Alchimia
Lezione 9
Quaderni di geometria düreriana
IL CAVALIERE LA MORTE E IL DIAVOLO E IL CANE METRONOMO DELL'APOCATASTASI
A cura di Gaetano Barbella
llustr.1: Albrecht Dürer. Il cavaliere la morte e il diavolo.
Opera a bulino incisa su rame (24,5x18,8 cm), siglata e datata al 1513 e conservata, tra le migliori copie esistenti, nella Staatliche Kunsthalle di Karlsruhe.
Il mistero dell'animale peloso sulla picca È comprensibile che il visitatore delle opere d'arte del maestro Albrecht Dürer (1471-1528), in particolare i suoi bulini, sia instradato per una comprensione adatta per i profani.
Ed è ciò che si è cercato di fare in molti saggi pubblicati sul web in merito al bulino Il cavaliere, la morte e il diavolo.
Ottimi lavori critici in molti casi, tali da cogliere scrupolosamente tutti quei particolare, fra simboli e segni, e poi correlandoli alle opportune significazioni, ma il visitatore attento non mancherà di rilevare nel bulino anzidetto un particolare curioso al quale non sa dare risposta. Eppure è lì quasi a voler dire qualcosa d'importante, e potrebbe essere la stessa situazione di tutti coloro che hanno commentato l'opera in questione che, non sapendo come spiegarlo hanno preferito ignorarlo. Forse anche ritenendolo irrilevante, cosa che non è affatto.
Sto parlando del vistoso trofeo a guisa di una sorta di animale peloso infilato nella picca del Cavaliere.
Come si può spiegare?
Rilevo purtroppo che la critica d'arte, nel caso di Albrecht Dürer, se da un lato riconosce in alcune sue opere - mettiamo - a bulino, come Melencolia I, una chiara impostazione sulla linea dell'Alchimia, dall'altro lato in molte altre opere, questo è trascurato, come nel caso ora in esame, Il cavaliere, la morte e il diavolo.
E guarda caso, proprio quel particolare del presunto animale peloso infilzato dalla picca del Cavaliere ne costituisce la chiave di volta.
Si tratta di un ghiro un animale “dormiglione” per eccellenza, non c'è altra spiegazione.
Il ghiro è un animale notturno, proprio come volpi, cervi, tassi e tanti altri. Questo mammifero appartiene alla classe dei roditori, di cui rappresenta uno degli esemplari più antichi esistenti sulla Terra. È della famiglia dei Gliridi, specie Glis. È un animale piccolo, non supera i 30 cm di lunghezza, e il suo aspetto è molto simile a quello dello scoiattolo. Questo termine difatti è diventato sinonimo di “dormiglione”, proprio perché il ghiro va in letargo per molti mesi e anche di giorno ama stare rintanato nel suo rifugio.
Di qui, una volta saputo questa spiegazione su quell'animale peloso infilzato dalla picca del Cavaliere, non è difficile vedere l'opera in questione in un'altra ottica per percepire una certa antifona sul ruolo importante del Cavaliere nel contesto del tema sviluppato da Albrecht Dürer, alchimista però.
Punto e daccapo perciò, e via tutte le ragioni di carattere filosofico fornite dai commentatori del bulino "Il cavaliere, la morte e il diavolo" di Albrecht Durer. Perché? Perché il ghiro le elimina tutte non trovando nessi su tutte le ragioni edotte.
Allora va chiarito senza tema di smentite, che il tema si incentra esclusivamente sull'opera intrapresa dall'alchimista che si dispone all'iniziazione, cosa che comporta la cosiddetta "Morte Iniziatica", appunto.
Ed ecco la spiegazione della presenza del ghiro messo fuori causa dalla picca del cavaliere, come a significare chiaramente che NON SI DORME PIÙ.
Egli è preso nel vortice della discesa inferica come un morto a tutti gli effetti.
I Rosacroce definiscono questa situazione con l'acronimo V.I.T.R.I.O.L. espresso in lingua latina, cioè «Visita Interiora Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem», che significa «Visita l'interno della terra, operando con rettitudine troverai la pietra nascosta».
Il resto degli elementi allegorici presenti nell'opera in osservazione completa la spiegazione su cui si può far luce consultando in proposito i testi di Alchimia.
La geometria düreriana
Ma c'è di più di ciò che Albrecht Dürer cerca di far configurare dall'opera in questione, cioè un certo mondo sommerso e per questo subentra la sua inclinazione per la geometria che lascia trapelare alcuni elementi che vi risaltano, "personaggi" posti lungo una strada che essi indicano, a cominciare dalla sua firma.
Risaltano infatti le varie linee descritte dalla picca del cavaliere e l'alabarda della morte, dalla spada e dalla clessidra in linea verticale congiunta allo zoccolo del cavallo "segnatempo" della morte e da punti di riferimento della stessa clessidra e dal logo di Dürer particolarmente inclinato.
Si forma così un reticolo di strade, come si vede nell'illustr. 2, cosa che oggi possiamo chiamare algoritmo, ma era noto già nel passato, nel IX secolo d.C..
Un algoritmo è una strategia che serve per risolvere un problema ed è costituito da una sequenza finita di operazioni (dette anche istruzioni), e consente di risolvere tutti i quesiti di una stessa classe. Dürer, da buon matematico, conosceva l'algoritmo perché questo termine deriva dalla trascrizione latina (algorithmus) del nome del matematico persiano al-Khwarizmi, vissuto nel IX secolo d.C., che è considerato uno dei primi autori ad aver fatto riferimento a questo concetto scrivendo il libro Regole di ripristino e riduzione.
Illustro ora la procedura per disegnare il grafico della geometria dureriana accennata in precedenza, espressa nell'illustr. 2, volta allo scopo di concepire il pentagramma o pentalpha, il segno dell'iniziazione alchemica.
Illustr. 2: Albrecht Dürer. Il cavaliere la morte e il diavolo. Il pentalfa.
Si tracciano le seguenti linee:
1. la linea AB lungo la picca del cavaliere;
2. la linea CD lungo la spada del cavaliere. Questa linea intersega la linea AB precedente nel punto O;
3. la linea ENG lungo l'alabarda del diavolo. Quest'altra linea intersega la linea della spada CD nel punto F;
4. la linea verticale HL passante per l'asse della clessidra. Si intercetta così il punto I della linea CD della spada del cavaliere;
5. la linea MN passante per l'asse del logo nel punto Q fino a congiungersi col punto estremo N dell'alabarda del diavolo (apparente perché prosegue);
6. la linea RS passante per Q del logo fino a intercettare il punto O d'incontro delle due linee AB e CD; poi
7. con centro in O si traccia un cerchio con un compasso e si intercettano i punti T e U delle linee AB ed RS. Con T, I, e U abbiamo così tracciato le prime tre cuspidi di un pentagramma. Per ottenere le restanti due cuspidi
8. si traccia il cerchio interno del pentagramma tangente a V intermedio tra T e U. A questo punto non resta che
9. tracciare la prima retta iniziando da T in tangenza col cerchio interno per rintracciare il punto K della prima cuspide mancante. Infine si fa l'analoga operazione
10. partendo dalla cuspide opposta U per ottenere la seconda cuspide Z mancante e il pentagramma è fatto. A conferma della stella non mancano alcuni consensi:
11. la linea MN della mezzeria del logo del Dürer che è parallela alla lenea TK del pentagramma;
12. e l'asse del pentagramma SR passante per il punto Q della maniglia del suddetto logo che è parallelo all'alabarda della bestia.
Ma cosa comporta il consenso derivante dai paragrafi 11 e 12? Questa è una bella domanda, basilare dell'alchimia che vi sottiene. Si tratta del cosiddetto Caput Mortuum, il Terzo Sale rappresentato dal teschio posto sopra il logo di Dürer.
L'alchimia del mistero del Terzo Sale, il Caput Mortuum
Illustr. 3: Allegoria del Caput mortuum nel teschio legato al logo di Albrecht Dürer nell'atto di versare. Crediti: Salamon Fine Art. 2018_Catalogo Durer.indd 45
In alchimia il sale è uno dei Tre Principi, presenti sia nel cosmo sia nell’uomo: una triade mistica, composta dal sale, dal mercurio e dallo zolfo. Benché si presenti come una polvere bianca, inerte, il sale è uno dei grandi misteri e simboli dell’iniziazione.
Nella tradizione alchemica esso era l’emblema di un patto sacro che non poteva mai essere rescisso, simile a quello che il neofita stringeva con la sua scuola o il suo maestro.
«Il patto di sale» di cui parla l’Antico Testamento potrebbe avere un significato diverso da quello che gli viene di solito attribuito.
Il Nuovo Testamento è meno evasivo al proposito: in Matteo, infatti, «sale della terra» sono gli eletti, ossia gli iniziati e non, come si tende oggi a pensare, quanti sono poco più che semplici contadini.
Nei secoli lontani gli eletti sedevano al posto d’onore, «più in alto del sale», perché avevano conquistato il sale che avevano dentro di sé.
Come si spiegherebbe altrimenti tutta l’importanza che nei convivi medievali veniva attribuita al salinum, ossia alla saliera?
Gli alchimisti ponevano talora a emblema del sale il più semplice di tutti i sigilli: un minuscolo quadrato ☐ o un piccolo rettangolo.
Con quelle quattro linee che descrivono uno spazio vuoto – come lo spazio fra l’Aria e l’Acqua – intendevano delineare i misteri dei quattro elementi o disegnare una bara?
Il reverendo Brewer, un colto collezionista di idee curiose, totalmente ignaro di esoterismo, ci ricorda la consuetudine, tuttora esistente, di porre una manciata di sale nella cassa del morto. C’è forse un nesso fra il sale e la morte?
Un altro sigillo del sale – usato con frequenza nei gruppi alchemici rosacrociani – era un cerchio tagliato a metà da una linea orizzontale . Θ Quel sigillo deriva dalla theta maiuscola di Thanatos, che in greco significa «morte».
In numerosi testi alchemici il sale rappresenta il processo mentale, che è un processo di morte. Il sale è il residuo dell’attività spirituale che avviene nella nostra testa: come nelle triade alchemica, è la scoria che resta quando la vita è volata via, è il cranio, il caput mortuum, la polvere bianca residua dopo l’estrazione dell’oro.
È la cenere del pensiero.
È il piede azzoppato di Giacobbe, ed è anche il teschio dell'illustr. 7: di qui il concetto della fonte del "mercurio filosofale" attraverso il logo düreriano accennato in precedenza. Quando la testa – o la sua attività spirituale che chiamiamo mente – raggiunge il punto in cui non è più in grado di capire, in cui l’ordine dell’universo sembra frantumarsi, allora produce lacrime salate (1).
Ma perché mai il pensiero – quel processo che ha prodotto la nostra tanto decantata civiltà di superficiale razionalismo – dovrebbe essere associato alla morte nei circoli arcani?
Noi moderni non dovremmo invece sostenere che il pensiero è la nostra salvezza, la strada che ci condurrà alla terra promessa?
Qualsiasi iniziato che abbia un granello di sale, inutile dirlo, contesterebbe questa interpretazione.
L’autore anonimo di A discourse of Fire and Salt («Discorso del fuoco e del sale») spiega chiaramente che fra il sale e il fuoco avviene uno scambio mistico. Ci sono due sali, afferma questo adepto, l’uno nato dall’attività del fuoco e l’altro il residuo rimasto quando le fiamme si spengono, che è a sua volta «un fuoco potenziale». In questa perpetua interazione fra fuoco e sale che sta alla base del mondo fenomenico il sale rappresenta lo stato inerziale della morte. Nessun alchimista tuttavia sosterrebbe mai che una cosa può morire nel senso di essere esclusa per sempre dalla vita. La morte è un interludio fra una vita e l’altra.
Un tempo, però, esisteva il sale del vero pensiero, che non era neppure sfiorato dalla contaminazione della morte. Allora, anche le invenzioni delle menti più raffinate, come quelle dei poeti romani, erano saporite come il sale, erano salsae, ossia mordaci e facete. Di certo i versi sgorgavano di getto dalla mente dei loro autori; in latino salire significa «saltare», «guizzare fuori», da cui la parola saltatore: i latini sapevano che dalla sfera spirituale le idee penetravano d’un balzo nella mente dei poeti. Una parola dal suono così simile al nome di quel semplice condimento quotidiano non può che suggerirci qualche profondo significato riposto.
Sono molti i misteri del mondo antico che la parola sale richiama: c’erano, per esempio, i Salii, quei «saltatori» splendidamente vestiti, danzatori dell’aria, che costituivano uno dei tanti collegi sacerdotali romani. Di loro sappiamo soltanto che cantavano e parlavano in una lingua incomprensibile, che erano votati al culto di Marte e formavano una confraternita esoterica. La lingua incomprensibile che parlavano era la Lingua degli Uccelli – ossia il linguaggio segreto dell’esoterismo – e i loro «salti» erano una forma di danza sacra (2).
Il Pentagramma
Il Pentagramma, chiamato pure Pentalfa, Pentagono, Pentacolo di Agrippa, Stella del microcosmo, Stella di luce, Stella dei Magi, Stella dell’Iniziazione, è quella figura composta da cinque punte: simbolo antichissimo e potente dai molteplici significati.
Disegnato con una sola punta rivolta verso l'alto, è un segno benefico che raffigura il corpo umano con le braccia aperte e le gambe divaricate; l'apice di questa stella riproduce, infatti, la testa dell'uomo, le altre quattro punte sono le sue membra.
In questa posizione, il Pentagramma è una rappresentazione del bene, dell'ordine, dell'unità, della vittoria, della luce solare, della potenza dell’azione e della sana volontà direttiva.
Esprime l'essere umano dotato di ragione illuminata nelle sue vesti di emblema evolutivo che, grazie a questa virtù, occupa una posizione più elevata rispetto ad altre creature e così riesce a dominare la materia, gli istinti e le passioni bestiali. E’ l’uomo la cui volontà conduce e dirige armonicamente i pensieri, le emozioni e tutte le azioni. Colui che è proteso verso la Luce Suprema, ovvero quel tipo di discepolo che ha compreso i cinque principali aspetti del suo essere (corpo fisico, corpo eterico, corpo emozionale, corpo mentale, corpo causale o spirituale) e quindi ha rivelato e “consapevolizzato” la spiritualità che è dentro di lui, cioè la propria Scintilla Divina o Sé Superiore, frammento dell’Assoluto.
Tutto ciò viene espresso magnificamente anche nel famoso disegno di Leonardo da Vinci, dove l’immagine di un uomo è sovrapposta ad un Pentagramma racchiuso da un cerchio: l'essere umano come microcosmo nel Macrocosmo; ossia quel piccolo universo che è definito uomo (microcosmo) possiede potenzialmente, nella propria natura interiore, tutte le energie ed i poteri del Grande Universo (Macrocosmo). A questo proposito ci viene incontro l'assioma ermetico “ciò che è in alto è come ciò che è in basso”, a conferma che l'uomo è un riassunto del Macrocosmo, un suo particolare e preciso riflesso.
Pertanto il Pentagramma è il simbolo, per eccellenza, dell’uomo-microcosmo!
Tuttavia, la sua simbologia non si esaurisce con le suddette spiegazioni; essa va ben oltre, poiché questa stella non rappresenta soltanto l'essere singolo, bensì qualcosa di più vasto ed inclusivo.
Secondo la Dottrina Cabalistica è infatti l'Uomo Totale, quell'Adamo Celeste che non è caduto in peccato ed, in quanto Primordiale, è l'unione di tutti gli uomini della terra in un unico Uomo, cioè il Progenitore della Razza Umana fatta ad immagine di Dio. Riferito alle Dieci Sefiroth, sul piano della percezione umana, l’Adamo Celeste o Adam Kadmon è la presenza della Divinità nella sua essenza universale: il Logos manifestato!
Nel Cristianesimo Esoterico, invece, è identificato col “corpo” di Gesù il Cristo, del quale tra l'altro né richiama a livello fisico le cinque piaghe; oppure, spesso viene visto come la Divinità incarnata che è discesa sulla Terra per vivificare la sostanza materiale: il Verbo Divino, il Cristo Cosmico, il Messia Celeste.
Questo disegno, insomma, è l'archetipo dell'Umanità e la sua forma perfetta costituisce l'Ideazione originaria che scaturì dall'Assoluto e, guidata dall'Intelligenza Divina, ordinò e costruì sui piani più bassi la materia, gli elementi della natura; rappresenta così la più grande realizzazione di Dio e dell'Essere Umano!
Non a caso, nella Scienza della Gnosi, il Pentagramma è stato descritto spesso “Fiammeggiante”, indicazione d’Onnipotenza, per dare l'accento alle forze della Gran Luce Una che agiscono per mezzo suo, poiché da ogni suo angolo rientrante si diparte un raggio che mostra un'emanazione luminosa della Divinità (3) .
Le due stelle dell'Alchimista
Aver fatto apparire il pentagramma ci permette di approfondire questo “evento” (è un mio modo di vedere le cose che sto presentando, considerandomi, non tanto uno studioso che fa ricerche, ma un certo uomo in cammino intento ad evolversi) per legarlo a concezioni di ermetismo noti agli addetti ai lavori. Si tratta dell’apparizione alchemica delle due stelle. A pag. 19 del libro di Fulcanelli, I misteri delle Cattedrali, ci si trova di fronte a ben due stelle: andiamo a leggere.
«La nostra stella è unica, eppure è doppia. Sappiate distinguere la sua impronta reale dalla sua immagine, e noterete ch’essa brilla con più intensità alla luce del giorno che nelle tenebre della notte. Dichiarazione, questa, che convalida e completa quella di Basilio Valentino (Douze Clefs) non meno categorica e solenne:
«Gli Dei hanno accordato agli uomini due stelle per condurli verso la grande Sapienza; osservale, o uomo! e segui con costanza il loro chiarore, perché è in esso che si trova la Saggezza».
E si tratta certo delle due stelle rappresentate in una delle piccole illustrazioni alchemiche del convento francescano di Cimiez, accompagnata da una leggenda in latino che riguarda la virtù salvatrice inerente l’irraggiamento notturno delle stelle.
«Cum luce salutem; con la luce, la salvezza». ln ogni caso, anche se si possiede solo in minima parte il significato filosofico e se si prende la briga di meditare sulle già citate parole di Adepti incontestabili, si avrà la chiave con cui Ciliani apre la porta del tempio. Ma se ancora non si comprende, allora si rileggano le opere di Fulcanelli e non si vada a cercare altrove un insegnamento che nessun altro libro potrebbe fornire con altrettanta precisione.
Esistono, dunque, due stelle, che, nonostante la poca verosimiglianza, formano in realtà un’unica stella. Quella che brilla sulla Vergine mistica, che è contemporaneamente nostra ‒ madre ed il mare ermetico, annuncia il concepimento e non è altro che il riflesso dell’altra ‒ che precede il miracoloso avvento del Figlio. Perché se la Vergine celeste è chiamata anche «stella matutina», stella del mattino; se si può contemplare su di lei lo splendore d’un segno divino; se la riconoscenza per questa sorgente di grazie procura gioia al cuore dell’artista; non si tratta, pero, che d’una semplice immagine riflessa dallo specchio della Saggezza.
Questa stella visibile ma inafferrabile, malgrado la sua importanza ed il posto che occupa nelle opere di vari autori, attesta la realtà dell’altra, di quella che incorona alla nascita il Bimbo divino.
Questa stella non appare evidente nella rappresentazione geometrica della xerigrafia di Albrecht Dürer dell'illustr. 2 che è servita per far apparire la stella del pentagramma dell'iniziazione del cavaliere, ma è solo questione di tempo segnato dalla clessidra per farla apparire... e quando sarà spuntata la lancia della bestia allora apparirà in piena luce.
La seconda stella
Dove la seconda stella?... ma è solo questione di tempo segnato dalla clessidra per farla apparire... e quando sarà spuntata la lancia della bestia allora apparirà in piena luce: I ed E per dare segnare Y l'apice di un esagramma!
San Crisostomo ci fa sapere che il segno che condusse i Magi alla grotta di Betlemme, prima di sparire, si posò sul capo del Salvatore e lo circondò d’un’apoteosi di luce. L’esagramma è fra i simboli, quello che piace a molti riferire al sigillo di Salomone. Ma è anche il segno che gli alchimisti vagheggiano di “vedere” per rincuorarsi sulla buona condotta delle fasi dell'opera da loro intrapresa. È il segno della Stella dei Saggi o chiamata in altri modi. Il simbolo di questo segno racchiude in sé i quattro elementi della materia, il fuoco, l'aria, l'acqua e la terra, come si vede nell’illustr. 4.
Illustrazione 4: Albrecht Dürer. Il cavaliere la morte e il diavolo. Apparizione della stella dei Magi.
Illustrazione 5: I quattro elementi nell'esagramma.
Lo zoccolo del cavallo, la stella e la torre
«La struttura della conoscenza edificata sulle fondamenta del sofisma della separazione personale, è una torre di falsa scienza.» [Case, The tarot]
Nella pratica esoterica il primo grande passo verso la Conoscenza è segnato dalla purificazione della mente e del pensiero. Nei Tarocchi il raggiungimento di tale opportuno stato della mente è rappresentato dal sedicesimo Arcano Maggiore: la Torre cadente. Questa carta contiene una rappresentazione simbolica del crollo della falsa scienza che avviene in seguito alla pratica della consapevolezza e al raggiungimento dell’illuminazione.
Il Sedicesimo Arcano dei Tarocchi raffigura una torre di mattoni color carne, che crolla colpita da un fulmine, mentre due persone precipitano a testa in giù. Il nome in francese di questo arcano, Maison Dieu – Casa di Dio, contiene un riferimento esplicito alla caduta dall’Eden di Adamo ed Eva. E proprio questo episodio della Genesi racchiude una delle principali chiavi interpretative della Torre cadente.
Com’è noto, dopo che Adamo ed Eva ebbero mangiato il frutto proibito della conoscenza, i loro occhi si aprirono ed essi si fecero simili alla divinità. “Ecco, l’uomo è diventato come un dio che ha la conoscenza di tutto. Ora bisogna proibirgli di raggiungere anche l’albero della vita: non ne mangerà e così non vivrà per sempre” (Genesi 3:22). Analogamente, il raggiungimento dell’illuminazione da parte dell’uomo comporta il crollo delle false credenze e dei pregiudizi che fino ad allora avevano governato la sua esistenza. Si tratta di un cambiamento di stato doloroso e repentino, al quale solo pochi eroici individui possono tenere testa.
Secondo molti, questo Arcano conterrebbe anche un chiaro riferimento alla Torre di Babele, simbolo della superbia e dell’orgoglio dell’uomo che desiderava innalzarsi al livello della Divinità (4).
E al battere dello zoccolo del cavallo, ecco che come d'incanto la torre crolla e tutto si illumina d'intorno all'apparire della stella, il Cristo è nato!
Nel cavallo Albrecht Durer rappresenta Pegaso una delle creature fantastiche più famose della mitologia greca. Di natura divina, è solitamente rappresentato di bianco. Secondo il mito, nacque dal terreno bagnato dal sangue versato quando Perseo tagliò il collo di Medusa.
Secondo il poeta greco Esiodo , il nome Πήγασος, Pḗgasos deriva dal greco antico, che πηγή pēgḗ significa “sorgente” o “fontana”:
"E questo era così chiamato perché era vicino alle sorgenti oceaniche che era nato". [Hésiode , Théogonie]
Il nome di Pegaso significherebbe in greco antico "dalla sorgente" (pēgḗ) o " la sorgente zampillante" , ed è simile alla parola "sorgente" così come al concetto di acqua. Alcuni filologi attribuiscono a questo nome un'origine cariana. Pegaso è infatti associato a sorgenti e fontane, la sorgente Ippocrena di Helicon e una sorgente nei pressi di Trézène sgorgano entrambe sotto il suo zoccolo. Inoltre, il luogo d'incontro di Pegaso e Bellerofonte , eroe solare, era nientemeno che la fontana del Pirene a Corinto , città di cui Pegaso è proprio il simbolo. Tuttavia, per altri specialisti, questa origine è una questione di leggenda più che di storia, perché il suffisso -asos suggerisce un'origine pre-greca del nome, che si riferisce a una perifrasi per designare un animale bianco portatore di fulmini (5) .
"Voi però siate furbi come serpenti e semplici come colombe”
Illumina a giorno la citata frase di Gesù del quinto vangelo di Tommaso, ma già nella Bibbia ebraica (Tanakh) il serpente del Giardino dell'Eden tentò Eva con la promessa della conoscenza proibita, convincendola che nonostante il monito di Dio, non ne sarebbe risultata la morte. Il serpente è identificato con la saggezza:
"Ora il serpente era il più astuto di tutte le fiere dei campi che il Signore Dio aveva fatto" (Gn 3,1).
In ultima analisi si riesce a capire la lunga via dei "serpenti" del male e del bene (il famoso albero biblico, come si sviluppa nel tempo. La missione di Gesù, per certi versi è una di queste e lo si capisce dalla suddetta frase celebre del vangelo di Giovanni. Qui è Cristo che dialoga con Nicodemo, rispondendo a certe sue perplessità sulla rinascita col battesimo di acqua e fuoco: "E come Mosè innalzò il serpente, così pure fa d'uopo che sia innalzato il Figliuolo dell'uomo"». Che vuol dire? Riprende la questione dell'aesiviazione (o muta) di tutti i rettili. Il serpente, crescendo, perde completamente la pelle vecchia, lasciandola appesa a un ramo o a una roccia, mostrandosi con una nuova pelle, più lucida e bella. E con Gesù è la trasposizione alla sua crocifissione sul Golgota: era il suo corpo che aveva preso su di sé i peccati del mondo e fu la sua morte. Ecco la pelle del serpente vecchio appesa sul un legno, che dopo tre giorni si rinnova con la resurrezione. Ma non mi sarei dilungato tanto sul "serpente" ideologico, di cui si fece carico Gesù il Cristo, per capire che il segreto della rinascita dell'uomo é proprio nel serpente, ed è una nuova concezione che l'uomo epocale è in grado di capire a fondo mercé la conoscenza della scienza moderna e particolarmente della matematica. L'opera grafica di Albrecht Dürer anticipa questo evento perché sradica la credenza che la bestia venga debellata, distrutta in noi perché il fatto dello "spuntare" della lancia che la rappresenta nella xerigrafia di Albrecht Durer in esame, non significa altro che perde potenza, cioè non muore ma si dispone alla vita attraverso il Cristo. Si osservi il fatto nuovo dell'opera di Dürer in studio: Un metronomo, con la sua asticella, l'alabarda delle bestia che oscilla fra i punti E (la sua punta) ed Y della stella del Cristo!
Non è grandioso? E il cane rappresenta questa meccanica cosmica della dualità (di Yng e Yang). Vale ricordare il gioco classico preferito dai cani, cioè di lanciare una palla e aspettare che la riporti tutto felice. Nel nostro caso il padrone del cane è il Cristo impersonato dal Cavaliere.
Ma questo prezioso lavoro del cane-metronomo, ossia dell'uomo spoglio dei poteri derivanti dal lavoro - mettiamo - alchemico, trattandosi di un alchimista, si traduce materialmente in un'esplicazione di energia che è quella che fa procedere il processo in atto nei vari stadi della Nigredo, Albedo e Rubedo. In altro modo, appropriato dell'alchimia, quest'attività psichico-fisica si traduce nel prezioso e indispensabile il solve et coagula, ovvero Soluzione e Coagulazione, oppure Dissoluzione e Composizione, o più comunemente Sciogli e Riunisci, è una formula che rappresenta il fondamento e lo spirito del mondo dell’alchimia. Sta ad indicare quella procedura finalizzata alla trasformazione degli elementi vili in nobili, e si cerca di ottenerla attraverso un processo, appunto, di dissoluzione e, successivamente, di ricomposizione.
L'energia dell'apocatastasi, il solve et coagula degli alchimisti
La teoria del metronomo è un concetto di estrema importanza che Albrecht Dürer ha introdotto nella xerigrafia, Il cavaliere, la morte e il diavolo in esame, perché la sua incessante oscillazione porta a dar valore alla discussa dottrina dell'apocatastasi.
Nello stoicismo, che trae l'ipotesi dalla fisica di Eraclito, l'apocatastasi indica il "ristabilimento" dell'universo nel suo stato originario, e si collega alla dottrina dell'eterno ritorno: quando gli astri assumeranno la stessa posizione che avevano all'inizio dell'universo, avverrà una grande conflagrazione (ecpirosi, ἐκπύρωσις, ekpýrosis, da ek "fuori" + pýros, "fuoco", cioè «[uscito] fuori dal fuoco), e il tempo e il mondo ricominceranno un nuovo ciclo (palingenesi, πάλιν palin, «di nuovo» e γένεσις génesis, «creazione, nascita» ovvero che nasce di nuovo). Secondo alcuni stoici tale ciclo sarà identico al precedente, secondo altri non necessariamente uguale.
Nel neoplatonismo con apocatastasi si indica il ritorno dei singoli enti all'unità originaria, all'Uno indifferenziato da cui l'intera realtà proviene, un ritorno possibile tramite l'ascesi filosofica.
Nel Cristianesimo, il concetto di apocatastasi è presente in un unico versetto della Bibbia, Atti degli Apostoli 3, 21: «
Egli dev'esser accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione (apokatastàseos) di tutte le cose, come ha detto Dio fin dall'antichità, per bocca dei suoi santi profeti.»
Anche se permangono alcune incertezze, nel cristianesimo dei primi secoli il principale sostenitore dell'apocatastasi è considerato Origene di Alessandria. Secondo Origene, alla fine dei tempi avverrà la redenzione universale e tutte le creature saranno reintegrate nella pienezza del divino, compresi Satana e la morte: in tal senso, dunque, le pene infernali, per quanto lunghe, avrebbero un carattere non definitivo ma purificatorio. I dannati esistono, ma non per sempre, poiché il disegno salvifico non si può compiere se manca una sola creatura: «Riteniamo comunque che la bontà di Dio per opera di Cristo richiamerà tutte le creature ad unica fine, dopo aver vinto e sottomesso anche gli avversari» (De principiis, I, VI, 1).
Base scritturale è il seguente passaggio:
«E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.» (1Corinzi 15, 28, su laparola.net.)
Ciò significherebbe d'altra parte che la volontà perversa dei dannati più ostinati subirà la condanna eterna e inappellabile della seconda morte, in cui patiranno pene inaudite, perché privati del loro essere più puro e spirituale che verrà riassorbito in Dio.
La dottrina dell'apocatastasi venne accolta da altri padri orientali fra cui Gregorio di Nissa, ma la sua affermazione come "dottrina certa" fu condannata come eresia nel Sinodo di Costantinopoli del 543:
«Se qualcuno dice o sente che il castigo dei demoni e degli uomini empi è temporaneo o che esso avrà fine dopo un certo tempo, cioè ci sarà un ristabilimento (apocatastasi) dei demoni o degli uomini empi, sia anatema.» (6)
Ma il cane che impersona il metronomo che oscilla continuamente, concepito da Albrecht Dürer , espressione del suo pensiero, ovvero l'uomo, nel ripercorrere a ritroso il "ritorno" al punto di partenza, quello della bestia (una nuova vita terrena) conserva il ricordo delle vite passate per accettare il nuovo stato di nascita e così disporsi a un nuovo stadio evolutivo. Di qui l'antico concetto dell'apocatastasi chiarisce molto bene l'apparente equivoco del concetto di Origene racchiuso nella citata frase «Riteniamo comunque che la bontà di Dio per opera di Cristo richiamerà tutte le creature ad unica fine, dopo aver vinto e sottomesso anche gli avversari» (De principiis, I, VI, 1). Come a far capire che la bestia (gli avversari) è come se fossero addomesticati e questo porta a dar prestigio alla concezione darwiniana dell'evoluzione della scimmia ma è vero anche che questo non sia avvenuto senza la mano degli Elohim con la presenza di esseri superiori, gli "angeli"... o extraterrestri, a "correggere" il processo evolutivo del novello uomo. Se ne parla nel libro Genesi 6,1:4.
< Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Allora il Signore disse: «Il mio spirito non resterà sempre nell'uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni». C'erano sulla terra i giganti a quei tempi - e anche dopo - quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell'antichità, uomini famosi. >
Ma c'è il modo di capire molto bene il processo evolutivo della bestia che impersona in una certa misura l'uomo stesso variamente involuto, ricorrendo alle profezie di Nostradamus. Cito di seguito tre quartine tratte dalle sue Centurie (tradotte dal francese dal traduttore Renucio Boscolo) che ne parlano compiutamente:
N. I-64
«Di notte il Sole penseranno d'aver visto
Quando il porco metà uomo si vedrà,
Assordante canto, battaglia in Cielo confinato, iniziata,
E animali spaventosi la gente parlare udirà.»
N. III-34
«Quando il mancare del Sole allora sarà
Sopra il pieno giorno, il mostro sarà visto («il porco metà uomo»)
Tutto diversamente lo si interpreterà
Per costosità non ha guardia, per nulla non avrà provvisto.»
N. III-5
« Durante la lunga mancanza di due grandi Luminari
Che sopraggiungerà entro Aprile e marzo O qual rarità!
Ma i due grandi debonnari («il porco metà uomo»)
Per terra e mare soccorreranno tutte le parti.»
Ma, nessuna meraviglia, perché i tre casi del "porco metà uomo", trovano modo di identificarsi nell'Apocalisse di Giovanni. Vediamo come.
1. Il "porco metà uomo", della quartina N. I-64, va intravista nella bestia che viene dal mare (Ap 13,1:3): «E vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. La bestia che io vidi era simile a una pantera, con le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone. Il drago le diede la sua forza, il suo trono e il suo grande potere. Una delle sue teste sembrò colpita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita.»
2. Il "porco metà uomo", della quartina N. III-34, va vista nella bestia di terra (Ap 13,11:12):
«Vidi poi salire dalla terra un'altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago. Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita.»
3. Il "porco metà uomo" della quartina N. III-5, non è più definito così da Nostradamus, ma come i due "debonnari", la cui parola deriva dall'inglese debonair e che significa affabile, cortese. Di qui si fa un gran passo nell'Apocalisse per giungere alla magnificenza della Gerusalemme celeste (Ap 21,9:11) e il "porco metà uomo" è acqua passata.
Brescia, 12 maggio 2022
1 http://www.tarocchidellavita.it/arcano-numero-dodici.html
2 Fulcanelli. Le Dimore Filosofali. I, pg 96. Edizioni mediterranee.
3 Mikael Iahel. http://www.fuocosacro.com/pagine/1/il%20pentagramma.htm
4 http://www.sentieriniziatici.it/torre-cadente-iniziazione-alta-magia/
5 https://it.frwiki.wiki/wiki/P%C3%A9gase 6 https://it.wikipedia.org/wiki/Apocatastas