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ALCHIMIA SPIRITUALE

Ti mostriamo la forza dei principi fondamentali della Libera Muratoria

e le opportunità che questi principi offrono ad ognuno di migliorare se stesso e la propria vita, seguendo la Via Iniziatica Tradizionale arricchita dall’Alchimia Spirituale.

L’Ars Latomorum si accresce delle conoscenze dell’Ars Regia.

   Noi crediamo che la porta della libertà debba essere sempre aperta e così sono aperte le porte del Tempio del nostro Ordine iniziatico.

   La nostra missione è completamente dedicata a percorrere la via del Risveglio, abbracciando chi è alla ricerca della verità.

   Attraverso le attività di divulgazione apriamo le nostre porte a chi vuole comprendere l'Arte Liberomuratoria, l’Ars Latomorum, conquistandola con la conoscenza interiore e con l'intuizione.

   Abbiamo dedicato questo sito web a te che aspiri ad approfondire la conoscenza di te stesso e a realizzare ciò che veramente sei. Puoi scegliere che uomo vuoi diventare e poter creare dalla tua libertà la vita che vuoi.

 

  NESSUNA VERITÀ È QUI RIVELATA.  La VERITÀ la acquisisci se saprai consacrarti al lavoro rigoroso, avvincente, armonioso e SOLITARIO nel   TUO ATANOR.

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Testi alchemici

   Il nostro Ordine offre recensioni ed estratti di antichi testi di alchimia. Un sincero ricercatore non è interessato ad ereditare un oscuro manoscritto di istruzioni magiche o rari documenti storici, egli desidera l'evoluzione della sua anima chiedendone conto a coloro che si sono offerti di guidarlo.

  Le immagini riprodotte degli antichi testi che troverai più avanti nelle lezioni, sono state scelte tra le numerosissime miniature, incisioni e stampe antiche dei più raffinati e interessanti codici alchemici, per farti idealmente percorrere le tappe che hanno condotto i confratelli alla Grande Opera. Questa arte e scienza ad un tempo, praticata da secoli, è stata trasmessa sotto il velo di simboli e per mezzo di una quantità incredibile di codici scritti e, da un certo momento in poi con immagini alchemiche che hanno una funzione particolare, che non è quella di illustrare ciò che è velato dalle parole. Restano anche nelle immagine le allegorie, le analogie, le corrispondenze, quindi un linguaggio simbolico "cifrato" pervade anche l'iconografia alchemica. Solo chi sa leggere tra le righe, sa comprendere. Puoi guardare e non vedere, continuare a leggere e non capire. L'uso di immagini enigmatiche è finalizzato a non fare profanare il messaggio dalle "farfalle affumicate". Quindi non solo troverai oscure e simboliche parole con cui sono sapientemente intessuti i trattati, ma anche emblematiche immagini quali cosmogrammi che possono svelarsi solo se ne hai la chiave.

Introduzione all'Alchimia di Antonio D'Alonzo

  La metafisica occidentale sembra presentare una dicotomica scissione dal mito della caverna platonica a Nietzsche, dovuta al dualismo e la volontà di predominio sull’ente. È presente in alcuni passi della Genesi, dove la natura è declassata alla stregua di un dono divino da sfruttare e manipolare. Al contrario, la tradizione alchemica- ed in generale l’esoterismo- hanno cercato di stabilire, sotto il profilo teoretico, delle differenti modalità relazionali con il mondo sensibile. Non è più l’uomo che domina una phýsis ormai desacralizzata, ma un lavoro di trasformazione della materia in grado di perfezionare la totalità del mondo naturale e dello spirito, capace di ricongiungere quest’ultimo alla matrice universale, opus di riconciliazione nell’unità dello spirito e della materia, teoretico ed al contempo sperimentale, in cui l’alchimista “mette a morte” la realtà esistente per ottenere un nuovo inizio foriero d’incorruttibilità ed immortalità, gettato nell’hic et nunc del mondo contingente e non soltanto negli orizzonti escatologici di una promessa oltremondana.

  In Occidente ai tempi di Keplero, Newton e Descartes, circolavano una grande quantità di testi alchemici (lo stesso Newton attinse a piene mani da questi documenti). Con la Rivoluzione Industriale si produsse tuttavia l’eclissi di queste ricerche: il modello meccanicistico soppiantò la cosmologia e la fisica degli alchimisti. L’interesse degli stessi scienziati del XVII secolo era focalizzato sulle dinamiche della trasformazione biologica da osservare in laboratorio: la mutazione del bruco in farfalla. Gli scienziati del seicento adottavano gli stessi metodi usati, a suo tempo, dagli alchimisti nei confronti della fisica aristotelica: quest’ultima, ritenuta insoddisfacente, veniva integrata con nozioni attinte dallo stoicismo e dall’ermetismo; allo stesso modo, gli scienziati accogliendo parzialmente gli assunti alchemici ne avvaloravano le dinamiche “sperimentali” attraverso l’irrobustimento teoretico fornito dalla fisica newtoniana. Ovviamente, sparivano le tracce degli elementi peculiari dell’arte, come, ad esempio, il lapis philosophorum capace di garantire- una volta trovata- la trasmutazione in oro del vile metallo. Dopo la rivoluzione industriale e lo sviluppo della chimica moderna, l’alchimia entra in crisi e sembra destinata a scomparire. I nuovi scienziati guardano ad essa con sufficienza, ne deridono l’ingenuo ed oscuro simbolismo iniziatico, compatendone l’assenza di chiarezza metodologica. Tuttavia, l’alchimia, non per questo, cessa di esistere: semplicemente se ne smarriscono le tracce nei circoli dei filosofi della natura, ma continua a tramandarsi, ripiegata su se stessa, all’interno delle società iniziatiche occidentali ed in particolare della Libera Muratoria.

  Si deve ricordare come l’arte regia si sia sviluppata in variegati contesti storici, quindi, se non è lecito pensare all’esistenza di diverse alchimie, si deve, quanto meno, considerare che vi sono similitudini e differenze inerenti la sua presenza nelle diverse tradizioni culturali e religiose. In ogni caso, possiamo sostenere come il filo rosso, in grado di ricollegare tutte le diverse scuole e correnti, debba essere evidenziato nella cerca di un oggetto- riconducibile ad una pietra, ad una tintura, a dell’ acqua o ad un elixir- dotato di miracolosi poteri. Quest’oggetto, desideratum degli alchimisti di tutte le epoche, non sarebbe dovuto servire soltanto a fabbricare l’oro dal vile metallo, ma anche ad assicurare l’immortalità, o quanto meno a prolungare indefinitamente l’esistenza: motivo che richiama la saga di Gilgamesh ed anche il vello d’oro degli Argonauti.
 Del resto, in tutte le tradizioni alchemiche, in particolare in quella cinese, determinate piante e frutti sono in grado di prolungare la vita, procurando all’adepto una perenne giovinezza. Un testo indiano dell’VIII secolo a.C., il Śatapatha Brāhmana, proclama che «l’oro è immortalità». Nella tradizione ayurvedica il termine sanscrito che traduce la parola “alchimia”, rasāyana,, designa una serie di tecniche volte al ringiovanimento del corpo. Probabilmente, in India la ricerca della prolongevità è funzionale al perfezionamento della vita ascetica: enfatizzando l’uso del mercurio e delle droghe, nella realizzazione e nella trasmutazione di un corpo perfetto e immortale, l’alchimia induista può essere definita come alchimia “mercuriale” (Dhāturvāda), al contrario dell’alchimia buddhista nota come Rasāyana (letteralmente, “la via del rasa o delle essenze”) . La differenza fondamentale tra l’alchimia indù e quella buddhista risiede nel maggior risalto dato da quest’ultima ai procedimenti interni yogici rispetto a quelli esterni e “chimici”. Nell’alchimia buddhista, la prolongevità, assicurata dalle sostanze chimiche, è soltanto un mero mezzo per realizzare la Bodhi, lo stadio dell’Illuminazione. La “chimica” induista e quella yogica buddhista, tuttavia, condividono molte tecniche e trovano il loro perfezionamento nei veicoli tantrici Nāth, Siddha, Sahajiyā e Vajirayāna. La ricerca cinese dell’immortalità fisica, invece, passa attraverso la formazione di un corpo incorruttibile, in grado di salvaguardare dalla migrazione ultraterrena le anime yang hun e yin p’o. Mentre in India la ricerca dell’immortalità si incentrava sulla conoscenza delle piante officinali e dell’antica erboristeria, in Cina era la fabbricazione dell’oro potabile a perpetuare il mito dell’eterna giovinezza. Nell’alchimia occidentale, la ricerca della prolongevità si sviluppò soltanto dal Medioevo. Il mito alchemico dell’immortalità si fondava sull’archetipo della Madre Terra dispensatrice di doni sublimi, a beneficio di chi sapeva carpirne gli arcani linguaggi: la stessa epopea di Gilgamesh, alla ricerca dell’erba moly, testimonia la possibilità che nel grembo della Natura si celi la salvezza dalla morte fisica. In questo quadro ideologico, strutturalmente dualistico, non poteva certo attecchire, prima del Medioevo, l’archetipo della Madre Terra e della Natura come riflesso speculare del mondo divino.

  Il recupero dell’idea della prolongevità fu possibile, per l’Occidente, soltanto in seguito all’incontro con la cultura islamica, anche se la vera e propria dottrina originaria dovette essere riplasmata in funzione delle convinzioni teologiche cristiane, renitenti ad ammettere la possibilità di sfuggire alla morte e, dunque, al giudizio oltremondano. Per questo, gli alchimisti occidentali sono sempre stati maggiormente interessati alla trasmutazione dei metalli in oro.
  D’altro canto, presso molte culture tradizionaliste assume una certa importanza l’idea che l’alchimia sia in qualche maniera riconducibile ad una pratica ostetrica. La Madre Terra – venerata essenzialmente nelle civiltà che hanno conosciuto la coltivazione dei cereali- partorisce dal proprio grembo l’oro, qualora non la si ostacoli o disturbi: caso quest’ultimo, in cui si trova costretta ad abortire altre varietà di metalli impuri, mentre soltanto l’oro è da considerare come il figlio legittimo della Madre Terra. In questa chiave di lettura, l’alchimista deve completare l’azione interrotta della Natura. Nell’Alchimist (1610) di Ben Jonson è espressa chiaramente l’’identificazione dell’alchimista con l’ostetrico. Per Simone da Colonia la trasmutazione/parto della Natura deve essere aiutata da uno specifico elixir, il quale versato sui metalli imperfetti, conduce alla loro completa raffinazione e perfezione.


  Del resto, la formazione del lapis philosophorum o elixir (il termine “elixir”deriva dall’arabo, ed a sua volta trasforma un vocabolo greco: “el” corrisponde all’articolo arabo “al”, mentre “iksir” è un’arabizzazione del greco “xerion”, cioè “qualcosa di secco”, “polvere secca”, ecc.) era tutt’altro che semplice. Thomas Norton, un alchimista inglese del XV secolo, nel suo Ordinall of Alchemy descrive le difficoltà- e la conseguente frustrazione intrinseca- alla ricerca. È molto probabile, naturalmente, che anche il Lapis Philosophorum non fosse altro che una trasposizione allegorica della trasformazione interiore realizzata dall’adepto; tuttavia essa era anche qualcosa di più di una metafora. Al contrario, essa costituiva l’oggetto di un’accanita ricerca sperimentale condotta all’interno dei laboratori alchemici. La sua realizzazione era assicurata dal conseguimento e dal superamento di quello stadio, indicato dagli alchimisti, come fase “rossa” , preceduto in ordine decrescente da una fase “bianca” e da una “nera” . Quest’ultima deve essere intesa come una sorta di “morte profana” o “discesa agli inferi”, o anche nel “ventre di un mostro marino”. La fase “bianca” , invece, segna il momento della rigenerazione mistica, della rinascita iniziatica. L’ultimo stadio, la fase “rossa” è destinata a pochi e indica la realizzazione dell’opus.
La trasmutazione, infatti, per gli alchimisti doveva avvenire gradualmente attraverso tre passaggi, simboleggiati dai tre colori sopra indicati.   L’inizio della ricerca era contrassegnata dalla fase “nera” (nigredo) , durante la quale si credeva di uccidere le sostanze deposte nei recipienti, procedimento corrispondente alla calcinazione in cui si cercava di ottenere l’ossidazione delle stesse. Il procedimento dell’ossidazione faceva assumere alle sostanze, appunto, un colorito nerastro, simbolicamente associato dagli alchimisti alla “morte”, alla “putrefazione” o alla “bara”. Successivamente, si procedeva alla purificazione della sostanza così ottenuta- mediante la distillazione, la filtrazione e la decantazione- fase denominata “bianca” (albedo) . La fase “rossa” (rubedo) indicava l’ottenimento della pietra filosofale.
  Il numero delle operazioni necessarie al processo completo dei tre stadi era oggetto d’accese discussioni da parte degli alchimisti rinascimentali, sovente incapaci di elaborare una metodologia comune. Un alchimista come Daniel Stolcius prescriveva undici operazioni chimiche; altri, dodici come George Ripley o sette come Salomon Trismosin. Sinteticamente, si può ritenere la calcinazione, o coagulazione come una sorta di “putrefazione” della materia, mentre il recipiente usato nell’operazione assurge al ruolo di “bara”: la dissoluzione equivale, perciò, ad una “purificazione”. La fermentazione-moltiplicazione-proiezione rende la pietra simile ad un lievito in grado di trasmutare le sostanze cosparse. Uno dei grandi problemi dell’alchimia operativa era quello di ottenere una corretta regolazione del fuoco, giacché nel XVIII secolo non esisteva ancora il termometro: secondo Norton, all’alchimista che otteneva il giusto dosaggio, spettava il titolo di “perfetto maestro”. Ovviamente, la trasmissione degli insegnamenti avveniva segretamente da maestro ad allievo ed anche il contenuto dei testi era velato da una scrittura segreta e criptica. L’oscurità dei testi alchemici- un continuo intreccio di metafore e rimandi simbolici – era dovuto al palese tentativo di scongiurare le inquisizioni della Chiesa; ma anche al timore degli alchimisti di essere fatti prigionieri da parte di avventurieri e sovrani, che avrebbero potuto estorcere i segreti alchemici con la forza. Un ulteriore motivo della difficoltà dei testi alchemici è che essi rientrano in quelle tradizioni esoteriche che devono presentarsi con un linguaggio cifrato (si veda il caso della magia):gli ermeneuti del tempo, privi di sofisticati strumenti esegetici, si trovarono in, difficoltà nelle traduzioni, per cui decisero, nella maggior parte dei casi, di lasciare nella forma originaria ciò che non poteva essere reso in modo efficace.


  In ogni caso, l’alchimia, come dottrina iniziatica, conserva sempre il suo carattere di segretezza, a tutte le latitudini. Una leggenda tramanda di come il più antico testo ellenistico Physikē kai mystikē (200 a.C.) fosse stato nascosto nella colonna di un tempio egizio. Nella tradizione brahmanica, Śiva si rifiuta di rivelare il segreto dell’alchimia addirittura ad una dea; mentre il più antico alchimista cinese Ko Hung (260-340 d.C.) ricorda come la segretezza sia essenziale per le “ricette”. Nel Rosarium philosophorum si avverte il lettore che questa conoscenza deve essere trasmessa per “via mistica” come le poesie e le fiabe. Una volta bevuto l’elixir che rende immortali (hsien) , l’adepto – secondo Ko Hung – deve continuare a mescolarsi con i mortali, evitando di rivelare il proprio segreto. L’appello al segreto, del resto, porta con sé la necessità di richiamarsi ad un linguaggio molto allegorico; quindi, molte pratiche “operative” non sarebbero altro che metafore del cambiamento interiore e spirituale dell’alchimista: metafore proibite, attraverso le quali potenziare l’autocoscienza e la coscienza spirituale dell’iniziato.

 

  

Lezioni di Alchimia

  L'Arte Reale è stata trasmessa per secoli solo oralmente da Maestro a discepolo, da bocca a orecchio. Poi si è iniziato a scrivere.  

Noi ti proponiamo sia la teoria che la pratica di cui siamo in possesso, sperando che tu possa andare oltre. Il cammino è fondato sulla libertà di pensiero, di opinione, di parola e di azione. Attraverso uno studio approfondito della tradizione ermetico alchemica e il simbolismo, da apprendista ti abituerai ad esercitare rispettosamente i tuoi dubbi verso le nostre affermazioni.

  La tua vita, forse, non diventerà perfetta e senza ostacoli e non otterrai poteri soprannaturali, ma potrai acquisire una visione più completa di te stesso, un cuore forte e comprensivo per mezzo del quale non vacillare di fronte alle difficoltà, esercitando i valori morali nella famiglia, nel lavoro, nella società.

Inoltre sperimenterai il contatto col mondo spirituale e avrai la certezza della validità dei metodi e del percorso intrapreso.

  L'Alchimia è nota ai più per aver concentrato la sua attività nella ricerca delle pietra filosofale, in realtà quest'Opera scandisce un percorso speciale nella storia dell'Occidente, affondando la sua origine nella note dei tempi. Questo programma esplora il mondo alchemico e i suoi influssi sulla pratica spirituale, in più analizza i più importanti testi e le tradizioni ermetiche.

 

Scopo delle lezioni è di portarti alla conoscenza dell'Alchimia ed acquisire nel tempo uno "stato superiore di coscienza".

Tu sei la tua coscienza.

 
  Parleremo del risveglio interiore e della realizzazione di sé  per acquisire la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie potenzialità in un percorso verso l'illuminazione.
Sono sempre più numerose le persone che aspirano ad approfondire la conoscenza di sé e a realizzare ciò che veramente sono, seguendo vie che provengono principalmente dalle tradizioni mistiche orientali, dalle psicologie umanistiche e transpersonali occidentali o da un connubio tra questi due mondi. Nel complesso l'influenza orientale è la più forte, tant'è che anche in molti degli approcci più strettamente psicologici (dalla gestalt al voice dialogue, dalla psicosintesi alla psicologia transpersonale) si trova spesso una concezione della consapevolezza di sé che si ispira allo yoga, al buddismo, al sufismo o ad altre filosofie e metodologie orientali. Non deve quindi sorprendere che da anni circolano tra i ricercatori interiori concetti come illuminazione e maestro illuminato. Come vedremo, illuminazione è solo uno dei molti termini usati per descrivere uno stato dell'essere: alcuni parlano di risveglio, altri di realizzazione del Sé, altri di stato cristico e altri ancora di espansione della coscienza, d'esperienza oceanica o di peak experience, senza individuare in tali sati alcun carattere permanente, ma solo un'esperienza transitoria, ancorché rivoluzionaria, di percezione della realtà. 
  Nessun maestro vi dirà in maniera esauriente che cosa vuol dire essere illuminato. Alcuni lo mitizzano quasi che un illuminato sia una specie di supereroe, altri sostengono che tale stato non si può spiegare a parole e liquidano in tal modo la questione e altri ancora ne parlano in modo allegorico, utilizzando simboli e metafore, difficili da capire, e la via dell'Arte Reale appartiene a quest'ultima scuola. 
  Tuttavia anche se non si può spiegare a parole in che cosa consiste la meta, aiutiamo le persone interessate a raggiungerla in altro modo.
  Per chi è in ricerca è indispensabile evitare scoraggiamenti e lunghi e rischiosi giri a vuoto, rischiando che ad un certo punto del percorso la meta sia raggiunta ma non riconosciuta come tale, con il disorientamento che ciò comporta. Alcuni "ricercatori" stanno girando in tonto sopra la meta senza rendersi conto di quanto sono vicini, e non è affatto facile aiutarli: alcuni perché non vogliono mettere in discussione le indicazioni ricevute dal loro maestro, magari morto già da vari anni, altri perché non vogliono ammettere che l'idea che si sono fatti dell'illuminazione è sbagliata, quindi fuorviante, altri ancora perché hanno paura a giungere alla meta; vi sono infine quelli che semplicemente non ammettono che dei compagni di viaggio sono già arrivati senza che loro ancora vi siano riusciti.
  Vorremmo, prima di cominciare, soffermarci un attimo su un fraintendimento abbastanza comune tra i ricercatori spirituali: quello di ritenere l'illuminazione un'esperienza ultima, la fine di ogni desiderio, il controllo totale delle proprie compulsioni, il conseguimento della beatitudine eterna.
  Ciò non è lontano dal vero ma neppure del tutto corretto: illuminazione è un punto di arrivo e una nuova partenza: non è la fine dei desideri bensì la fine dell'illusione che la felicità dipenda dalla soddisfazione dei desideri, non è il paradiso ma l'aprirsi della porta che conduce ad esso.
  Un'apertura niente affatto eterna, che per mantenersi necessita di una continua vigilanza nei confronti delle continue trappole e illusioni della mente e di un'impeccabile coerenza con il vero sé che abbiamo riconosciuto in noi stessi.
  Oggi i ricercatori che prima o poi riescono ad affacciarsi alla soglia di tale stato sono assai più numerosi che in passato e noi vogliamo che aumentino, ma quelli tra loro che riescono a rimanervi sono ancora pochissimi, perché i più non riconoscono come illuminazione l'esperienza avuta (spesso a causa di idee erronee al riguardo) oppure perché non sono ancora disposti a rendere la propria personalità e la propria vita totalmente coerenti alla verità che hanno intravisto.
 Sotto questo profilo possiamo individuare vari gradi d'illuminazione che nel tempo vi spiegheremo.
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