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Massoneria e architettura

ARCHITETTUTA MASSONICA
Il particolare che più colpisce

In ordine cronologico, alcuni dei nomi più celebri.

IN ALLESTIMENTO

Luigi e Carlo Vanvitelli

L’architetto di origine olandese Lodewijk van Wittel, italianizzato Luigi Vanvitelli, nasce a Napoli il 12 maggio 1700 e muore a Caserta il primo marzo 1773. Il figlio Carlo (Napoli 1739-1821) coadiuva il padre nell’attività.

La fortuna di entrambi è legata alla fantasmagorica reggia di Caserta, voluta dalla sovrana Maria Carolina, adepta della massoneria napoletana. Per questo motivo si ha ragione di ritenere anche i due architetti legati all’istituzione, il cui compito era quello di tradurre architettonicamente le istanze esoteriche della regina.

In particolare il giardino inglese, la cui realizzazione fu affidata a Carlo, cela una sorta di itinerario iniziatico con molti risvolti simbolici, fra antri della sibilla, criptoportici con divinità pagane, piramidi, elementi acquatici, sotto lo sguardo benevolo di Venere, principio dell’armonia cosmica. La vegetazione, rigogliosa e disordinata, volutamente in contrasto con la concezione del giardino all’italiana o alla francese (ove tutto è rigoroso e geometrico), rappresenta il caos primordiale da cui l’uomo deve districarsi per raggiungere l’ordine, secondo il noto motto massonico “Ordo ab Chao”.

Marcello Fagiolo, Architettura e Massoneria, Gangemi Editore, Roma 2006, pp. 227-228

Giovan Battista Piranesi

Venezia 4 ottobre 1720-Roma, 5 novembre 1778)

Magistrale incisore e architetto, noto per la sua visionarietà creativa, trasferitosi a Roma, divenne figura di riferimento per la nutrita comunità europea calata nella Città Eterna sull’onda del grand tour, prediletto in particolare dai britannici. Il suo fiore all’occhiello è il progetto all’Aventino per i Cavalieri di Malta, con la piazza, il portale che immette al complesso, la chiesa di S. Maria del Priorato, dove sono molteplici i riferimenti alla simbologia muratoria: obelischi, strumenti dell’arte, legami con la tradizione templare etc. Massone volle dedicare una sua incisione del ponte dei Frati Neri a Robert Mylne – suo confratello suddito di Sua Maestà Britannica conosciuto a Roma – che l’architetto inglese nel 1762 stava costruendo a Londra.

Roberto Quarta, Roma segreta, Edizioni Mediterranee, Roma 2014

Frédéric-Auguste Bartholdi

(Colmar, 2 agosto 1834-Parigi, 4 ottobre 1904)

Iniziato alla massoneria presso la loggia Alsace e Lorraine della capitale francese nel 1875, deve la sua fama universale alla Statua della Libertà che fu donata dalla Francia agli Stati Uniti e che dal 1886 domina il porto di Nuova York con i suoi 93 metri di altezza e saluta gli europei che approdano nel Nuovo Mondo.

Tiene alta la fiaccola, simbolo della luce e della conoscenza di sé, con il compito di rischiarare il cammino dell’uomo nel suo procedere dalle tenebre dell’ignoranza verso la propria liberazione. Sono questi gli ideali propugnati dalla Rivoluzione Francese che, come noto, furono alimentati dai pensatori dell’Illuminismo allineati ai principi di laicità della massoneria, cui molti di essi (da Voltaire a Diderot, da Rousseau a Robespierre) avevano aderito.

Anche l’ingegner Gustave Eiffel, lo stesso della omonima celeberrima torre di Parigi, aveva collaborato con il Bartholdi per l’ossatura metallica della costruzione, era affiliato alla massoneria francese del tempo.

La statua, originariamente, fu concepita per essere innalzata a Suez in occasione dell’apertura del Canale. Doveva simboleggiare l’illuminazione che viene dall’Oriente. Il progetto fu però accantonato e si pensò di riproporlo per rinsaldare i legami di amicizia tra il Vecchio e il Nuovo Continente.

Pierre Vidal, Frédéric-Auguste Bartholdi, 1834-1904, Creations Pélican, Lione 1994

 

 

Gustave Eiffel

(Digione, 15 dicembre 1832 – Parigi, 27 dicembre 1923)

Non si hanno notizie certe dell’affiliazione di Eiffel alla massoneria. Si suppone che fosse libero muratore, mentre sicuramente lo era Bartholdi, assieme al quale collaborò per la realizzazione strutturale della Statua della Libertà e sicuramente lo erano i committenti e ispiratori della sua opera ingegneristica più famosa nel mondo: quella Torre che da lui prende il nome e che è diventata il simbolo più eclatante della Capitale francese. La Tour Eiffel, che doveva essere una creazione effimera da realizzare in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1889 e poi essere smantellata, divenne invece un monumento stabile, anzi l’evento architettonico forse più rappresentativo della Francia stessa.  Anche se inizialmente molto criticata, talora paragonata ad un immenso candelabro o, nel peggiore dei giudizi, ad un ammasso di ferraglia, la Tour Eiffel  è stata adottata dai massoni Fin de Siecle come allegoria della modernità, del progresso tecnologico, della sfida prometeica dell’Uomo del XX secolo che osa innalzare, come un novello Nimrod, la torre che svetta sino al cielo.

Sulla sommità estrema, Eiffel si era riservato un alloggio segreto, raggiungibile solo da pochi eletti, dal quale si poteva spaziare ad angolo giro su tutta la città, con una visuale che nessun altro poteva avere. Quasi si trattasse un nascondiglio iniziatico per soli adepti.

 

Cesare Bazzani

(Roma, 5 marzo 1873-30 marzo 1939)

Di questo elegante e prolifico architetto esponente dell’eclettismo italiano del primo Novecento, si sa che era strettamente legato agli ambienti della massoneria capitolina e che fu in contatto con lo stesso Ettore Ferrari. In molte sue realizzazioni sono rintracciabili numerosi simboli desunti dal repertorio iconografico massonico: rose, nappe, cordami e nodi d’amore, bugne diamantate, obelischi, triangoli  etc. Le ritroviamo in una delle sue opere più importanti nella Capitale, quella Galleria Nazionale d’Arte Moderna costruita nel 1911 per le celebrazioni del cinquantenario dell’Unità d’Italia. Ma anche nella regia Scuola di arti e mestieri a Terni (iniziata nel 1909), nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (1911), nel palazzo del Ministero della Pubblica Istruzione a Trastevere (1912-25), nel palazzo delle Poste di Forlì (1930).

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