž bresciani, sull’approvazione o il rifiuto delle scelte drammatiche del Manzoni, si era riacceso nel 1823,allorché il Pagani all'Ateneo tenne una prolusione sull"'Adelchi" presentandola come una tragedia di gusto e di metodo italiano e veniva replicando la questione con una nuova e più articolata apologia dell’opera, sommamente lodevole, a suo giudizio, per la costruzione dei caratteri, e superiore per maturità stilistica ed elevatezza tragica allo stesso teatro ultramontano dello Shakespeare e dello Schiller.

Ciò suscitò nuovamente la reazione del FØž abate Bianchi, che anche in quella tornata sostenne che l’Italia doveva imitare il teatro tedesco o inglese, lodando il FØž Alfieri, il quale seppe ottenere la perfezione greca nel genere tragico; mentre il Manzoni, con una infinità di accessori, sempre secondo il parere dell’abate, faceva perdere il filo del discorso. Il Bianchi contrappose all’Adelchi il «Germanico» del Gambara, perchè condotto con molta maestria, grazie alle belle situazioni che tengono viva ed animata l’azione ed il verso nobile e sostenuto.

Nelle intenzioni il Bianchi difendeva «la greca perfezione», rinnovata dalla tragedia alfieriana, di fronte agli attacchi di un risorgente romanzesco da dramma borghese, del quale si sarebbe fatto latore il Manzoni. «E quando parlo d’Alfieri - oppugna il Bianchi - non intendo già che i tragici italiani abbiano a seguirlo nella scelta degli argomenti, poiché non voglionsi questi confondere col modo, come pare che abbia voluto far credere il Pagani». E, per queste ragioni, obiettava con ironia il Bianchi al Pagani di aver scambiato ingenuamente la varietà del repertorio tragediabile, attuata dal Manzoni in rapporto allo schema alfieriano, con lo sviluppo drammatico dell’opera, antitetico, nell’Adelchi, a quella «rapidità d’azione» realizzata dall’astigiano e necessaria al sublime tragico. La polemica tra i due FFØž agiterà per un bel po’ dalle parti dell’Ateneo bresciano. Il Pagani fu corrispondente e amico un po’ di tutti i nostri bresciani di quella generazione, oltre che con l’onnipresente FØž Monti ed altri intellettuali e eruditi.

All’Accademia il FØž Giovan Battista, fu uno dei più operosi; non soltanto per i suoi studi, ma anche per la sollecitudine da lui mostrata per l'incremento dell’Istituto. Fece per ben otto volte (quante nessun altro degli altri soci) parte della censura a partire dal 7 gennaio 1816, e dell’amministrazione contribuendo a tenere in vita l’Accademia insidiata dall'Austria specie negli anni che intercorsero dal marzo 1855 all’agosto 1859; e già prima dal 1846 al 1848 era stato assunto alla vice-presidenza.

Il ritorno degli austriaci ne raffreddò tuttavia gli entusiasmi.

Esaurita la vivacità intellettuale giovanile, si avviò verso la maturità in un clima di più cauta opposizione allo straniero. Per non compromettersi pubblicò, da quel «covo di cospiratori» (Arch. di Stato di Milano, Presidenza di Governo, Brebbia-Strassoldo, 1823) che pure era l’Accademia di scienze, lettere, agricoltura ed arti del Dipartimento del Mella (poi denominata Ateneo di Brescia), una serie di saggi avulsi da ogni polemica col regime, dalla letteratura alla filosofia, dalle scienze al diritto e all’economia. Per la sua Istruzione agraria ai possidenti della Provincia bresciana nell’anno 1820 ricevette un consistente riconoscimento da parte dell’Ateneo.

Il 28 agosto 1823 il suo nome era di nuovo nei rapporti della polizia austriaca nei quali si affermava come le sue opinioni politiche «sono certamente poco favorevoli all’attuale governo tenendo egli a sostenere le massime così dette liberali; prudente però nei suoi discorsi, specialmente in pubblico, non ha richiamato censura. Le sue relazioni non sono troppo estese; diverse però si riferiscono a persone di pregiudicata politica opinione». In questo stesso rapporto si rilevava che il Pagani era procuratore dell’ex colonnello FØž Moretti, detenuto nelle carceri austriache e che morirà prigioniero nello Spielberg. .

Dopo il pensionamento, pregressi debiti fiscali e il divieto di riprendere l’attività legale lo costrinsero, prossimo alla povertà, a richiedere, senza successo, un modesto sussidio all’Istituto lombardo, di cui frattanto Manzoni era divenuto presidente.

Nel 1848, il governo provvisorio bresciano lo nominò membro del Comitato di giustizia, ma il ripristino dell’ordine costituito ne aggravò la già incerta posizione, facendolo bersaglio di costanti investigazioni segrete. I suoi sentimenti erano chiari, come attesta la collaborazione tra il 1850 e il 1851 al giornale antiaustriaco Il Cenomano.

Solo nel 1859, cessata la pressione asburgica, ormai vedovo e con la sola consolazione dell’ultimogenita Silvia Marianna, ottenne la croce dei Ss. Maurizio e Lazzaro, onore di cui pochi bresciani furono insigniti. Tuttavia l’età ormai avanzata e le precarie condizioni di salute ne avevano infiacchito irrimediabilmente corpo e spirito.

Passò all’Or Eterno a Brescia il 19 febbraio 1864 all’età di 79 anni.

 

 

PALOTTI Andrea

(?)

Fratello della Reale Loggia Amalia Augusta.

(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 63).

Avvocato ed ex Commissario di Polizia (dopo il 1805).

Palotti Andrea, della Loggia di Brescia: perduto nel 1814 il suo posto di commissario di polizia criminale, si dedicò all’avvocatura. Brutta fama” (da Alessandro Luzio, in Archivio storico lombardo, La Massoneria sotto il regno italioc ecc.).

Ancora vivente intorno al 1831 (secondo il rapporto Torresani edito dal Luzio nell’Arch. stor. lomb.,1917).

Null’altro sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui. Il nome del FrØž Palotti Andrea non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.

 

 

PARATICO DE’ LANTIERI Carlo

(?)

Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta.

Revisiore aggiunto della Loggia nel 1809.

(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 59).

Di Capriolo.

Architetto.

I Lantieri ( o Lanteri) sono antichi nobili rurali che avrebbero avuto origine da un Lantiero di Paratico.

Null’altro sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui. Il nome del FrØž Paratico de’ Lantieri Carlo non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.

 

 

PARISI Antonio (o Antonino o Nino)

(1915 - 1990)

Fratello affiliato alla Loggia Zanardelli n. 715 all’OrØž del Mella del G.O.I. (1971).

Nacque a Palermo il 20 marzo 1915.

Patriota, partigiano.

Bersagliere, dopo l’8 settembre del ‘43, entrò nelle fila dell’antifascismo, in Valcamonica, con il nome di “Nino”, presso la 1° Divisione G. Verginella.

Comandò nel 1944 la 54° Brigata Garibaldi, una delle formazioni partigiana garibaldine del bresciano molto attiva nel 1944, di cui organizzò tutte le azioni militari, scontrandosi non poche volte con le Fiamme Verdi. Fu una formazione “di montagna”, con una forza di 121 partigiani, 74 patrioti e circa 1000 (?)”, la zona operativa è stata la “Valsaviore con distaccamenti in Pisogne, Marone, Zone, Iseo.” e invece la zona operativa nel periodo insurrezionale fu “Riva orientale lago Iso: Pisogne, Marone, Zone, Iseo, Provaglio, Rodengo Saiano”.

Dopo la guerra continuò come referente per il PCI della Valcamonica.

Massone fin dal dopoguerra, rimase affiliato alla loggia Massonica bresciana “Zanardelli” 715.

Secondo quanto riportato dal FØž Silvano Danesi (vedi loggialiberopensiero.wordpress.com, 31 gennaio 2012, Loggia Zanardelli n. 715 all’OrØž del Mella, ad vocem), il FØž Parisi Antonio (o Antonino o Nino) fu uno dei sette bresciani iniziati dal Gran Maestro Gamberini il 14 marzo 1970 alla loggia romana Propaganda 2 (prima che questa fosse deviata da Licio Gelli e quando era ancora alle dirette dipendenze del Gran Maestro), che fondarono la loggia Zanardelli 715 (con alcuni altri Fratelli massoni bresciani operanti a Verona e con quelli provenienti dalla Loggia bresciana Ettore Busan, i quali per qualche tempo avevano formato un triangolo).

La Loggia Zanardelli n. 715 fu costituita ufficialmente nel 1971 dopo che i sette bresciani, provenienti dalla Loggia Propaganda ebbero ricevuto l’exeat per la loro provincia d’origine il 20 maggio 1970.

I bresciani che arrivarono da Roma erano Edoardo Ziletti, Aldo Sanzogni, Pierluigi Bossoni, G.Luigi Berardi, Antonio Parisi, Domenico Lusetti e Roberto Salvi, che risultano iniziati alla Propaganda Due il 14 marzo 1970 e trasferiti a Brescia il 20 maggio 1970.  (Commissione P2 – Allegati alla relazione – Serie II – Documentazione raccolta dalla Commissione – Vol. II – Tomo I). 

Ebbero come loro leader il professor Edoardo Ziletti, che ben presto diventerà l’animatore e il Maestro Venerabile della Loggia, che risulta essere attiva ancora nel 1975 e che chiuse poco dopo la morte del professor Ziletti, nella cui casa a Botticino aveva sede il Tempio. La sua demolizione ufficiale è datata 2 dicembre 1977. (Vedi documentazione relativa a Pierluigi Bossoni – Atti commissione P2 – Allegati alla relazione – Serie II – Documenti raccolti dalla Commissione, Vol VI, Tomo XV).

Passò all’OrØž Eterno a Edolo (Brescia) il 22 marzo 1990 all’età di 75 anni.

 

 

PASINETTI Antonio

(1770 - 1851)

Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta.

(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 59 e 361).

Nacque il 18 luglio 1770 a Paitone (Brescia).

Fu Pretore a Gardone (1801) poi a Vestone, indi Giudice di pace a Bovegno (1804-1818).

Bibliografo e letterato, dantista, dimorò a Brescia.

Socio sfortunato del FØž editore Bettoni nella famosa tipografia (Cfr, un cenno biograficod i lui, scritto da G. Gallia nei Comm. Ateneo 1852 pp. 333-336). Studiò Lettere e Filosofia presso il Convento di San Domenico i Brescia; frequentò la Biblioteca Queriniana e collaborò con l’abate Zola al recupero delle opere librarie già conservate nelle biblioteche dei conventi soppressi (1797); fu pretore di Gardone in Valle Trompia (1801) e giudice di pace a Bovegno (1804); socio del tipografo Nicolò Bettoni (1818) nella cui stamperia pubblica alcuni suoi saggi.

Socio attivo dall’11 dicembre 1801, poi onorario dal 1838. - Necrologio e/o Commemorazione di G. Gallia (in: «Comm. Ateneo di Brescia» 1852-57: 333 e «Compendio bio-bibliografico dei Soci dell'Accademia del Dipartimento del Mella, poi Ateneo di Brescia, dall’anno di fondazione all’anno bicentenario 1802 - 2002», ad vocem).

Passò all’Or Eterno il 22 marzo 1851 all’età di 80 anni.

 

 

PATTONI Maurizio

(?)

Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta.

(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 63).

Facente funzioni di Segretario della Loggia nel 1809, prima della nomina del Giambattista Pagani. Assistente all’Archivio. Attuario del Tribunale Provinciale di Brescia, sospeso nel 1829 e traslocato a Cremona (Luzio, 344).

“Pattoni Maurizio, attuario al tribunale provinciale di Brescia: fu di quella Loggia. Capace e attivo impiegato fu sospeso nel febbraio 1829 per un’accusa di favoreggiamento d’inqusito, ma se l'è poi cavata con un semplice trasloco a Cremona” (Archivio storico lombaro, ad vocem, Luzio :344).

Ancora vivente intorno al 1831 (secondo il rapporto Torresani edito dal Luzio nell’Arch. stor. lomb.,1917).

Null’altro sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui. Il nome del FrØž Maurizio Pattoni non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.

 

 

PEDERZANI Giuseppe

(1749-1837)

Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta.

Maetro delle Cerimonie della Loggia nel 1809.

(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 60).

Di Gargnano.

Magistrato, amico di Giacomo Pederzoli.

Fu Giudice politico presso il Tribunale di Brescia.

Null’altro sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui. Il nome del FrØž Giuseppe Pederzani non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.

 

 

PEDERZOLI Giacomo (o Iacopo)

(1752 – 1820)

Fratello originario e Fondatore della Reale Loggia Amalia Augusta (1806).

Ebbe carica di Maestro Venerabile.

(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 59).

Nacque a Gargnano nel 1752.

Cavaliere di Gran Croce.

Era figlio dell’avv. G. B. Pederzoli, Vicario Pretorio della Repubblica Veneta a Verona, dove Iacopo fu avviato agli studi.

A 13 anni era già iscritto all’Università di Padova, ma poi seguì il padre a Udine e non prese la laurea in legge.

Viaggiatore appassionato, amò il teatro e le lettere, tradusse commedie francesi, e a Gargnano edificò in casa sua un teatro popolare, applicandone gli utili ai poveri e alla fabbrica della nuova chiesa parrocchiale.

Cognato dell’avv. Savoldi di Lonato, il Fr.: Iacopo Pederzoli fu con il Salfi, con cui condivideva l’amore per il teatro, nel Governo Provvisorio, del quale fu eletto Presidente il 20 luglio 1797.

Abbandonò il governo per dissapori insorti con alcuni colleghi più scalmanati che lo accusarono di essere amico di Venezia e si ritirò a Gargnano. Nel maggio 1799 si salvò dalla reazione degli Austro-Russi di Souwaroff emigrando in Francia. Equanime, calmo, fu richiamato da Napoleone dopo Marengo ad alti uffici pubblici: fu ai comizi di Lione, iscritto al Collegio dei Dotti e al Corpo Legislativo, poi candidato al lucroso posto di Senatore e nel 1808 nominato Consigliere del Dipartimento del Mella; rinunciò a questo ufficio nel 1809 e si ritirò a Gargnano, occupandosi sempre di teatro popolare, per il quale scrisse e tradusse alcuni drammi.

Nel 1814, al ritorno d’Astrèa, fece atto di omaggio al nuovo Governo austriaco e morì improvvisamente a Gargnano il 7 settembre 1820, ivi onorato da una iscrizione latina di Morcelli (pubblicata, con altre epigrafi morcelliane inedite, da G. Labus in Giornale Arcadico tomo VIII. Pag. 232). Fu onorato di elogio funebre in chiesa dal’amico D. Francesco Pederzani

Presentò Piero Maroncelli, l’amico diletto di Silvio Pellico, al tipografo Massone Nicolò Bettoni (Vedi A. Luzio Il processo Pellico – Maroncelli secondo gli atti ufficiali segreti, Milano, Cogliati, 1903).

Il conte e colonello Francesco Gambara, cisalpino convertito e massone, fu suo amico oltre che biografo, Notizie intorno a Giacomo Pederzoli di Gargnano, Brescia, Valotti 1821, da Francesco Duodo di Padova, I. R. Intendente di Finanza in Brescia, compagno di giovinezza e amico intimo del Pederzoli.

Nell’opuscolo Giuseppe Napoleone in Madrid, Agape del GØž 8 del MØž 12 – AnØž dØž vØž LØž 5808 – Brescia, pp. 43 in 16 s.i.t., una copia è nella miscellanea queriniana 5° K. IX. 15 proveniente dalla biblioteca Giambattista Pagani (vedi), c’è un sonetto di Iacopo Pederzoli intitolato La caduta della così detta santa Inquisizione.

Pasò all’Or Eterno il 7 settembre 1820 all’età di 68 anni.

 

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PEDINI Mario

(1918 – 2003)

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Nasce a Montichiari (Brescia) il 27 dicembre 1918. 

Frequenta le scuole elementari a Montichiari, il liceo classico nella vicina Castiglione delle Stiviere e l'università a Pavia con laurea in Storia e Filosofia nel 1943 e poi in Giurisprudenza, divenendo al contempo insegnante e preside della scuola media,  procuratore legale.

Nel dopoguerra si avvicina alla Democrazia Cristiana divenendo a Brescia segretario organizzativo e provinciale. Deputato democristiano dal 1953 al 1968, ha ricoperto vari incarichi di governo: sottosegretario alla Ricerca scientifica e agli Affari esteri, Ministro per i beni culturali e ambientali nei Governi Moro IV e Andreotti IIIMinistro della pubblica istruzione nel Governo Andreotti IV.

Laureato in Storia e Filosofia e in Giurisprudenza, suonava il pianoforte.

Ha mostrato una particolare attenzione al mondo giovanile, e a lui si deve la "Legge Pedini" sul volontariato del 1966, che consentiva ai giovani di poter scegliere tra il servizio militare e servizio civile nei Paesi in via di sviluppo.

Nel giugno del 1969, sottosegretario egli Esteri, condusse la delicata trattativa che portò alla liberazione in Nigeria di 14 tecnici italiani dell'ENI fatti prigionieri in seguito all'Eccidio di Biafra da parte di un commando biafrano.

Il 30 maggio 1975, in qualità di ministro senza portafoglio del IV Governo Moro con delega per il coordinamento delle iniziative per la ricerca scientifica e tecnologica, appone la propria firma alla Convenzione istitutiva di una Agenzia spaziale europea. La Repubblica Italiana si impegna così a partecipare al progetto dell’ESA.

È stato membro del Parlamento europeo dal 1979 al 1984 e in quella sede si è occupato in modo particolare delle politiche di cooperazione allo sviluppo realizzate dalla CEE, sottolineando l'importanza della cooperazione culturale e dell'avvicinamento "spirituale" tra popoli del Nord e del Sud del mondo.

Nell'ottobre del 1983 è tra i fondatori dell’Ong bresciana Scaip operante in Africa e America Latina.

Monteclarense di origine, è sempre stato strettamente legato alla sua terra di origine, senza però rinunciare a orizzonti più ampi, sia europei che mondiali.

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Presidente della commissione per l'edizione nazionale delle opere del Fratello massone Cesare Abba (https://www.collegio-brixia.com/massoni-italiani).

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Uscito definitivamente dalla politica attiva nel 1984, continuò ad essere impegnato nel campo della cultura, docente incaricato di economia delle comunità europee all’università di Parma, con una intensa attività giornalistica, collaborando a quotidiani, riviste specializzate e pubblicistica, con la redazione di libri a carattere politico, economico e memorialistico, nonché nel campo dell’economia e del lavoro per l’assistenza e la promozione di imprese italiane in Africa ed America Latina, avvalendosi dei molteplici rapporti amichevoli che aveva positivamente costruito e conservato  negli anni.
L’amore per la musica, ed in particolare per il pianoforte, fu una costante di tutta la  vita. Rimase sempre profondamente legato alla sua terra d'origine ed in particolare al suo paese per il quale profuse grande impegno nel promuoverne lo sviluppo. A lui va ascritto, tra l'altro, il merito di aver avviato il "Centro Fiera del Garda" a Montichiari.  

 

Nell’elenco della Loggia Propaganda 2 del GØž OØž IØž. (Brescia tessera n. 570).

L’elenco dei soggetti appartenenti alla P2 fu reso pubblico dalla presidenza del Consiglio dei ministri il 21 maggio 1981.

Per il parlamentare bresciano l’appartenenza alla P2 non è comprovata da documentazione sufficiente: gli elenchi e le matrici delle ricevute di pagamento delle quote per gli anni 1977 e 1978 per 200 mila lire (Commissione parlamentare P2, Allegati alla relazione, Serie II, Documentazione raccolta dalla commissione, Vol. I Tomo III) è stato possibile compilarli evidentemente anche senza il consenso di Mario Pedini.

Non è possibile sottacere comunque, in questo elenco dei Massoni bresciani ancorché incompleto, i Fratelli, o presunti tali, che sono stati coinvolti nel fenomeno piduista. Sulla base della documentazione acquisita agli atti della Commissione parlamentare sulla vicenda della Loggia P2 di Licio Gelli, all’Obbedienza del Grande Oriente d’Italia, si può ragionevolmente affermare che la Massoneria bresciana non sia stata interessata al fenomeno se non in forma assolutamente poco rilevante.

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In ogni caso, se è pur vero che Mario Pedini era nell'elenco della P2, è altrettanto vero che la sua persona è uscita prima e dopo tangentopoli sana e senza macchia, come vi era entrata trent' anni prima.

 

Passato all’ OrØž Eterno a Roma l’8 luglio 2003 all'età di 84 anni.

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PEDRIONI Domenico

(1759 - 1837)

Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta.

Spedaliere aggiunto della Loggia nel 1809.

(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 60 e 361).

Chirurgo dell’Ospedale e professore di Chirurgia.

Nacque l’8 ottobre 1759 a S. Gervasio (Brescia), abitò a Brescia fu docente di Anatomia, di Istituzioni Chirurgiche e di Clinica presso le Scuole Medicochirurgiche (o Scuola Superiore) in S. Domenico in Brescia (1849-50), in relazione alla chiusura della Facoltà di Medicina dell’Università di Pavia.

Pedrioni Domenico. Nel paese di s. Gervasio al sud della città venne alla luce li 8 ottobre 1759, e mori in Brescia nel luglio 1837. Fece i suoi primi studi a Verola e compì fra noi filosofia alla scuola dell’abate G. B. Marini, nome chiaro e onorato abbastanza. Iniziatosi poscia nella anatomia e chirurgia sotto al prof. Castellani fino all' anno 1780, portossi a Padova a sentire Caldani, Bonioli e Sografi, e da quella università venne in appresso con laurea licenziato in chirurgia. In Brescia ritornando fu fatto assistente nell'ospedale al suo maestro, e dopo un novennio nominato a suo collega, occupando altro dipartimento qual primario; posto che occupò per quasi mezzo secolo, disimpegnando anche per diversi anni la direzione del pio luogo con quelle doti che tanto lo distinsero. Nell’agosto 1799 organizzato il patrio municipio, successa che fu la rivoluzione e la sottrazione al veneto giogo, il Pedrioni fu uno dei membri che lo composero, ed ebbe dalla patria riconoscente, onorifici attestati a compenso de' prestati servigi. Nell’anno 1800 riaperto il nostro ginnasio e liceo dipartimentale fu eletto precettore di istituzioni ed operazioni chirurgiche, ed in queste ebbe a segnalarsi, dimostrandosi in sommo e felice operatore. Eretta nel 1802 una medica delegazione sanitaria provinciale in custodia della pubblica igiene, è stato del numero de' scelti al triumvirato che l’amministrarono. Socio attivo e censore dell’Ateneo, anzi il Nestore dei fondatori del medesimo fu sempre dei più zelanti, anche grave d’anni e di cure, a promuovere il suo incremento. Fece pur parte d’altra bresciana società, avente per iscopo santissimo di tutelare la sventura [la Libera Muratoria]; il nostro encomiato ebbe la mansione di “elemosiniere”; qual prova più grande e più solenne di questa a caratterizzare il suo bell' animo?” (Antonio Schivardi, Biografia dei medici illustri bresciani, 1839, p. 207).

Socio attivo dall’istituzione dell’Accademia (1801), (Pierfranco Blesio, «Compendio bio-bibliografico dei Soci dell'Accademia del Dipartimento del Mella, poi Ateneo di Brescia, dall’anno di fondazione all’anno bicentenario (1802 - 2002)», ad vocem)

Null’altro sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui. Il nome del FrØž Domenico Pedrioni non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.

Passò all’Or Eterno a Brescia nel luglio 1837 all’età di 78 anni.

 

 

PERSIANI Pietro

(1774 - 1818)

Fratello affiliato della Reale Loggia Amalia Augusta.

Censore della Loggia nel 1809.

(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ‘21).

Lontano da Brescia per domicilio o per ufficio.

Notabile di Bologna (Enrico Oliari, La RL Amalia Augusta di Brescia - Uomini illustri per una “rivoluzione massonica”, Hiram, 3/2019, p.30).

Cavaliere della Corona di ferro (in Collezione dei monumenti sepolcrali del cimitero [certosa] di Bologna). «Altri massoni bolognesi appartennero a Logge di altre città e fra questi… Pietro Persiani alla Loggia “Amalia Augusta” all’Oriente di Brescia» (Sergio Sarri, Carlo Manelli, Eugenio Bonvicini, La massoneria a Bologna dal XVIII al XX secolo, Youcanprint, 2014, p.52).

Passò all’OrØž Eterno il 12 agosto 1818 all’età di 44 anni.

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PESCATORI Erminio

(1836 - 1905)

Fratello Fondatore della Regia Loggia Arnaldo da Brescia all’OrØž di Brescia (1863).

Sovrano Principe Rosa-Croce (18° del R.S.A.A.). Fondò numerose Logge.

(Silvano Danesi, o.c. Liberi Muratori in Lombardia, ecc, Edimai, 1995, p. 119 - 121).

Nacque a Parma il 24 giugno 1836.

Politico, patriota repubblicano mazziniano, garibaldino, combattè a Mentana nel 1867, giornalista, capo comico teatrale e tra i fondatori del Fascio Operaio (che diverrà sezione emiliana della Prima Internazionale).

Fu nell’ottobre del 1863 tra i fondatori della Loggia della quale fu vice del Sovrano Principe del Real Segreto del RSAA dott. Vincenzo Feliciangeli (o Francesco Feliciangeli? come invece viene citato sempre dal Fappani alla voce Massoneria della sua Enciclopedia Bresciana).

Il FrØž Erminio ebbe il titolo di S.P.R. (cioè Sovrano Principe Rosa Croce) del RSAA.

(Antonio Fappani, Enciclopedia Bresciana, voce Pescatori Erminio).

Il giovane Erminio Pescatori, lasciò Parma, sua patria, nel '58, per darsi all’arte.

Negli anni successivi, parallelamente all’attività politica, fu capocomico ed amministratore della Drammatica Compagnia Parmense, che fu attiva anche a Brescia per qualche anno, impegnata al Teatro Guillaume di proprietà e diretta dalla moglie, Giuseppina Biagini (nata nel 1835) che sposò il 21 agosto 1860. Ebbero un figlio al quale diedero il doppio nome di Giuseppe Garibaldi (per l’ammirazione e l’amicizia che Erminio aveva con il F:. Garibaldi).

Con lo pseudonimo di Colorno compose la commedia in un atto Maritiamo la suocera, che Ermete Novelli tenne stabilmente in repertorio. Passarono dalla Compagnia Ristori in quella Trivelli, dove la giovane e già celebre artista rinnovò, o meglio, continuò i trionfi in ogni città. Si fecero conduttori di Compagnia essi stessi, che dovetter poi sciogliere per le vicende politiche e decisero di ritirarsi dall’arte e abitare a Genova, dedicandosi all’educazione dei figli.

Fu amico del FØž Garibaldi, che il 28 gennaio 1872 gli scrisse: «La questione tra Mazzini e me appartiene alla Storia [La Repubblica romana divise sicuramente i FFØž Mazzini e Garibaldi: non per l’idea di Roma, non per l’idea repubblicana, ma sui tempi e i modi per concretizzarle]. Essa giudicherà. Comunque, il giorno in cui il camello popolare sarà stanco di carico e di bastonate, in quel giorno lui, io e gli amici nostri saremo al nostro posto”. E la difesa della città eterna, pur nelle incomprensioni, negli ostacoli, e nella sconfitta, rimaneva scolpita nel suo ricordo, soprattutto per “il glorioso 30 aprile”, che per lui rappresentò sempre il “trionfo brillante delle armi Repubblicane di Roma nel 1849”» (Giuseppe Garibaldi, Scritti e discorsi politici e militari, a cura della Reale Commissione, Vol. III (1868-1882) Bologna Cappelli editore, 1937 e MassonicaMente, 1849 la Repubblica romana, n.15, mag./ago. 2019, p. 10).

Garibaldi, che fu eletto Gran Maestro del grande Oriente d’Italia nel 1864, molto doveva al pensiero di cui si era nutrito negli anni della sua attività massonica e come la Massoneria si accostasse al suo progetto, il FØž generale lo esplicitava in tanti suoi scritti e in una lettera al suo amico FØž Erminio Pescatori, che fu con lui a Mentana, del 3 settembre 1868 era esplicito e parlava della Massoneria come di “un grande fattore umanitario”, la considerava “l’antesignana di ogni civile progresso”, ove sono pregiudizi da distruggere, preti da smascherare, oppressori da combattere, aggiungeva “i Franchi Muratori sono sempre in prima linea” e chiariva senza mezzi termi “la Francia e l’Italia devono la libertà alla Massoneria (Lauro Rossi, Ideale nazionale e democrazia in Italia: Da Foscolo a Garibaldi, Gangemi).

Il 27 novembre 1871 il FØž Erminio, da tempo in contatto con l’agitatore anarchico russo Michail Bakunin, condusse un novero di ex garibaldini veterani della campagna di Francia a fondare nella trattoria delle Tre Zucchette a Bologna “Il Fascio Operaio” un’associazione clandestina di liberi pensatori, il cui scopo era l’emancipazione del popolo dall’ignoranza e dalla povertà.

Secondo l’autorità pubblica l’associazione clandestina è composta “di un esercito di cosmopoliti, reclutato nei bassifondi dell’ignoranza”. Entro la fine del’anno raccolse oltre 500 soci.

Al Fascio Operaio aderirono fin dall’inizio Giuseppe Garibaldi e il giovane anarchico imolese Andrea Costa (allievo del FØž Giosuè Carducci) e fu la prima sezione emiliana della Associazione internazionale dei lavoratori [conosciuta come Prima Internazionale]; come segretario fu designato il Pilade di Costa Alceste Luigi Faggioli. A Bologna nel 1872 la situazione era fortemente “magmatica”; nonostante Marx ed Engels credessero che gli internazionalisti romagnoli fossero schierati con Bakunin, la stragrande maggioranza di loro condivideva le posizioni di Garibaldi, il quale non voleva lasciare il nascente internazionalismo italiano «in balia di gente che lo travierebbero a eccessi» (e il riferimento ai bakuninisti è evidente), ma, al contempo, era a conoscenza del fatto che il Consiglio londinese gli era ostile. Nessuno di loro era dotato della preparazione filosofica e scientifica che avrebbero voluto i londinesi, ma neppure di quello spietato culto della “furia iconoclasta”.

Si riconoscevano invece nella dichiarazione programmatica che il presidente del Consiglio regionale emiliano-romagnolo, il [nostro FØž] massone Erminio Pescatori, sottopose al Fascio Operaio bolognese: «Liberi pensatori, noi non adoriamo nessun idolo. Non aspettiamo il nostro bene da un Dio, ma da noi stessi, dalle nostre povere forze: vogliamo fare tutto da noi. Amanti della luce, noi non cospiriamo nelle tenebre: ciò che vogliamo lo diciamo pubblicamente. Vogliamo la Libertà coll’ordine, l’Uguaglianza col diritto, la Fratellanza [. . .] noi non facciamo quistioni politiche, facciamo una quistione sociale: vogliamo emanciparci dal doppio servaggio dell’ignoranza e della miseria [. . .] Siccome siamo persuasi che nell’unione sta la vera forza e che la questione sociale del proletariato non è questione nazionale ma mondiale, così noi vogliamo unirci agli Operai e Lavoratori di tutte le Nazioni con solenne vincolo di solidarietà e di cooperazione, perché sono tutti nostri fratelli» (Archivio di Stato di Bologna, Atti del processo ad Andrea Costa ed altri, n. 1130 del Registro Generale della Corte d’Assise, Tribunali, doc. 662. 143 «Il Fascio Operaio», 1, 1871).

Garibaldi scrisse nel 1872 al FØž e amico Erminio, esponendo l’idea di unificare le varie proposte per raccogliere le forze democratiche in un’unica associazione, e nella lettera affermava che «Massoneria, Razionalisti, Democrazia, Fratellanze artigiane, Società Operaie di Mutuo soccorso, han tutte la loro tendenza al bene, ed è di tutte coteste che Voi ed io vogliamo formare il Fascio Operaio italiano».

Il FØž Erminio a sua volta scrisse dei componenti del Fascio: «siano essi Mazziniani o Garibaldini o Internazionali, combattono tutti per la stessa causa, per il medesimo principio; sono tutti nemici del privilegio, vogliono tutti l’emancipazione del proletariato».

Alla fine del 1872 si trasferì a Trieste, mentre dal 1891 abitò a Milano e ritiratosi dalla vita politica attiva, fu solidale con tutti i rifugiati politici italiani.

Passò all’OrØž Eterno a Milano il 18 gennaio 1905 all’età di 68 anni.

PLEBANI  (o PLEVANI) Giovanni

(?)

Fratello Fondatore della Regia Loggia Arnaldo OrØž di Brescia di RSAA (1863).

(Silvano Danesi, o.c. Liberi Muratori in Lombardia, ecc, Edimai, 1995, p. 119 - 121).

Secondo Antonio Fappani, in Enciclopedia Bresciana, voce Massoneria nel 1914 fu Maestro Venerabile della Loggia Giovanni Plevani (non Plebani) e tal cognome usa anche Marina Romani (Costruire la fiducia. Istituzioni, élite locali e mercato del credito in tre…, 2011) che lo definisce repubblicano.

Nulla sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui, il suo nome, in ognuna delle due espressioni, non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.

 

 

PIAZZONI Sandro (Alessandro)

(1885 – 1971)

Affiliato alla Loggia Leonessa (1945) e poi alla Loggia Atanor (1971) della Gran Loggia d'Italia ALAM.

Nacque il 2 maggio 1885 a Roma.

Militare di carriera, Generale dell’Esercito italiano.

La presenza e attività del FØž Sandro Piazzoni nella Massoneria si ha testimonianza nel periodo immediatamente precedente al fascismo; e nell’immediato dopoguerra è nel gruppo Astiriti (vedi) è una indicativa dimostrazione di continuità o quanto meno di consonanza della tradizione massonica bresciana legata alla gran Loggia d’Italia A.L.A.M. di Piazza del Gesù e l’eredità ideale lasciata dalla “Stella d’Italia” e della “Leonessa” alla neonata “Atanor” (Silvano danesi, Liberi Muratori in Lombardia - La Massoneria Lombarda dal ‘700 ad oggi, ad nomen, p. 191, 208, 238, 240, 256).

Nel 1945 a Brescia riprende la propria attività una Loggia denominata Leonessa, nella casa del giudice Pasquale Astiriti, in Piazza Duomo; alla Loggia sarebbero stati affiliati, oltre ad Astiriti, il generale Sandro Piazzoni, l’industriale Boldrini e Basilio Gnutti (RØž Loggia Libero Pensiero, Le Logge bresciane - Loggia Leonessa, 2015 e testimonianza resa a Silvano Danesi da Carlo Alberto Di Tullio nel 1994 (in Liberi Muratori in Lombardia, o. cit., p. 208).

Il 14 febbraio 1971 un gruppo di 9 “fratelli” e “sorelle”, per la precisione 4 donne e cinque uomini provenienti dalla loggia Principi Rosa Croce di Milano, costituisce in casa del general Sandro Piazzoni la loggia Atanor della Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori, Obbedienza di Piazza del Gesù, palazzo Vitelleschi. Figura di primo piano della Massoneria bresciana di Piazza del Gesù in questi anni e suo primo MØž VØž è il medico Lamberto Catalano (vedi). Nel 1972 gli aderenti alla loggia neo-costituita acquistano il Tempio, che viene inaugurato il 19 marzo, con la presenza delle più alte autorità massoniche nazionali (Silvano Danesi, Brevi note storiche sulla Massoneria bresciana, 2008).

Alle riunioni della Logia Leonessa di Piazza del Gesù, nel 1949 partecipava come ospite Sebastiano Caracciolo, che innalzerà poi le colonne della Loggia Brixia all’Obbedienza del Diritto Umano (Risultati relativi a diritto umano droit humain – Droit Humain, Massoneria internazionale di uomini e donne).

Il FØž Alessandro fu di nobile casato romano; noto anche come Sandro, figlio di Ernesto.

Arruolatosi nel Regio Esercito, il 14 settembre 1906 entrò come allievo nella Regia Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena, da cui uscì con il grado di sottotenente, assegnato all'arma di fanteria. Partecipò alla guerra italo-turca, come capitano, venendo decorato al valor militare e successivamente alla prima guerra mondiale al cui termine aveva raggiunto il grado di tenente colonnello, ed era stato decorato di una Medaglia d’argento al valor militare. Scuola di Guerra frequentata con successo.

Dopo un servizio come ufficiale presso lo Stato maggiore, fu promosso colonnello il 15 agosto 1932, assumendo prima incarico all'ispettorato di fanteria a Roma e poi il comando del 53° reggimento di fanteria "Umbria" nel 1935. Partecipò quindi alla guerra di Spagna, nel 1937, presso il comando della divisione volontaria Fiamme Nere e venendo decorato ancora al valor militare.

Il 27 dicembre 1937 fu promosso generale di brigata. Tornò poi a Roma al Ministero della Guerra nel 1938/1939.

All’atto dello scoppio della guerra, nel giugno 1940, era al comando della 50ª Divisione Regina a Rodi e, venendo rilevato dal generale Michele Scaroina, poi dal 10 settembre 1940, al comando della 101ª divisione motorizzata Trieste, al momento in pianura padana ed in forza al Corpo corazzato.

Dal gennaio 1941, assunto il grado di generale di divisione, col solo suo comando si trasferì in Albania partecipando al conflitto italo greco. Nel corso dello stesso anno si recò in Africa Settentrionale con la Trieste permanendo al suo comando sino al 10 dicembre quando rimpatriò, sostituito dal gen. Arnaldo Azzi. “Piazzoni, generale del deserto, nel comando delle sue unità rivelò doti non comuni anche di coraggio tipicamente bresciano: spesso in prima linea e anche oltre con pattuglie esploranti. I suoi uomini lo ammiravano perché capitava molto di rado che i generali italiani si portassero dalle retrovie alla prima linea. Ferito mentre comandava il XX Corpo d’Armata, veniva rimpatriato per la convalescenza, alla quale rinunciava ben presto”(Antonio Fappani, Enciclopedia Breciana, ad vocem), perché al principio del 1942 fu venne trasferito in Dalmazia e divenne comandante della 15ª divisione di fanteria Bergamo.

Fino al febbraio 1943 è stato comandante della divisione Bergamo, di stanza a Spalato. Successivamente, dal marzo 1943, ceduto il comando della Bergamo al gen. Emilio Becuzzi, fu comandante, incaricato del grado superiore, del VI Corpo d’armata a Ragusa da cui dipendevano le divisioni Marche e Messina, oltre a diverse unità minori, di base nella Croazia meridionale (Dubrovnik, Metković), sostituendo il generale Negri, trasferito a Fiume preso il quartier generale di Super SloDa.

L’8 settembre fu sorpreso dall’armistizio.

Le sue divisioni impegnarono combattimento contro i tedeschi, registrando momentanei piccoli successi. Tuttavia, considerato che non avrebbero potuto contare su alcun rinforzo e che non gli veniva affidato alcun obiettivo militare, Piazzoni decise per la resa il 13 settembre. Venne fatto prigioniero come tutti gli altri e portato nel campo di Scokken in Polonia.

Rifiutò la collaborazione con i tedeschi e la R.S.I. Venne liberato dai russi il 21 gennaio 1945.

Il 10 marzo 1947 i Servizi strategici americani compilano un rapporto sui movimenti neofascisti operanti in clandestinità e dicono: “[…]In generale i neofascisti al nord sono diretti da un ex militare che opera sotto il nome di colonnello M. Il movimento che include il generale Mario Caracciolo, si ritiene essere legato intimamente a certi elementi della massoneria attraverso il generale Viggiani e Alessandro Piazzoni”.

Decorazioni: Cavaliere dei SS.Maurizio e Lazzaro; Cavaliere Ufficiale della Corona d’Italia; Medaglia d’Argento al V.M.; n.2 Croci al merito di guerra; Medaglia commemorativa della guerra italo austriaca anni 1915-16-17-18; Medaglia Interalleata della Vittoria; Madaglia commemorativa dell’Unità d’Italia 1918; Croce d’Oro al merito di servizio; Cavaliere all’Ordine Militare di Savoia con R.D. n.218 dell’11 novembre 1938, da Colonello di fanteria, con motivazione: “In quaranta giorni di dure operazioni offensive, alla testa di una forte Brigata mista, che guidava a brillanti e costanti successi, dimostrava doti preclare di comandante e di soldato”; e Ufficiale all'Ordine Militare di Savoia con E.D. n.260 del 2 gennaio 1942, da Generale di Brigata, con motivazione: “Operando con scarsi mezzie poche truppe, ma con prontezza d'intuito e d'esecuzione, seppe arrestare definitivamente il nemico che, imbaldanzito dai precedenti successi, si affacciava in forze alla Val Schushica. Organizzatore di provata capacità, animatore convincente. Di agile ed avveduta iniziativa, direzze l'esecuzione di opere difensive dalle quali fronteggiò e dominò l'avversario, infliggendogli notevoli perdite.Ufficiale di elevate qualità morali e professionali, portò a termine, superando gravi difficoltà il duro compito affidatogli.”

Per tanti anni presidente della Federazione Provinciale del Nastro Azzurro e dell’A.N.U.P.S.A., dell’Associazione Reduci Divisione Bergamo, delle Associazioni Lupi di Toscana, Carristi d’Italia, ex Internati in Germania. Ha pubblicato: “Le Frecce Nere nella guerra di Spagna” (Roma, ediz. rivista “Nazione militare”, 1939, IP ediz. Roma, XVI, p. 254).

Di fatto il FØž generale Sandro Piazzoni, massone all’obbedienza di Piazza del Gesù, esprime la vicinanza al fascismo di una parte della Massoneria. Piazzoni promette al bresciano Augusto Turati [che sostituì Farinacci come segretario nazionale del Pnf ed indicato anch’egli come appartenente a Piazza del gesù, ma senza documentazione a comprova] di venire in città per illustrare “agli amici di Brescia e i Manerbio” i suoi molti meriti, anzi se il suo nome “può far comodo in lista” lo mette a disposizione, sicuro del seguito di cui gode “tra gli ufficiali, sia della Bassa bresciana (…) sia in città”. Privo di “denari da offrire”, ma forte di “ottime relazioni con S. E. Acerbo, Bonardi” ecc. e del prestigio che gli deriva dall’essere corrispondente di “Esercito e Marina” e articolista de “Il Corriere italiano”, non frapporrebbe indugi per “trova(si) al (suo) fianco nella campagna elettorale” (Sandro Piazzoni, lettera a Augusto Turati, in Apd, carte, Innocente Dugnani, 1924, riportato in opera di P. Corsini, p.510).

Passò all’OrØž Eterno a Brescia il 14 maggio 1971 all’età di 86 anni. È sepolto nel cimitero di Manerbio.

 

 

POCPAGNI Alessandro

(?)

Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta.

(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 60 e 63).

Nobile di Brescia. (cfr Luzio o. c. p. 345).

Presidente di Tribunale a Salò e Brescia.

Ancora vivente intorno al 1831 (secondo il rapporto Torresani edito dal Luzio nell’Arch. stor. lomb.,1917).

Nulla sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui, il suo nome non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.

 

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PONZONI Cristoforo

(?)

Fratello originario della Reale Loggia Amalia Augusta.

Araldo della Loggia nel 1809.

(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 60).

Nulla sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui, il suo nome non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.

 

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PORCARI Ascanio

(?)

Fratello originario e Fondatore della Reale Loggia Amalia Augusta (1806).

Fu Esperto onorario della Loggia nel 1809.

(Vedi op. cit. di Paolo Guerrini, I Cospiratori bresciani del ’21, p. 60 e 64 e cfr. Luzio o.c. p.345).

Intendente delle Finanze a Brescia.

Ancora vivente intorno al 1831 (secondo il rapporto Torresani edito dal Luzio nell’Arch. stor. lomb.,1917).

Porcari Ascanio, intendente di finanza a Brescia, godeva la fama d’uno de' più abili funzionari del Regno ed era anche celebrato per probità. Era della Loggia di Brescia. Ora é occupato nella raffineria Cemuschi di Milano: e si contiene con molta prudenza.” (Archivio storico Lombardo, Prime ricerche bibliografiche sulla massoneria italiana nell'età napolenica, ad vocem).

Nulla sappiamo di questo FrØž, mancando notizie certe su di lui, il suo nome non figura nei repertori enciclopedici e nelle storie letterarie massoniche.

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